venerdì 2 febbraio 2018
Field Music - Open Here (2018)
In una discografia pressoché perfetta come quella dei Field Music risulta piuttosto difficile trovare un album che spicchi tra gli altri. I fratelli Peter e David Brewis si sono sempre dedicati al pop rock come degli artigiani indipendenti che lavorano con amore e dedizione per intagliare ricche sfumature barocche in melodie intelligenti sostenute da musiche che hanno toccato di volta in volta il post punk, l'art rock, la synthwave il chamber pop, il minimalismo e il funk. Sempre molto concisi in termini di durata, i Field Music si sono allargati in una ricognizione a 360 gradi del loro caleidoscopico pop solo con il doppio (Measure) o con l'ultimo lavoro in ordine di tempo Commontime risalente a due anni fa. Ma se non avete fatto in tempo a reperire i loro passati lavori adesso potreste benissimo partire dall'attuale Open Here il quale, in termini di progressione artistica, regala dei risultati molto superiori a Commontime, nel quale il gruppo mostrava un po' di ripetività autoreferenziale nella formula.
In questo contesto, per dare uno slancio di freschezza, ai Field Music è bastato aggiungere una sezione di fiati con al flauto Sarah Hayes e Pete Fraser ai sax, e un quartetto d'archi (Ed Cross, Jo Montgomery, Chrissie Slater e Ele Leckie) che aggiungono spessore e prospettiva alle quadrature barockeggianti del duo. Strano poi pensare che una musica cosi spensierata, affilata e geometrica affronti delle tematiche politiche e di critica sociale il cui indirizzo, in questo caso, non poteva che essere la Brexit e l'immigrazione (come tra l'altro erano al centro dell'ultimo degli Everything Everything), contando il fatto che Sunderland, la città natale dei due fratelli, è stata tra le prime a votare a favore del provvedimento. E così abbiamo un'apertura perfetta con il prog discreto, contrappuntato da flauti, di Time in Joy, il funk dall'incedere tronfio di Share a Pillow e il pop da camera della title-track, di Daylight Saving e di Cameraman che ricordano i migliori XTC dell'era Nonsuch.
Che Open Here sia anche l'album più variegato dei Field Music in quanto ad approccio musicale è provato da tentativi di aggiungere al proprio spettro stilistico qualche elemento in più, come ad esempio accennare al classic rock FM americano in Checking on a Message e soprattutto con la traccia finale Find a Way to Keep Me che, per la prima volta, mostra velleità da mini suite prog orchestrale, quasi sfiorando gli ambiti bucolici dei Genesis. Però come detto prima non aspettatevi durate dilatate, tutt'altro, ogni dettaglio è in miniatura nel mondo dei Field Music, ben curato e rifinito, proprio come quei velieri di una volta costruiti dentro una bottiglia.
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