domenica 1 dicembre 2024

Martin Grech - Phantasmagoria EP e altre novità


Dopo aver consegnato alla storia un capolavoro come Hush Mortal Core nel 2020, qualcosa si sta lentamente smuovendo nel mondo di Martin Grech. L'artista ha i suoi tempi, oltretutto nel lungo periodo di silenzio che ha seguito March of the Lonely (2007), è diventato molto severo e selettivo nei confronti della propria produzione, scartando e archiviando idee per interi album (prima di Hush Mortal Core ne sono stati abortiti addirittura due). 

Ora, tra i resoconti periodici pubblicati sulla sua pagina Patreon, Grech ha fatto sapere che un altro progetto dal titolo Phantasmagoria è stato definitivamente accantonato in favore di uno in corso di scrittura che verrà pubblicato in futuro. Nonostante ciò, il cantautore ha messo da parte svariati brani e demo intesi per far parte di Phantasmagoria e che ha la volontà comunque di rendere pubblici. La prima raccolta si è materializzata sotto forma di EP e contiene una piccola selezione delle tracce pensate per Phantasmagoria, tre cantate e due strumentali, che vanno in una direzione se vogliamo ancor più sperimentale rispetto a Hush Mortal Core. Trattandosi di un artista molto imprevedibile come Grech è meglio non sbilanciarsi riguardo a notizie su future pubblicazioni, ma a suo dire altro materiale inedito è in arrivo (e se non altro esiste, come ben sanno gli abbonati a Patreon).


Bonus Tracks:
Di seguito altri brani resi disponibili nel canale YouTube di Grech, l'inedito Phantasia, due brani live in studio tratti da Hush Mortal Core ed infine un'altra resa live in studio di The Greatest Show on Earth che nelle intenzioni di Grech dovrebbe far parte del nuovo album attualmente in lavorazione.

lunedì 25 novembre 2024

stop.drop.rewind - stop.drop.rewind (2024)


Tra i gruppi emo-prog-hardcore che ruotano da anni in questa sfera, tra i nomi meno noti e più nascosti al pubblico ci sono i stop.drop.rewind dei quali un po' di tempo fa ho già parlato. La carenza di copertura da parte della stampa statunitense riguardo a questo gruppo non rende giustizia ad un progetto che racchiude un'anima tesa ad ampliare gli orizzonti dell'emocore. Il loro primo album Elements & Aftermath risale ormai al 2018 e da quel momento il trio dell'Indiana ha pubblicato svariati singoli e un EP. Il qui presente omonimo album è quindi il secondo nella loro discografia e, se ancora non ne avete sentito parlare, è un'ottima introduzione al sound peculiare del gruppo.

I stop.drop.rewind si definiscono "progressive powerpop", cosa che descrive in parte la loro proposta, in realtà ampiamente più complessa ed elaborata. Certo non manca l'alternanza con episodi più leggeri, quasi pop punk, come il brano Hair of the Dog, ma l'essenza dei stop.drop.rewind risiede nel dare spazio alla loro perizia strumentale che talvolta sfocia nella fusion e dà risalto alle evoluzioni di basso del frontman Kris Lohn. Ad esempio Luminescence integra groove funk all'interno della forma poliritmica del math rock, The Bomb, con i suoi continui cambi di direzione, assume nella struttura un'anima più prog, mentre Black Holy Benny si rigenera con un andamento pop punk, ma mantenendo un forte approccio power pop. 

Nei stop.drop.rewind quindi anche la materia scanzonata del pop punk viene affrontata con interventi che si sommano ai regolari "strofa e ritornello" in modo da intricare e rendere imprevedibile l'andamento dei pezzi. E' ovvio che la perizia tecnica del trio ci mette del suo per complicare una strada che si vorrebbe semplice, ma come loro stessi dichiarano nell'azzeccata definizione "ecco cosa succede quando gli emo kids crescono e prendono una laurea in jazz."

giovedì 21 novembre 2024

Atomic Guava - Beach Episode EP (2024)


Due anni fa gli Atomic Guava con l'esordio Peasants of the Future avevano mostrato una discreta carica sovversiva nell'affrontare il prog metal, spingendo l'acceleratore su aggressività e melodia, djent selvaggio e synthpop giapponese, virtuosismi fusion e math rock, tutto affrontato con molta ironia senza prendersi troppo sul serio. Adesso il quintetto capitanato dalla coppia Martin Gonzalez (chitarra) e Elizabeth Hull (voce) pubblica il nuovo EP Beach Episode con quattro tracce e scritto in soli quattro giorni, come fosse una sfida. Le canzoni, pur avendo per questo motivo un impatto più diretto, non mancano di mostrare arrangiamenti avventurosi e spunti interessanti a livello tematico.

sabato 9 novembre 2024

Il massimalismo math rock e folk barocco di Pete Davis

Dato che tra queste pagine non ne ho mai parlato e anche in generale sul web viene troppo poco citato, vorrei porre l'attenzione su un musicista poliedrico come Pete Davis, il cui corpus artistico merita di essere scoperto. Inizialmente conoscevo Davis solo per il suo progetto math rock Invalids, ma in seguito ho scoperto che questo era solo una parte di una più composita discografia con varie sfaccettature. Davis nei primi anni 2000 si sposta tra New Jersey e Oregon collezionando un gran numero di demo che poi re-inciderà più professionalmente nell'intimità della propria casa. Tra le prime cose a cui Davis dedica attenzione ci sono dei brani post hardcore/prog punk che vanno a finire nel 2011 nell'unico omonimo album dei Surface Area, registrato con il batterista Jon Lervold e poi una più ampia collezione di canzoni dal carattere folk, un lato che il polistrumentista sviscererà in modo del tutto personale partendo dal primo album a suo nome Passing It Off as Art del 2003. Su questa costola solista Davis si destreggia in esperimenti bizzarri come Hapax Legomena (2023), nel quale la scommessa è comporre solo canzoni della durata di un minuto, oppure con stratificazioni a cappella e di molteplici strumenti che concorrono ad aumentare le proprie abilità di home recording come una sorta di virtuosismo aggiunto.

