giovedì 2 settembre 2021

The Osiris Club - The Green Chapel (2021)

La biografia dei The Osisris Club, arrivati al terzo album con questo The Green Chapel, ci parla di un gruppo nato come progetto strumentale con l'intento di ricreare l'atmosfera degli horror anni '70 attraverso l'estetica dell'avant-metal. Ma fin dal primo album Blazing World del 2014 gli Osiris Club si sono trasformati in qualcosa di più profondo. Tenendo come punto fermo l'influenza vintage dell'horror folk inglese, la band formata da Sean Cooper (voce, basso), Simon Oakes (voce, synth), Chris Fullard (chitarra), Andrew Prestidge (batteria, synth, chitarra) e Hanna Petterson (sassofono), ha miscelato doom metal, post punk e avant-garde, cercandogli di dare una forma accessibile e sperimentalmente art pop, per quanto tale descrizione possa risultare fuori controllo.

L'apertura di Phantasm può rappresentare un pertinente esempio dell'attitudine degli Osiris Club: atmosfere apocalittiche che però si fondono con sontuosi e barocchi interventi di Mellotron e sintetizzatori, il cui compito sembra quello di aumentare la tensione minacciosa già instaurata da riff di chitarra metallici e geometrici. Ovviamente, dato che Prestidge e Oakes provengono dai Suns of the Tundra, non mancano ammiccamenti alla psichedelia cosmica e acida mutuata dall'hard rock, ma nella sfera degli Osiris Club tutto viene calato in un alone più sanguigno e ruvido. Le tematiche liriche rispecchiano le influenze già dichiarate: dal folklore medievale fino al sovrannaturale sconosciuto che trattiene in serbo forze oscure. L'intento musicale è quello di creare paesaggi sonori consoni con quanto viene raccontato.

Nelle due parti di The Inmost Light e sulla funkeggiante Count Magnus si confondono l'elegia prog esistenzialista dei Van der Graaf Generator con l'esoterico doom dei Black Sabbath e un tocco di proto prog alla High Tide. Il sax della Patterson, talvolta in concordanza con l'elettricità delle chitarre, è un elemento che viene utilizzato per invocare ancora più pathos e si ritaglia un ruolo di primo piano negli interventi sinistri di Diamonds In The Wishing Well. L'apice espressivo dell'album, neanche a dirlo, è la title-track: una suite divisa in quattro parti dove il gruppo approfitta per approfondire le tematiche e le sonorità presenti nel lavoro, da quelle più massicce (Winter's End) a quelle più delicate e acustiche (Blind Hare and The Pale Lady). Nel suo genere, considerando le innumerevoli varianti sul tema (doom, hard, prog), un disco molto stimolante e ispirato.


 

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