venerdì 28 febbraio 2020

Soulsplitter - Salutogenesis (2019)


L'ambizione e lo sforzo profusi dai Soulsplitter per il proprio esordio discografico assomigliano alle ricche opere concept partorite da Daniel Gildenlow per i Pain of Salvation e all'eclettismo metal-orchestrale degli Earthside. Il quartetto tedesco inizia a lavorare a Salutogenesis sin dalla sua nascita, nel 2015, e riesce a realizzare un'imponente opera prima ricca di ospiti e spaziando in ogni direzione del prog metal, dalle più cupe atmosfere djent alle arie impegnative della fusion.

Sebbene in questo tutti i strumentisti si dimostrano abili nel costruire una credibile ed impeccabile prova degna dei migliori episodi prog metal, è il pianista Daniel Gräupner ad aggiungere una solida patina di sensibilità melodico/avanguardista con le sue progressioni tra il classico e il jazz. Le partiture orchestrali sono tuttavia firmate dal batterista Fenix Gayed eseguite da Nuvola Quartett e German Pops Orchestra. A completare la line-up sono Simon Kramer (chitarra) e Felix Jacobs (basso), più uno stuolo di cantanti che cambiano a seconda dell'impostazione del brano per dare la propria interpretazione.

Salutogenesis va colpire nel cuore dei maggiori interpreti di prog metal di oggi  - Haken, Leprous, Opeth, Dark Suns, Dream Theater e i già citati Pain of Salvation (si ascolti il chorus di The Moloch) - dato che i lunghi tempi dei vari brani permettono al gruppo di destreggiarsi attraverso punti di vista che attingono da una varietà di impressioni stilistiche mutuate dalle band sopra citate, ma fuse assieme con una naturale sensibilità come a dimostrare di aver interiorizzato la loro lezione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un buon debutto che e lascia intravedere ampissimi margini di crescita, ma la band deve maturare nella fase compositiva oltre capire quale direzione prendere.
Non ti nascondo che ad un'esaltazione iniziale è subentrato, negli ascolti successivi, un certo spaesamento.
Ad esempio, tra il brano The Transition e The Dream , sembra di ascoltare due band diverse: la prima non ha una direzione precisa e ci mette dentro tutto, compresa una parte centrale simil Tool e un finale cartoonesco - teatrale (mi son venuti in mente gli Unexpect), con un risultato troppo pasticciato; The Dream è fantastica, il top del disco, con piano e violino a creare atmosfere classico-cinematografiche (immagino che il tastierista abbia fatto studi classici).
In altri brani sembra di sentire i Dream Theater più sinfonici, quelli di Six Degrees o Octavarium (le suite) per intenderci, ma alternati a scelte abbastanza spiazzanti come l'utilizzo delle harsh vocals, con un effetto non sempre riuscito.
C'è da dire che il non avere un cantante di ruolo, ma affidarsi a vari guests, fa risaltare ancora di più queste differenze ,anche se le linee vocali pulite sono sempre molto ricercate ed interessanti e in più di un'occasione mi hanno ricordato gli Haken.
Concordo con le analogie con gli Earthside, che però hanno una cifra stilistica più moderna, laddove i Soulsplitter sono più legati alla vecchia scuola progmetal.
Livellando, sforbiciando e contenendosi un po' sarebbe potuto essere addirittura un capolavoro, ma va bene così.
AntonioC.

Lorenzo Barbagli ha detto...

Tecnica e sapienza compositiva ci sono, ma non mi pare anche a me un album che possa durare sulla lunga distanza, soprattutto perché prende in prestito troppe caratteristiche altrui.