Ok, nessuno dice che un artista durante la sua carriera non debba cambiare o rinnovarsi, in genere si chiama in causa anche la maturità artistica, ma solo in caso che ci sia un miglioramento, un cambio tale di prospettiva da fare impallidire il materiale precedente. Insomma credo che il pensiero e l’idea che una band, anche nel cambiamento, debba progredire nel suo percorso non sia poi così rivoluzionario o difficile da condividere. Questa premessa è necessaria in quanto non vorrei fraintendimenti quando dico che ascoltando Road Salt, pt.1 - Ivory c’è da rimanere come minimo sotto shock. In poche parole non vorrei passare per colui che critica sempre i cambi di rotta (come ho fatto per Porcupine Tree, The Mars Volta, Coheed and Cambria e Biffy Clyro) per lodare esclusivamente i vecchi lavori, facendo la parte dell’inguaribile nostalgico.
Il fatto è che anche i Pain of Salvation - ormai è chiaro - hanno passato il loro periodo d’oro. Dopo Scarisck si può tracciare una linea chiara nella carriera della band svedese che, dopo una serie incredibile (in crescendo) di album strepitosi, con Be si è aperta una fase minore che culmina ora su Road Salt, pt.1. Persino su Scarsick riuscivo a trovare qualcosa di buono, ma qui neanche l’ultima - e migliore - traccia del lavoro, Innocence, riesce a far emergere il talento della band. Staremo a vedere se a novembre con la seconda parte (Ebony) saremo smentiti (ma non credo), per il momento però a noi interessa questo album. I Pain of Salvation hanno gettato tutto ciò che li rendeva un gruppo progressive metal originale: le complicate ritmiche e polifonie vocali, i cambi tematici, l’aggressività abrasiva ma sempre costantemente melodica. Allora cosa si trova su Road Salt - Ivory ? Molto lapidariamente: uno scontatissimo hard rock blues che va dalla sinuosa No Way alle più classiche e aderenti al genere She Likes to Hide e Tell Me You Don’t Know, fino a tutto il corollario di musica nera che ne consegue, dal gospel da preghiera raccolta di Of Dust, alla marcetta di valzer in stile The Dear Hunter di Sleeping Under the Stars.
In pratica sembra che Gildenlöw e compagni si siano fatti una cura ricostituente nel delta del Mississippi e abbiano riportato tutto in Svezia. Anche se ci sono dei sobbalzi elettrici (c’è la già conosciuta Linoleum e la sua gemella Darkness of Mine), i brani sono fondamentalmente della ballad blues lamentose e oscure (e non parliamo della narcotica title-track), raggiungendo preoccupanti picchi depressivi su Sisters. E così, per dire, anche la produzione ha subìto un calo considerevole: i suoni sono molto secchi, sporchi e pure le proverbiali trame stratificate del gruppo sono scompare, ma sinceramente, sentendo il prodotto finale e il suo indirizzo, probabilmente il tutto è frutto di una scelta ben precisa. Quindi se questa deve essere la fase “matura” dei Pain of Salvation mi dispiace ma non ci sto e passo la mano.
www.myspace.com/painofsalvation
Il fatto è che anche i Pain of Salvation - ormai è chiaro - hanno passato il loro periodo d’oro. Dopo Scarisck si può tracciare una linea chiara nella carriera della band svedese che, dopo una serie incredibile (in crescendo) di album strepitosi, con Be si è aperta una fase minore che culmina ora su Road Salt, pt.1. Persino su Scarsick riuscivo a trovare qualcosa di buono, ma qui neanche l’ultima - e migliore - traccia del lavoro, Innocence, riesce a far emergere il talento della band. Staremo a vedere se a novembre con la seconda parte (Ebony) saremo smentiti (ma non credo), per il momento però a noi interessa questo album. I Pain of Salvation hanno gettato tutto ciò che li rendeva un gruppo progressive metal originale: le complicate ritmiche e polifonie vocali, i cambi tematici, l’aggressività abrasiva ma sempre costantemente melodica. Allora cosa si trova su Road Salt - Ivory ? Molto lapidariamente: uno scontatissimo hard rock blues che va dalla sinuosa No Way alle più classiche e aderenti al genere She Likes to Hide e Tell Me You Don’t Know, fino a tutto il corollario di musica nera che ne consegue, dal gospel da preghiera raccolta di Of Dust, alla marcetta di valzer in stile The Dear Hunter di Sleeping Under the Stars.
