Rimanendo costantemente sotto i radar del mainstream gli Owel sono arrivati al quarto album ed è un peccato che ancora pochissime persone siano al corrente della loro esistenza, perché la musica prodotta dagli Owel è tutt'altro che difficile da digerire, una cosa che il nuovo The Salt Water Well conferma ancora una volta. Giusto due anni fa gli Owel ci avevano deliziato con Paris con il quale la band iniziava un processo di apertura verso il pop orchestrale, rimanendo fedele alla sfera del proprio art rock velatamente influenzato dalla malinconia emo.
The Salt Water Well rimane su quelle coordinate raffinate, ma si apre ancora di più a territori accessibili costituiti da melodie delicate il cui mood romantico avrebbe tutte le carte in regola per compiacere un pubblico più vasto. In quest'ottica Beneath the Static Haze, con tanto di chorus gioioso da arena pop ricoperto di violini, può essere letto come il loro maggior sforzo per mostrarsi accattivanti. Ma a parte questa concessione, gli Owel rimangono sempre nel confine del lirismo pacato di un chamber emo rock che si mostra sofisticato anche nelle parentesi solenni di Time Will Make Children of Us All.
End è ancora un ricco e sfarzoso connubio di elettronica e pop da camera nel quale non mancano arpe e archi, questi ultimi affidati di nuovo a Jane Park, rientrata da qualche tempo nel gruppo. La voce suadente di Jay Sakong si adatta come sempre all'indirizzo sentimentale che la musica ispira, anche negli episodi più ritmati come We All Get Lost. Invece So It Goes ricorda quanto siano bravi gli Owel a costruire un'atmosfera solenne in crescendo utilizzando i dettami del post rock e piegandoli al volere del pop. Contando la pandemia come un effetto che ha separato la maturità di Paris alla leggerezza che in un certo senso aleggia su The Salt Water Well, si direbbe che quest'ultimo risulta un album di passaggio pur contenendo tracce dall'indubbio valore.
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