E' passato quasi un anno dall'EP Others - che ha anticipato il box set antologico 13 Winters pubblicato lo scorso novembre -, una piccola raccolta di inediti uscita per mitigare l'attesa di questo Day and Age, quarto album in studio della band di Jem Godfrey. Con lui sono rimasti in formazione i fidati John Mitchell alla chitarra e Nathan King al basso. Purtroppo qualche tempo fa il batterista Craig Blundell ha lasciato in termini amichevoli i Frost*, i quali in questo lavoro hanno deciso di non sostituirlo con un membro stabile, ma sono ricorsi all'avvicendarsi di tre batteristi: Kaz Rodriguez (Chaka Khan, Josh Groban), Darby Todd (The
Darkness, Martin Barre) e, last but not least, Pat Mastelotto (King Crimson,
Mister Mister).
La particolarità di un gruppo come i Frost*, oltre a quella di non cadere nelle trappole del prog revival, ma infondere al genere una visione moderna e rinnovata, è stata quella di cambiare prospettiva in ogni lavoro mantenendo salda un'identità sonora tra elettronica e prog futurista che li ha da sempre caratterizzati. Tale aspetto li ha agevolati nella maturazione, come se ogni volta avessero esplorato un aspetto diverso del loro metodo compositivo, cercando soluzioni al fine di non ripetersi. In questa seconda fase della storia dei Frost* si può affermare che la scrittura è nelle mani dell'esperto duo Godfrey/Mitchell e da questo punto di vista Day and Age è un album dei Frost* a tutti gli effetti, dove i contributi dei due autori sono più che riconoscibili. Questa volta però la prima cosa che può essere rilevata è l'assente di quella particolare miscela che ha sempre portato i Frost* a cambiare e progredire. Day and Age risulta così un album di stallo all'interno della discografia del gruppo, un momento creativo che non aggiunge nulla a quanto già fatto in passato. Ma questa non vuole essere una critica severa, poiché è comprensibile che non si possa pretendere che ogni capitolo apporti qualcosa di differente.
La title-track, ad esempio, pur sfiorando i dodici minuti, si consuma in una prima parte dove è compresa una canzone (infatti disponibile anche in versione edit) che avrebbe potuto tranquillamente essere inclusa nel progetto solista di Mitchell Lonely Robot (senza nulla togliere, ma dai Frost* ci si aspetterebbe di più), proseguendo poi con una parte strumentale che invece è un vacuo contenitore di suoni tastieristici e chitarristici, ben ritmato ed eseguito, ma nnell'insieme abbastanza dimenticabile. Stesso discorso vale per la successiva Terrestrial, ineccepibile dal punto di vista interpretativo, ma un episodio di stesura quasi di routine per il duo.
Waiting for the Lie è un brano d'atmosfera guidato da piano e tastiere, a volte a carattere minimale, che pare un interludio allungato al quale sono stati donati connotati da pezzo compiuto. Sempre tra le composizioni più brevi (cioè normali se non si utilizzano i parametri prog) sono da includere Island Life e Skywards, molto gradevoli, ma nulla di più. The Boy Who Stood Still è la traccia più inaspettata, strumentalmente è la più interessante del lotto, riportando i Frost* a quell'electro prog presente sul precedente Falling Satellites, con la peculiarità di utilizzare al posto del cantato un racconto in spoken word per buona parte della sua durata.
Kill the Orchestra nelle intenzioni dovrebbe essere l'epic track, il pezzo di punta dell'album, ma dopo una timida introduzione di due minuti con Godfrey in solitaria tra tastiera e voce, prende il via con un insieme sonoro abbastanza standard, spinto da un groove cadenzato, anche se l'impasto si dimostra poco convinto, restituendo l'idea che anche la band sia poco partecipe emotivamente nell'esecuzione. Repeat to Fade ha una cadenza marziale e un tema musicale reiterato, edificato da bassi bombardanti e tastiere sontuose e algide, che donano al tutto un sapore industrial. Il giudizio generale è che Day and Age rimanga un'opera che riporta una versione un po' sbiadita dei Frost*, fotografia di un istante non molto ispirato in cui la band ha bisogno di un nuovo slancio, oppure, se questa sarà la direzione futura, fermarsi per riflettere su soluzioni più incisive.
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