In pratica sembra che Gildenlöw e compagni si siano fatti una cura ricostituente nel delta del Mississippi e abbiano riportato tutto in Svezia. Anche se ci sono dei sobbalzi elettrici (c’è la già conosciuta Linoleum e la sua gemella Darkness of Mine), i brani sono fondamentalmente della ballad blues lamentose e oscure (e non parliamo della narcotica title-track), raggiungendo preoccupanti picchi depressivi su Sisters. E così, per dire, anche la produzione ha subìto un calo considerevole: i suoni sono molto secchi, sporchi e pure le proverbiali trame stratificate del gruppo sono scompare, ma sinceramente, sentendo il prodotto finale e il suo indirizzo, probabilmente il tutto è frutto di una scelta ben precisa. Quindi se questa deve essere la fase “matura” dei Pain of Salvation mi dispiace ma non ci sto e passo la mano.
www.myspace.com/painofsalvation
3 commenti:
Non solo non sono assolutamente daccordo con te, sono contento di questo disco, anzi, ad avercene di innovazioni stilistiche pur conservando identità delineate... Ci sarebbero vari appunti da fare, ma potrebbero essere soggettivi! Ritengo tuttavia che l'uso delle voci sia notevole, atmosfere, colori, toni ed effetti straordinari... In più Fredrik Hermansson lo trovo davvero notevole in questo disco... spero di approfondie questo post ....
Come avevo fatto intuire all'inizio della recensione mi aspettavo qualche dissenso e rispetto il tuo punto di vista, ma, per quello che mi riguarda, il mio va nella direzione opposta. Soprattutto sulla conservazione dell'identità che a parere mio si stenta a ritrovare.
Ho sempre ritenuto i POS il miglior gruppo di progressive metal e da loro mi sarei aspettato qualche cosa in più.
Concordo con il recensore sul giudizio finale.
Personalmente parlando, posso ritenere road salt una DELUSIONE TOTALE!!! e non mi sarei mai sognato di parlare così dei Pain of salvation. Fino all' EP Linoleum ho ben sperato, perchè conosco le loro qualità e so che emozionano al di là del genere....ma quì hanno trementamente toppato.
Le uniche che si salvano sono Ivory in parte, Sister e Road salt....fine, poi nient'altro. Pezzi corti e inconsistenti. Curiosity si muove sulle coordinate di America, ma con risultati assai inferiori e un ritornello banale e noioso. Sister che è l'unica che riesce a tirar fuori qualcosa di profondo ed emozionante, praticamente in parte non è neanche loro. Ascoltatevi Nocturne dei Secreg Garden....vi dice qualcosa? vergogna, da un gruppo come loro non me lo sarei mai aspettato.
Sleeping, Darkness of mind , Where is hurts e Innocence tentano il lato oscuro e psichedelico con scarsi risultati. Sembrano i Riverside che giocano a girare e rigirare senza mai concludere nulla, mentre Scarsick era quantomeno concreto.
Poi ci sono altre due tracce veramente inutili nel mezzo, tell me you don't know e Sleeping under the stars. D'accordo che la traccia divertente ci può anche stare, ma quì si esagera...sembra il sottofondo di un videogame in cui il livello è quello di un circo. Ma cos'è uno scherzo?
E non venitemi a parlare di genialità o cazzate varie. Io apprezzo i cambiamenti, ma quando hanno delle basi e quando hanno qualcosa da dire. Quì non c'è niente, niente che emozioni (a parte la quasi cover Sister) niente che entri dentro, nessuna esplosione come in passato, nessuna melodia veramente degna di nota....delusione totale
Posta un commento