 

L'EP False Friends e la sua traccia di apertura Everyone Felt Each Other Felt Fine può servire da buona introduzione per comprendere come Davis giunga ad una visione finale armonica che ha sviluppato in completa solitudine. Questo folk barocco che ricopre un raggio dal minimale all'orchestrale raggiunge lo zenit nell'album The Pottsville Conglomerate (2011), un'opera mastodontica da quasi 100 minuti nella quale il musicista si occupa di tutti gli strumenti, particolare da non sottovalutare visto che si parla di brani che si allargano fino a 8-9 minuti con piglio orchestrale e multitematico. Per l'ambizione messa in campo basti dire che siamo dalle parti di Sufjan Stevens, The Dear Hunter e Adjy, ovvero quel territorio poco battuto in cui il folk tradizionale amricano incontra l'emo, il bedroom pop e il prog.

Negli Invalids invece Davis mette sul tavolo un math rock ipertrofico e frenetico, imbevuto di tapping e ritmiche indiavolate, come una versione sotto steroidi dei TTNG. Finora con gli Invalids Davis ha prodotto tre album, l'ultimo dei quali Permanence del 2022 è come una summa dei suoi vari progetti: un incontro massimalista di math rock, armonie vocali a quattro parti e una complessa rete ritmica che vanno a completare una collezione di tracce estremamente satura di sovraincisioni la cui intricata architettura le rende affascinanti e disorientanti. L'impatto è alquanto singolare, ma questo album degli Invalids riunisce una serie di qualità da farsi apprezzare nell'uso della polifonia stordente ad ampio raggio utilizzata sia a livello strumentale che vocale.

domenica 3 novembre 2024

Notes from the Edge of the Week #12

  • I Gladiolus sono una band australiana che ha deciso di esordire non con un EP ma con un imponente album di 73 minuti. Inertia presenta un solido prog metal che spazia dal melodico all'aggressivo, accompagnando tale scelta con l'alternanza di voci clean e harsh. Data la sua lunghezza, dentro ad Inertia si trovano le tante sfumature di metal che possono andare dall'atmosferico al djent, fino ad arrivare alla fusion con brani che quasi sempre presentano una durata estesa (ad esempio i due tour de force di oltre 10 minuti della title-track e di Flicker). I riferimenti possono essere rintracciati nei Tool, Karnivool e Opeth, però i Gladiolus sono abbastanza accorti da non risultare delle copie carbone senza guizzi. Album notevole, soprattutto nella seconda parte, se si ha la pazienza di arrivarci.  



  • i Häxa è il nome di un collettivo guidato dalla cantante Rebecca Need-Menear (del duo art rock Avanae e qui potete vederla in azione come backing vocalist di Martin Grech) e dal produttore Peter Miles (TesseracT, Martin Grech, Cestra, Architects, FIZZ). L'omonimo album che viene adesso realizzato nella sua interezza è la somma di quattro EP pubblicati durante il 2024 al cadere dei solstizi ed equinozi. Da questo indizio si capirà che anche il concept dietro al progetto è rilevante e la musica si indirizza verso un dark folk elettronico che richiama l'esoterismo e i rituali pagani degli Sleep Token, anche se musicalmente qui siamo dalle parti di una versione gotica e rarefatta di Julie Christmas e Marjana Semkina. A tratti sperimentale, a tratti art pop sofisticato e atmosferico, i Häxa è un esperimento abbastanza affascinante. 

 
  • Devo ammettere che non ero molto ansioso di ascoltare il nuovo album dei riuniti Beardfish anche perché, dopo averli scoperti, apprezzati e seguiti a partire da The Sane Day, da Mammoth in poi li ho visti perdersi in un manierismo ripetitivo che li aveva progressivamente intrappolati in una formula poco interessante. Songs for Beating Hearts invece li riporta ad una buona ispirazione, soprattutto nella prima parte con la suite Out in the Open


  • Uno dei tanti misteri delle dinamiche del mercato musicale è come mai gli Amarionette non godano di un pubblico più vasto. Non dico che debbano sfondare nel mainstream, ma il genere di musica accattivante che producono - una specie di post hardcore imbevuto di funk, nu soul, RnB, disco e synthwave - sembrerebbe fatto apposta per i tempi che stiamo vivendo, dominati da mode retro futuriste con un occhio ai social, dove in genere questi ibridi hanno un appeal privilegiato. C'è chi ha cavalcato questi crossover da molto meno tempo degli Amarionette ed è divenuto comunque più noto di loro. Il nuovo EP AMVIRI II non fa altro che ribadire il potenziale pop-core del gruppo. 

venerdì 1 novembre 2024

Isbjörg - Falter, Endure (2024)


Da ormai più di un anno e mezzo fa i danesi Isbjörg avevano iniziato la marcia che ha portato a questo secondo album, che arriva dopo Iridescent del 2019, cominciando con il pubblicare il primo singolo Ornament (di cui qui abbiamo un'intervista) e con l'occasione presentare anche il nuovo cantante entrato in formazione Jonathan Kjærulff Jensen. Arrivati adesso a Falter, Endure i sei mostrano tutta la potenzialità di quello che loro chiamano "math-stadium rock", qualità che già risplendevano nei cinque singoli usciti in anteprima.

