venerdì 27 marzo 2020

Azusa - Loop of Yesterdays (2020)


Senza far passare molto tempo dal disco d'esordio Heavy Yoke, il supergruppo internazionale (Grecia, Norvegia, USA) Azusa si ripresenta con la seconda prova. I componenti Christer Espevoll, David Husvik, Liam Wilson e Eleni Zafiriadou si sono ritrovati ad Oslo nello studio di Husvik, ancor prima che Heavy Yoke fosse ufficialmente pubblicato, in una continuità di lavoro senza sosta rispetto a quanto già prodotto. Loop of Yesterdays sembra esprimere proprio questa fretta o urgenza creativa, ancor più secco, veloce e affilato del suo predecessore. Inevitabile che l'album segua le stesse coordinate estreme in un pressoché perfetto consolidamento di identità che non cede un passo alla frenetica marcia innescata da Heavy Yoke.

Dai primi singoli scelti per promuovere Loop of Yesterdays aleggiava il timore che gli Azusa si sarebbero ripetuti con poche rilevanti novità. Invece l'ascolto totale del disco assume tutt'altra forma, presentando un gruppo in grado di snocciolare una quantità di idee impressionante, non formali ma strumentali va precisato, anche nel succinto spazio di due minuti e mezzo. Le estremità che il suono raggiunge è un po' la cifra stilistica e un po' la volontà di stupire a tutti i costi dell'album: Memories Of An Old Emotion è un delirio avant-thrash dei più spietati che si alterna con la limpidità del dream pop dei Cocteau Twins. E se la voce della Zafiriadou è impeccabile nel sostenere due ruoli diametralmente opposti, il resto della band non è da meno. Espevoll in particolare si rivela l'orchestratore di un altalenante stile di chitarra, un momento feroce crogiolo di riff metal e l'altro esploratore di arpeggi avant-garde che viaggiano sul filo di rasoio tra melodia e dissonanza.

Con solo tre musicisti gli Azusa architettano una fitta ragnatela di intricate ritmiche e arpeggi destrutturati che si frammentano in tanti rivoli. Ed in questo caso torno a ribadire che le idee soniche e timbriche giacciono negli arrangiamenti e non nelle strutture, leggermente più ortodosse questa volta, dato che l'alternarsi tra "quiet" e "loud" si colloca in dei precisi punti dello svolgimento (tipo verse/chorus). La materia è tanto rauca ed abrasiva quanto mistica e psichedelica in pezzi come Seven Demons Mary, Rapture Boy e Golden Words. Dentro al carro armato di riff di Detach è presente come ospite Alex Skolnick (Testament) che si spende in un assolo infuocato. Sembra strano, ma nei suoi poli opposti ed estremi Loop of Yesterdays è quella scheggia impazzita mathcore che si ascolta senza alcuna repulsione anzi, è un puro divertimento che trova fascinazione nella complessità.




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