Attivi fin dal 2017 con il nome Xero, Steff Fish (voce), Jamie Southern (chitarra), Jordan Gregory (basso) e Alex Black (batteria), per il loro esordio hanno deciso di cambiare nome in Giant Walker e dare una svolta più concreta e matura al proprio sound prog metal. Anticipato da quattro potenti singoli, l'album All In Good Time è il risultato di una paziente ricerca d'identità e di una scrittura (avvenuta nei primi mesi del 2020 in pieno lockdown) che possa racchiudere nel medesimo ombrello efficaci riff heavy prog, incisive linee melodiche e allo stesso tempo abbia le caratteristiche di far presa sui fan del genere, cercando di evitare il rischio di passare inosservati nella già abbondante proposta metal. Insomma, il gruppo è voluto arrivare all'appuntamento del primo album senza che nulla sia lasciato al caso, come ne è un'altra prova la scelta di Chris Coulter (Arcane Roots, Jamie Lenman) come produttore e ingegnere del suono.
I Giant Walker non fanno mistero di essere influenzati da Karnivool, Tool, Deftones e Soundgarden, giusto per chiarire a quali latitudini musicali ci avviciniamo, e All In Good Time mantiene le promesse nel regalare un susseguirsi praticamente incessante di riff che vanno dall'elaborato al viscerale, ma sempre con abbondante distorsione, quasi a sfiorare in alcuni casi i cupi abissi del djent. A far trapelare la luce in tanta aggressività è la melodiosa, cristallina e duttile voce di Steff Fish, la quale si porta dietro un adeguato bagaglio di studio e preparazione professionale. The Fact In Fiction, non a caso posta in apertura, è un po' la summa e un po' il migliore esito di questa dirompente miscela delle parti che è subito controbilanciata dalla pur buona Katoomba, senza però procurare particolari sorprese o sussulti.
La sferragliante Podha (ripescata e aggiornata dal repertorio degli Xero), in coppia con la martellante Left to Wreck, ci trasporta nei gorghi oscuri dei primi Tool, quando ancora agli albori traspariva in loro un'ombra di grunge. Inertia e Past the Peak donano un tocco etereo e post rock al massiccio contorno sonoro, ma comunque si mantengono fedeli a strutture formali ortodosse, senza particolari deviazioni. Ed è da questo lato che spunta il richiamo a territori più convenzionalmente rock vicini al grunge e all'alternative (Optophobia e All We Have is Gone) e il prog passa sullo sfondo. Come ibrido All In Good Time offre quindi il meglio dei due mondi, anche se non rivoluziona alcunché, convergendo su un'accessibilità potenzialmente aperta a gusti trasversali.
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