La peculiarità degli Isbjörg è quella di porre il riflettore del loro sound sul piano acustico suonato da
Mathias Bro Jørgensen e, nonostante ciò, il gruppo consiste anche di due chitarre ad opera di Dines Dahl Karlsen e Lasse Gitz Thingholm. Quindi niente trucchi con tastiere o sintetizzatori, ma solo un forte senso di pop pianistico amplificato su grande scala. Questo si traduce in un suono corposo e stratificato, che magari l'imperante supremazia del prog metal di oggi potrebbe far erroneamente includere gli Isbjörg all'interno della sua sfera. Invece le melodie cristalline e gli impasti elettroacustici sognanti concorrono a donare una proposta del tutto personale alla musica del sestetto. Per l'epica e solennità del sound è come se fossero una versione prog rock dei conterranei Mew votati però ad un indirizzo AOR. 

La componente che fa auto-definire il prog della band come "stadium rock" è presto spiegato dalle altisonanti e cristalline armonie (vocali e strumentali) del primo brano Ornament, ma tutta l'estetica dei brani è indirizzata verso una resa grandiosa attraverso ampie e ariose melodie che si dispiegano oltre con Homeward Bound, l'avvolgente finale di Under Your River (il cui ultimo inciso anticipa il chorus della conclusiva The River of You) e Afterglow, non perdendo tale caratteristica neanche quando i riff di piano e chitarra si incontrano in intrecci dal sapore melodrammatico come su Am I the Sinner Now?.

Il fatto di rendere i brani accattivanti non impedisce agli Isbjörg di costruirci sopra intermezzi, articolazioni e sviluppi con poliritmie in cui una costante e sottile sensazione di uno scopo sinfonico-avventuroso si possa applicare ad una musica così emotiva ed avvincente. Ad esempio i saliscendi dinamici di Solitaire o la multipartita mini suite Dressed in White Lies sono due picchi espressivi dell'album dove il gruppo espone una gran competenza per un linguaggio prog moderno che non guarda affatto al passato, anzi, nella seconda si stagliano persino echi della teatralità dei The Dear Hunter. Ben vengano quindi album come Falter, Endure piantati nella contemporaneità del prog e che cercano di ritagliarsi un posto senza rifarsi per forza a stilemi precedenti ormai riconoscibili, ma provando a trovarne uno proprio. 

domenica 27 ottobre 2024

Notes from the Edge of the Week #11


  • I Tigerwine sono uno dei gruppi più sottovalutati dell'attuale scena post hardcore americana. Dopo aver avuto la sfortuna di pubblicare una bomba di album come Nothing is for You in piena pandemia, senza alcun modo di promuoverlo, la scarsità di comunicazione mi aveva fatto temere si fossero definitivamente sciolti. Invece eccoli di nuovo con Toil & Spin, un lavoro asciutto, molto meno sperimentale e dilatato di Nothing is for You  ma altrettanto efficace nel tradurre in musica tutto l'appeal del composito psych doomgaze del gruppo. I pezzi di Toil & Spin appaiono più diretti e con divagazioni psichedeliche ridotte all'essenziale, ma vi è riversata una potenza di fuoco sonica incentrata su distorsioni chitarristiche lambite da costanti interventi spaziali, doom e riverberi infiniti di una espressività avvolgente. L'amalgama ha un impatto pesante e astrale allo stesso tempo da far posizionare i Tigerwine tra post grunge e doomgaze in una maniera che, se adorate Soundgarden e Thrice, non potete perderli. 


  • Gli Hey, ily! fanno parte di quella frangia bedroom pop della quinta onda emo la quale ha preso piede dopo la pandemia e che comprende progetti come Lobsterfight, Your Arms Are My Cocoon, Weatherday e Asian Glow. Dopo alcuni EP realizzati con l'etica lo-fi il qui presente album Hey, I Loathe You! capitalizza tutte le caratteristiche estetiche portate avanti dal sottogenere post emo, frullando dentro i suoni più disparati tra cui post hardcore, metalcore, easycore, chiptune e power pop. Insieme ad altre grandiose uscite del 2024 in campo post emo, tra cui Glass Beach, Topiary Creatures, Origami Angel e Stay Inside, l'album degli Hey, ily! testimonia l'ottimo stato di salute di un sottogenere ignorato da chiunque, ma tra i più originali del panorama rock moderno.


