martedì 1 maggio 2018

Altprogcore May discoveries


I The Valley Ends non sono esattamente una nuova scoperta: il quintetto australiano è dal 2014 che non si presenta con nuovo materiale, quando fu pubblicato l'ottimo EP d'esordio Falls e quindi è bene ricordarli in questa sede con una nuova introduzione dato che ieri è stato realizzato con un video d'accompagnamento il primo inedito a distanza di quattro anni, dal titolo Dark Emu, che anticipa l'album Hearth in uscita entro la fine dell'anno.



I due gruppi francesi di estrazione ultra sperimentale PoiL e ni si sono fusi insieme per dare vita ad un'unica entità chiamata PinioL e portare alla massima potenza le loro esperienze jazzcore, math rock e avant-garde in quello che è un debutto al fulmicotone. Insieme la band forma un settetto che raddoppia alcuni strumenti (abbiamo due batterie, due bassi, due chitarre e una tastiera) e grazie a tale espediente si destreggia in un'incredibile e irregolare selva ritmica che si dipana in prodigiose evoluzioni math fusion e irriverenti echi di zeuhl e art rock dadista. Un must per i fan dei King Crimson e non solo. 



Il progetto Lack the Low fa in realtà riferimento alla giovane cantante e polistrumentista di Melbourne Kat Hunter. One Eye Closed è il suo debutto che si divide tra cantautorato sperimentale e art rock in una vena non dissimile a Bent Knee, Thom Yorke e l'ultimo Bon Iver più elettronico.



Anche gli Slow Talk sono un duo proveniente da Melbourne formato dal cantante James Butler e dal chitarrista Ash Fuller. L'EP New Vernacular è una raccolta di pezzi di post hardcore moderno molto debitore delle elucubrazioni psichedeliche dei primi Circa Survive e qualche influsso, mai troppo estremo, dello swancore più melodico che si sta profilando negli ultimi anni con gruppi come Hail the Sun e Sinavar.



Chitarrista di Sydney, Harvey Shepherdson-Beck è un altro prodigio da cameretta che potrà interessare ai seguaci di Owane, Plini, Maxim David Micic, ecc. e che non a caso ospita in questo suo album colleghi del calibro di Jakub Zytecki, Sithu Aye, Adam Rafowitz e Stephen Taranto.



Dopo due singoli in anteprima per riscaldare la pista, ecco che arriva il debutto del trio formato da Sergio Medina (chitarra), Kurt Travis (voce) e Joseph Arrington (batteria). I Royal Coda suonano come una sintesi dei gruppi dai quali provengono i tre membri (A Lot Like Birds, Stolas, Sianvar) e delle deviazioni meno estreme che hanno imboccato ultimamente tutte queste band. Al genere experimental post harcore non aggiungono nulla di nuovo, ma una particolare segnalazione di merito va se non altro alla ricerca sonora di Medina che qui prosegue in solitaria quanto elaborato insieme a Will Swan su Stay Lost dei Sianvar.

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