L'idea dei 9 EP non è molto dissimile a ciò che fecero i Thrice con i 4 EP di The Alchemy Index dedicati ai 4 elementi di terra, fuoco, aria e acqua e cioè associare uno stile musicale differente in base alle sensazioni date da quel particolare elemento. Qui si tratta di colori, ma, come si diceva, il concetto è lo stesso.
Per chi conosce i Dear Hunter nella versione canonica degli Act, qui troverà una forma più contenuta, ma non per questo meno spettacolare. Le 36 canzoni (4 per EP), distribuite nei quasi 145 minuti, dovevano avere, per forza di cose, un'impostazione differente rispetto al repertorio che troviamo negli album Act I-III. Crescenzo semmai si mette qui alla prova testando vari generi, o meglio, direzioni musicali. L'assortimento è tale quindi da soddisfare differenti palati musicali, pur lasciando riconoscibile lo stile compositivo di Crescenzo che si adatta a rispettare dei canoni formali ortodossi.
Il Black EP è sicuramente uno dei migliori dei 9 basato essenzialmente su bordoni elettronici, poliritmie programmate e "umane" che si amalgamano, dando spunti - anche progressivi - quasi crimsoniani (si veda l'intermezzo/ponte di Take More Than You Need o il riff all'interno del chorus di This Body).
The Dear Hunter - Filth And Squalor (Black) by ahhmunduh
Il Red EP contiene brani fondati su chitarre elettriche distorte al servizio di un hard rock moderno (quasi stoner) sanguigno e molto diretto. Questo EP perde però di mordente se confrontato con le canzoni di simile ispirazione dell'Orange EP. Anche qui abbiamo dei bei riff sferraglianti, ma che possiedono un tenore meno grezzo dove il punto di riferimento sembrano essere i primi Led Zeppelin (A Sea of Solid Earth, But There's Wolves?).
Yellow é quasi un episodio molto estivo, leggero e distensivo, che si culla tra i bollori della
psichedelia West Coast anni '60 e il Phil Spector "senza Wall of Sound" (She's Always Singing, Misplaced Devotion). Green e Blue sono due EP quasi complementari, legati profondamente alla tradizione musicale degli Stati Uniti, nonché quelli che mi hanno coinvolto di meno. Il primo è un viaggio nel folk, country-bluegrass con tanto di lap steel, il secondo mette a fuoco un soul svenevole fatto di ballate indolenti.
Con Indigo si toccano di nuovo vette di gran spessore. Crescenzo abbandona di nuovo la chitarra in favore di tastiere e sonorità elettroniche con beat programmati e sequencer. Non c'è un brano da buttare, a partire dal nuovo capolavoro Mandala. Le quattro tracce di Violet si rifanno allo stile da musical sensuale che viene utilizzato negli album Act, magari associato ai personaggi femminili della storia. White infine raccoglie dei brani dai toni solenni aperti dal piano alla Keane di Home e chiusi dalla stupenda Lost But Not All Gone.
Forse sarà favorito dalla sua gigantesca mole, ma The Color Spectrum è una delle cose migliori uscite in questo magro 2011.
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