Parlando degli Isis mi viene da pensare a uno dei gruppi più sopravvalutati degli ultimi anni. La loro proposta non mi sembra poi così originale.
Inoltre non si può negare che alla loro fama abbia contribuito l'aiuto dei Tool che li hanno voluti in tour con loro. E' vero che gli Isis hanno qualche punto in comune con la band di Adam Jones (tra l'altro ospite di questo album), con in più una componente elettronica, ma non vanno assolutamente accomunati ai Tool. Se infatti il metal di questi ultimi trova il suo retaggio nell'hard rock, nel progressive e nella psichedelia, quello degli Isis è frutto di una più superficiale interpretazione o lettura dell'hardcore e dello space rock.
Il precedente In The Absence of Truth era stato abbastanza incensato dalla stampa anche se al massimo azzeccava due pezzi e il resto era pura routine.
Con Wavering Radiant gli Isis sembrano abbracciare un post-metal più definito nelle sue forme e più ortodosso ai canoni del genere. Le lunghe composizioni di questo lavoro, grazie a vorticose e aggressive parti di chitarra elettrica, bassi riverberati e voci ipnotiche, arrivano a toccare più volte un'acida psichedelia. Manifesto di questo indirizzo è la monumentale Hand of the Host, che nei suoi dieci minuti vaga in una landa desolata di echi lontani e lente detonazioni elettriche. Oppure le spaziali sonorità che costellano 20 Minutes/40 Years, che riescono a mostrare ottimamente lo scontro tra la parte lisergica e quella metal degli Isis.
Ma è comunque l'inaugurale Hall of the Dead a imprimere l'umore di generale disperazione e depressione che si estende su tutto l'album: presenti sia nei muri sonori della delirante Ghost Key, così come nelle stordenti atmosfere di Stone to Wake a Serpent. L'apoteosi della devastazione è toccata su Threshold of Transformation che si accanisce su un monolite di distorsioni con l'ausilio di trame sonore ipnotiche e prolungate.
Wavering Radiant è quindi un album più massiccio e duro del solito, con interventi vocali più presenti ma che non sempre convincono. Praticamente, senza troppi giri di parole, se fossero assenti i vari growl vocali del cantante Aaron Turner il metal degli Isis ne gioverebbe.
Il difetto principale della band è che sembra lavorare su due livelli musicali e compositivi ben distinti: quello vocale e quello strumentale. Se così quest'ultimo presenta poche sbavature e solo qualche lungaggine di troppo che potrebbe essere evitata, è nell'utilizzo delle scriteriate parti vocali di Turner che risiede la debolezza del gruppo.
Il canto gutturale di Turner, invece di enfatizzare in maniera melodrammatica la musica, la ferisce e la indebolisce, senza contare che anche quando la sua voce torna al normale registro non è per nulla irresistibile.
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