  • Dopo Everbloom il chitarrista Greg Almeida con The Impermanent Amber firma un altro capitolo del suo progetto Secret Gardens. Questo album è sicuramente il suo più accessibile, poiché nella varietà con cui incastra prog, metal, fusion, emo, post rock e post hardcore, ogni brano trattiene un alto tasso di orecchiabilità melodica e atmosferica. Alla batteria ritorna il mai troppo lodato Joseph Arrington (A Lot Like Birds, SianvarRoyal Coda, Gold Necklace), il cantato compare con molta più presenza e non viene disdegnato l'utilizzo di una produzione che include orchestrazioni e il gusto per stratificazioni che danno un senso di grandiosità e pienezza. In definitiva un album stilisticamente eclettico ma che fonde bene i propri generi fino a renderlo omogeneo. 


  • Un altro chitarrista che si occupa di metal fusion, il canadese Gabriel Silva Castro, con i suoi Yūrei pubblica l'EP di quattro tracce Our Dreams Were All For Everything. A differenza dei passati lavori che vedevano un approccio interamente strumentale, in questo EP Castro cambia volto al suo progetto e aggiunge alla formazione la voce femminile di Katie Thompson, oltre ad una cura per le progressioni armoniche fusion maggiormente marcata. In questo modo i pezzi respirano un'aria di djent atmosferico trascendentale e ultraterrena che potrà essere apprezzata da chi ama The Contortionist, Karmanjakah e Tetrafusion.


  • Dopo sette anni dal primo album tornano a farsi vivi anche i Mad Lollypop, duo di Indianapolis formato da Andy Irwin e Sean Hilton. Lo stile rimane più o meno quello di Party with Imaginary Friends, ovvero un prog rock moderno condito di elettronica pesante, utilizzata in modo da amplificare la sensazione di trip psichedelico ma ancora più ambizioso, come testimonia il folle e autoindulgente viaggio di 18 minuti di The Abduction. Come avevo scritto a suo tempo, uno dei paragoni più immediati rimane quello con i Porcupine Tree della prima fase, vale a dire quelli di Up the Downstairs e Voyage 34, il fine di sballarsi creando un parallelismo tra psych prog e acid house è lo stesso. 


  • I Lobby Boxer sono una di quelle band che suonano indie rock ma per fortuna con una propria personalità senza allinearsi ad una formula abusata. Infatti se il punto di partenza dei brani è aderente a quello stile, non si può mai prevedere quale piega o direzione possa prendere il gruppo per rendere l'andamento costantemente interessante. Head Shoulders Knuckles Floor è una collezione di pezzi ad alta energia che fonde indie, emo, math rock, post hardcore e prog, ognuno di questi usato a basse dosi per mantenere le canzoni su una soglia equilibrata non troppo sperimentale e abbastanza accattivante. 

martedì 8 ottobre 2024

Guitar and Video Games - Tracce di Progressive Rock nel Post Emo 2018-2024



Dopo otto anni sono tornato a scrivere un libro e non credevo che avrei rimesso mano alla carta stampata, soprattutto in questo periodo, nel momento in cui altprogcore ha perso il suo slancio originario e l'interesse verso nuove forme di musica non ha mai veramente attecchito dalle nostre parti. Non credevo insomma di trovare un nuovo argomento che valesse la pena raccontare, dato che ormai a livello musicale sembra che sia stato provato di tutto. Se ciò è avvenuto è perché qualcosa, al contrario, si è mosso nel panorama odierno e dopo anni di ascolti disparati l'unico sussulto di innovazione l'ho trovato nel genere più improbabile: il post emo. Con questo non voglio dire che il resto della musica non abbia più nulla da dire o che abbia esaurito le idee, ma che ormai la maggior parte si aggrappa a degli schemi che un ascoltatore esperto sa interpretare e riconoscere. Nel post emo, anche detto "quinta onda emo", ho invece ritrovato un certo parallelismo con quell'impulso vitale e attivamente libero da barriere che ormai più di venti anni fa si prefigurò con il connubio tra post hardcore e prog ed è l'unico sottogenere in cui abbia riscontrato una vera progressione in termini di sviluppo e commistioni.

Dato che per quanto riguarda il rock la saggistica ad esso dedicata tende comprensibilmente a concentrarsi su nomi noti e argomenti popolari, il mio pensiero è sempre stato quello che, se si deve scrivere qualcosa in proposito, è meglio farlo dedicandosi a soggetti che ancora nessuno ha preso in esame e che, ovviamente, su tale questione ci sia abbastanza materiale per poterne parlare con cognizione. Purtroppo tale scelta impopolare non facilita la divulgazione di ciò che scrivo, però il solo fatto di poter offrire una visione alternativa e avere la possibilità di far conoscere nomi e artisti altrimenti poco conosciuti è una gratificazione sufficiente. 

Questo è quanto riportato in quarta di copertina:
"Al di là dei cliché e dei pregiudizi che il termine “emo” può suscitare, legati soprattutto all’estetica della sua sottocultura, dal punto di vista musicale il genere emo è stato uno dei più imprevedibili, divisivi e incompresi, soprattutto per aver mostrato solo la punta dell’iceberg nel momento della sua massima popolarità tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, con il successo di band come My Chemical Romance, Paramore, Fall Out Boy e Jimmy Eat World. Ancora oggi la sua influenza viene citata da star di grande successo tra cui Olivia Rodrigo, Taylor Swift, Demi Lovato. 

