Non credo che in Italia siano in molti a conoscere i Braid, anche se si tratta di una band che ha fatto la storia dell'emo/post hardcore, riuscendo, nella sua pur esigua discografia, a siglare un classico riconosciuto del genere come Frame and Canvas uscito nel 1998. Dopo questo album, il terzo della loro carriera, i Braid decisero di sciogliersi a causa di vari fattori quali lo stress da tour in condizioni precarie, pochi soldi a disposizione e differenti idee sulla direzione musicale da intraprendere nel futuro. I Braid ricomparvero nel 2011 con l'EP Closer to Closed che lasciava trasparire un leggero cambio di rotta nel loro sound. E oggi arriva No Coast, primo album in studio dopo 16 anni, dove i Braid confermano quella formula. Il che vuol dire che alcuni fan della prima ora potranno avere una lieve delusione, oppure abbracciare con soddisfazione questa nuova rotta. Ma sicuramente più di una cosa è cambiata da Frame and Canvas.
Poi, sarà un'impressione personale, ma le chitarre spezzate tra armonia e noise e le ritmiche incisive e ponderate ricordano da vicino le cose meno sperimentali fatte dai Motorpsycho tra Timothy's Monster e Angels and Daemons at Play. Ovvero quando provavano a imporre una via più immediata al rock alternativo lo-fi con melodie facilmente assimilabili su Like Always, Starmelt/Lovelight, A Shrug & a Fistful (Damages! ha lo stesso basso elastico e ne sembra un'appendice) o Wearing Yr Smell. Provate ad ascoltare Lux e Climber New Entry e a non percepire quell'impronta compositiva tipica di Snah Ryan, oppure isolare il cadenzato riff di This is Not a Revolution senza pensare a Greener. Ora, dubito seriamente che i Braid conoscano i Motorpsycho, ma la sensazione provata ascoltando No Coast è stata una di quelle coincidenze auditive che me lo hanno fatto amare fin da subito.
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