In realtà il suo lato più alternativo e indie ha raccontato una storia differente e ben più articolata. A 40 anni dalla sua nascita l’emo è passato finora attraverso cinque onde, ognuna delle quali frazionata in tanti piccoli rivoli concentrati nel dare risalto ad aspetti e stilemi diversificati. Arrivati alla cosiddetta “quinta onda emo”, il genere ha metabolizzato e incorporato tutte quelle influenze incontrate durante il suo cammino: math rock, chiptune, bedroom pop, post rock, power pop e le ha capitalizzate in una variante massimalista di se stesso. Proprio per questo si è giunti a parlare di “post emo” nel momento in cui alcune band come Glass Beach, Topiary Creatures, Adjy, The World Is a Beautiful Place e Foxing hanno iniziato ad includere forme e suoni più ampi, complessi ed ambiziosi nel proprio sound. Le conseguenze di questa rivoluzione ha portato l’emo a mostrarsi come qualcosa di molto simile al prog rock e "Guitar and Video Games" racconta come ci siamo arrivati."

Il libro è disponibile ai seguenti link nelle due versioni indicate. Come per tutti i miei altri testi c’è anche la possibilità di acquistarlo ad un prezzo scontato tramite il blog utilizzando la colonna di destra. Grazie in anticipo per la fiducia. 



venerdì 4 ottobre 2024

Geordie Greep - The New Sound (2024)


L'annuncio improvviso lo scorso agosto della fine dei black midi penso abbia colto di sorpresa quasi tutti coloro che li conoscono. Altrettanto sorprendente è stata la velocità con cui il frontman Geordie Greep ha pubblicato il suo primo album da solista, registrato per la maggior parte in Brasile con musicisti trovati in loco per un totale di una trentina di persone coinvolte, oltre alle ospitate degli ex black midi Morgan Simpson e Seth Evans. The New Sound è contemporaneamente il titolo dell'album, il nome della band e una dichiarazione di intenti. Il distaccarsi dal suono originario dei black midi era quindi già prefigurato, ma in tutta sincerità non sapevo quale indirizzo avrebbe potuto prendere la carriera solista di Greep, ma di sicuro niente che potesse accostarsi a tale livello. 

Se questo deve essere ciò che la dissoluzione dei black midi ha generato, allora ben venga la loro morte. Tutto ciò per dire ancor più chiaramente che The New Sound in termini di risultati supera di gran carriera quanto prodotto da quella band nell'arco di tre album. Magari non sarà giusto fare paragoni, ma Greep è stato pur sempre un membro fondatore dei black midi ed un confronto con il repertorio che ha contribuito a scrivere è inevitabile. La maturazione di Greep come direttore artistico e principale motore del progetto è impressionante e a questo punto è lecito sospettare che la band fosse per lui un freno, il che è paradossale visto che il trio inglese aveva fatto della libertà sperimentale il proprio cavallo di battaglia. Eppure The New Sound sa percorrere strade ancor più avventurose e avvincenti. Senza mezzi termini, qui siamo di fronte ad una resa grandiosa: lo spettro sonoro coperto, la visione musicale di Greep, l'esecuzione musicale dell'insieme, l'organizzazione strumentale, sono qualcosa di impressionante se si pensa poi alla giovane età dell'autore.

Su The New Sound Greep costruisce un ensemble dai forti connotati musicali latino-americani, per ciò che riguarda le ritmiche (salsa, samba, rumba) e certe armonie estratte dalla bossa nova. Questo ultimo aspetto si arricchisce da sprazzi jazz, fusion e prog, che riprendono le pirotecniche linee math rock e sperimentazioni avant-garde dei black midi, ma con un gusto di profondità melodica e strumentale degna della maniacalità degli Steely Dan. La componente cabarettistica che nei black midi era accentuata proprio dall'istrionismo canoro di Greep in questo caso lascia spazio ad un crooning da big band in un connubio, come anche il cantante sottolinea, tra Frank Zappa e Frank Sinatra

Sinceramente stupisce come Greep abbia orchestrato e concepito un disco del genere, così sontuosamente ricco negli arrangiamenti e nelle stratificazioni. In ogni passaggio o cambio di direzione sono nascosti tanti particolari timbrici che formano un corto circuito tra sonorità lounge jazz/funk anni '70 e lo sfoggio di tecnicismo moderno, non indirizzato però al virtuosismo ma all'accrescere le potenzialità della prospettiva sonora e timbrica. Forse a descrivere ogni brano si fa un disservizio alla sorpresa che ognuno di questi può suscitare, anche perché non ce n'è uno che risalti sopra ad un altro, l'eccellenza in questo caso trabocca nella totalità di tutte le tracce. Un esordio di tutto rispetto, forse anche di più. I black midi sono morti, lunga vita a Geordie Greep.

martedì 24 settembre 2024

Paul Hanson and Raze The Maze - Calliope (2024)


Ci voleva un fagottista per concepire uno degli album prog più avventurosi di quest'anno. Proprio così, Calliope è stato realizzato da Paul Hanson in collaborazione con i Raze The Maze, ovvero il duo formato dagli ex MoeTar Moorea Dickason (voce) e Tarik Ragab (basso) che, se già conoscete, potrete avere un'idea dello stile che crea un crossover tra fusion e pop matematico, qui condotto su confini ulteriormente avanzati. Hanson ha ovviamente una formazione classica, ma il suo impegno a far sconfinare il proprio strumento nei reami del jazz lo ha portato a collaborare con leggende del calibro di Jon Batiste, Wayne Shorter, Béla Fleck e Billy Cobham, il quale è qui presente come ospite in un brano.

Come è chiaro fin dalle prime due tracce - When is Enough? e KDB (Kithairon Deluxe Band)Calliope si cimenta in un frenetico funk jazz con venature math rock ma che, nonostante premesse cervellotiche, si dipana in molteplici sentieri abbastanza orecchiabili, non disdegnando quindi sensibilità art pop caratterizzato dal cantato in contrappunto della Dickason. Il risultato può essere paragonato ad una versione moderna dei Bruford (nella prima incarnazione con Annette Peacock) o, se volete paragoni più attuali, come una spettacolare fusione tra il fusion prog dei Finneus Gauge (band di breve vita creata dal tastierista Chris Buzby degli echolyn) e i Knower (per questo si ascolti l'ultima traccia Doorknocker).

Per capire ulteriormente quali coordinate imbocca l'album, nella title-track siamo dalle parti della Canterbury school più evoluta (quella dei National Health per intenderci) che poi si è propagata negli USA con However e Happy The Man, cioè quella frangia che non si tirava indietro nel dare spazio a strumenti classici inusuali prestati al rock. Se siete familiari e apprezzate i riferimenti, Calliope è un disco da non perdere e che ha molto da offrire anche dopo molteplici ascolti.


venerdì 20 settembre 2024

Autumn math rock roundup



I primi due album che segnalo li ho voluti accorpare in quanto simili negli intenti. Il trio belga Chatte Royal con Mick Torres Plays too F***ing Loud e il duo danese Michael Ellis con Modern Heresy producono entrambi un math rock energico e dinamico. I loro due album sono tra le cose migliori ascoltate quest'anno in ambito math rock strumentale con particolare menzione ai Michael Ellis che, con solo batteria e chitarra, riescono a dare un sound corposo a trame elaborate in continuo cambiamento.



Il progetto Jesk è il frutto dell'unione del batterista Casey Deitz (The Velvet Teen) e del polistrumentista Tristan Hammond (ex The Felix Culpa) che nell?EP di esordio Boombox Odyssey hanno coinvolto altri collaboratori producendo un alt rock sempre in bilico tra melodia e sperimentazione.



Uscito da già da un po' di tempo, ma per chi se lo fosse perso il nuovo album di Wes Thrailkill Unperson è una nuova perla di math fusion chitarristica che continua la felice ispirazione dei suoi lavori.



I The Pneumatic Transit sono stati fondati da Jeff Zampillo,ex chitarrista degli Exotic Animal Petting Zoo, la cui line-up ha finito per includere l'ex batterista degli Umphreys McGee Michael Mirro e poi  (chitarra), Waz Fox (Rhodes, Wurlitzer, Synth), Carl Coan (sassofono, EWI) e Michael Ferraro (violoncello). Forbidden Trinkets è il terzo album che continua l'esplorazione di meandri math prog e jazz-core che Zampillo aveva già inaugurato in modo eccellente su Concerto for Double Moon, ispirato da The Mars Volta, Mahavisnu Orchestra e musica classica.  



Invece 3ONVEGA è un trio italiano formato da Alessandro Emmi (chitarra, loops), Lorenzo Fiori (basso) e Claudio Sambusida (batteria) che nell'EP APAX (seguito dell'album Kolorbloks uscito due anni fa) contamina di elettronica l'originario math rock di partenza, trovando la strada verso un suono post rock moderno e futuristico.

venerdì 13 settembre 2024

Sans Froid - Hello, Boil Brain (2024)


E' da ormai diversi anni che i Sans Froid sono insieme e si esibiscono nella scena underground britannica, avendo però prodotto nel giro di tutto questo tempo solo qualche singolo. Hello, Boil Brain è il loro vero e proprio debutto e può essere inserito facilmente in una categoria che taglia trasversalmente art rock, prog e math rock. Le evoluzioni vocali e pianistiche della front woman Aisling Rhiannon possono far venire alla mente le prime sperimentazioni dei Bent Knee, ma molto spesso il cervellotico ma accattivante impianto strumentale coadiuvato da Toby Green (batteria), Charlie Barnes (chitarra) and Ben Harris (basso), si inerpica in energiche e spigolose trame che ricordano gli A Formal Horse. Al di là dei paragoni si sarà capito che i Sans Froid offrono un songwriting avventuroso che non disdegna ammiccamenti al pop, anche se l'atmosfera generale trasmessa dalla musica è costantemente tesa e talvolta oscura.

mercoledì 4 settembre 2024

Marianas Trench - Haven (2024)


Nella loro carriera i Marianas Trench, guidati dall'ispirazione trascinante del cantante e autore Josh Ramsay, si sono cimentati in un emo power pop indirizzato verso connotazioni grandiose, magniloquenti e, quasi a legittimare tale indirizzo, per ogni album è stato scelto un concept o un tema portante che andasse a legare le varie canzoni. Haven, sesta opera in studio che segna una pausa di cinque anni dal precedente Phantoms, non fa eccezione ed è forse il picco creativo del gruppo canadese in questa continua ricerca della pomposità barocca applicata al pop, detto con tutta l'accezione positiva del caso. "Opera" è un termine scelto non a caso, visto che i Marianas Trench non hanno mai nascosto la propria volontà di creare una musica teatrale e altisonante che, a partire dal secondo album Masterpiece Theatre (2009), ha scavalcato i confini dell'originario emo pop presentato su Fix Me (2006). Da quel momento i Marianas Trench hanno allargato i propri orizzonti toccando power pop, synphonic rock, art pop e dance pop. Non a caso i loro punti di riferimento si possono rintracciare in Queen e Jellyfish

Su Haven c'è tutto questo e anche di più, ovvero si aggiunge una completa disamina di richiami al synth pop e new wave anni '80 ma infarciti di una episodica frenesia citazionista e un vortice di idee barocche da suonare maledettamente attuale. Anche per Haven Ramsay ha dichiarato che era alla ricerca di un tema conduttore e quando la scelta è caduta sul libro "L'Eroe dai Mille Volti" dello studioso di mitologia comparata Joseph Campbell (mmmh, mi ricorda qualcosa) è sembrata fatta apposta per sposarsi in musica con il carattere "cinematico" dell'album, amplificato dall' intervento della Vancouver Film Orchestra diretta da Hal Beckett. Rimane invariata anche la tipologia di struttura data alla tracklist, ovvero aprire e chiudere l'album con due epic tracks e sbizzarrirsi con canoni pop per il resto dello spazio. Direi però che questa volta la materia delle tracce in teoria più "frivole" si spinge spesso nella direzione avventurosa esposta nelle due mini suite. In più la sempre dotata vocalità di Ramsay si dimostra particolarmente in grande spolvero e si fa più ricorso alle abili armonizzazioni vocali di tutta la band. 

 A Normal Life dispone i tasselli per un esaltante viaggio, dando sfogo in sette minuti ad un caleidoscopio di arzigogoli prog, glam ed emocore in un connubio tra i Silverchair dell'era Diorama e i Biffy Clyro di ultima generazione, piuttosto votati al pop mainstream ma aggressivi quando serve. Anche nella successiva Lightning and Thunder si potrebbe intentare un paragone con il trio scozzese, con maggior riferimento al periodo centrale della loro carriera. Da qui in poi la grandiosità di A Normal Life lascia il passo ad un pop rock più immediato ma non privo di evoluzioni, salvo poi tornare occasionalmente. In special modo sui vertiginosi inserti orchestrali di Worlds Collide e sui mutevoli temi cha danno carica melodrammatica alla title-track, che nel finale si ricollega tematicamente alla prima traccia. In ogni caso, anche nelle canzoni spiccatamente accattivanti, i Marianas Trench giocano con le forme in un saliscendi contrastante che passa dal pop più complesso a quello più zuccheroso, evitando anche la trappola di apparire fastidiosi ogni volta che propongono un "signature sound" derivato dalle classiche hit anni '80. In questo caso, personalmente, riescono a farmi piacere delle cose che normalmente rigetterei, come alcune modulazioni verso il dance pop reminiscenti del loro album Ever After (2011). 

A ben vedere Haven mescola e somma tutti i mutamenti che i Marianas Trench hanno toccato nei loro album precedenti e li fa convivere con un tocco estroso ed eclettico che ha contribuito ad evolvere la musica fino a renderla più avventurosa (come il viaggio dell'Eroe di campbelliana memoria per altro). Forse è per questo che Haven è il loro lavoro migliore.

lunedì 2 settembre 2024

Zane Vickery - Interloper (2024)


Un album spesso diventa un diario a cuore aperto del proprio vissuto e, nel caso riguardi un evento drammatico, è molto probabile che la sua intensità vada a intensificare l'emotività della musica. Questo in pratica è, in due righe, il contenuto di Interloper, secondo album del cantautore Zane Vickery. Un disco che si rivela una bestia di 73 minuti, risultato di due anni di travagliato lavoro nei quali Vickery si è ripreso da un quasi mortale incidente stradale causato da un guidatore ubriaco che purtroppo non si è salvato dallo scontro. Interloper riguarda un profondo processo di introspezione con il quale Vickery ha reagito all'accaduto, sentendosi responsabile per il tragico destino dell'altro guidatore tanto da sentirsi in colpa per essere sopravvissuto, pur non essendo lui la causa dell'evento. E a questo punto si apre tutta una parentesi sul perdono, sulla provvidenza divina che ci dà segnali e ci guida verso scopi a noi ignoti, sul credere in qualcosa di superiore che ci fa vivere momenti difficili e corregge la nostra morale attraverso ciò che accade nella nostra vita. In una parola: la fede.

Vickery affronta tutto questo aprendosi completamente nelle liriche, aggiungendo all'esperienza del perdono anche il difficile rapporto col padre, l'amore per sua moglie e rispolverando con ancora più forza il suo credo cristiano che già aveva fatto capolino nel precedente Breezewood (2021) tramite i riferimenti allo scrittore C.S. Lewis e alla sua opera sul mondo di Narnia. Nella musica statunitense non è raro imbattersi in tematiche cristiane pur non ricadendo specificatamente nell'etichetta di "christian rock". Anche nella musica alternativa si possono trovare velati riferimenti alla religione o precisi contenuti sulla fede, a seconda che i testi lascino libera interpretazione o che non ne nascondono i riferimenti. Per fare degli esempi nel rock contemporaneo si pensi a Dustin Kensrue dei Thrice, a Jeremy Enigk, ai Valleyheart, agli Emery, agli Adjy e molti dei gruppi appartenenti all'etichetta Tooth & Nail. Detto questo, penso che si possa apprezzare la musica che ci viene offerta anche se si è agnostici.

E' raro al di fuori del progressive rock trovare un album così esteso, peraltro con una gran mole di canzoni (17 in tutto), che scorra senza stancare e che possegga un'ampia varietà di pezzi ad alto spessore. In più, per essere una produzione indipendente, c'è una qualità e un'attenzione nella costruzione sonora da poter competere con quelle di più alto profilo. Vickery usa l'alternative rock americano come punto di partenza e lo ammanta con arrangiamenti ricchi che di volta in volta pescano stratagemmi da post rock, dream pop, folk, prog, post hardcore e emo. Ovviamente questi riferimenti vanno contestualizzati nel quadro generale come sfumature che aiutano le canzoni a rendere meglio la carica emozionale che possiedono e a fargli spiccare il volo. Proprio per questo Interloper non è il classico alt rock album che si omologa alla moltitudine, ma si distingue nel cercare un sound personale, aiutato dalla notevole interpretazione vocale di Vickery.

La title-track che apre anche l'album è, nella sua lenta evoluzione in crescendo, un foreshadowing del mood con cui procederà il disco, a tratti malinconico a tratti epico. Ed infatti si parte subito in pompa magna con i grandi spazi avvolgenti di Whatever Light We Have che si spalanca in sonorità eteree post rock ed un andamento punteggiato da ritmiche chitarristiche post hardcore. L'essenza di Interpoler è un po' questa: mostrare delicatezza ma sostenerla con una forte carica elettrica. Anche nei brani più romantici o elegiaci come Demimonde o Hydrangea si fa strada un'energia insolita grazie a orchestrazioni, strati di voci in lontananza, riverberi elettroacustici. 

Non mancano parentesi folk e quasi country con The Best You Could e Honest, ma Vickery si mostra soprattutto un grande autore di pezzi che potrebbero fare concorrenza all'aristocrazia dell'art pop, su Greenhouse sembra rivisiti alla sua maniera Peter Gabriel, mentre su The Weight e Big Things Coming aggiunge la propria prospettiva rispettivamente sul rock radiofonico e AOR americano e sul post hardcore melodico dei primi anni 2000. Breathe & Affirm e The Gallery riprendono quella caratteristica a cui si accennava in proposito della title-track, partendo come delle ballad pacate per poi crescere in una  versione solenne di loro stesse. Ovviamente, nella sua lunga durata e varietà, l'album offre momenti che rilasciano la tensione e si dirigono su coordinate indie rock più leggere come Sad Dads Club o genuinamente aggressive come Y.D.W.M.A., ma che in fondo conservano una radice pop rock. Insomma, Interloper è un disco vario che ha molto da offrire e non poteva essere altrimenti, inoltre è uno spaccato di cantautorato americano di rara bellezza, di sicuro fuori dai canoni di ciò che tale definizione vorrebbe associata al mainstream, dato che flirta con generi che per loro stessa configurazione ne sono sempre stati lontano.


sabato 10 agosto 2024

Summer math rock roundup


Il trio di Seattle No Edits, che in origine si chiamava Fixtures, si ripresenta con un convincente e ruvido lavoro dal titolo We All End Up the Same. I No Edits con cognizione dicono di ispirarsi ai gruppi della label Dischord Records e infatti le loro dinamiche math rock che si sposano con accesi toni post hardcore si rifanno tanto ai Faraquet quanto ai Fugazi con un tocco di meticolosità esecutiva alla Shiner.


I Vower nascono come supergruppo formato da eccellenti ex provenienti da tre band molto apprezzate, ma che si sono sciolte troppo presto, della scena post hardcore, heavy prog inglese. Joe Gosney e Liam Kearley erano rispettivamente chitarrista e batterista dei Black Peaks, poi Rabea Massaad chitarrista nei Toska ed infine dai Palm Reader si aggiungono Rory McLean al basso e Josh McKeown alla voce. L'EP apricity non fa che amalgamare il meglio delle tre band in un continuo saliscendi di metal atmosferico e scariche di pesanti assalti post hardcore.


Altro supergruppo formato da Steve Choi (RX Bandits/The Sound of Animals Fighting) e Joe Vannucchi (From Indian Lakes) che negli Hard Chiller e nel loro EP di debutto, Heavy Cell, hanno coinvolto Casey Deitz (The Velvet Teen) alla batteria e Roger Camero (The Warriors, No Motiv) al basso. Lo stile si avvicina a quello degli ultimi From Indian Lakes ma è un dreamgaze con toni pesanti e suggestioni dark ma che non intaccano il potere guida di melodie sepolte sotto strati di distorsione eterea.



A dispetto della copertina lovecraftiana che può suggerire un metalcore esoterico, il gruppo di Los Angeles Classified Blind nel suo EP d'esordio Songs of the Silent Sea: Vol.1 suona un solare, frizzante e brioso math rock con grandissima attitudine ed esperienza.



I Seneca sono una band inglese che ancora deve farsi notare come si deve. Eppure il loro mix di punk, prog e math rock potrebbe essere apprezzato da chi negli ultimi i tempi si è interessato alla wave sperimentale proveniente dall'UK con gruppi come black midi, Squid e HMLTD.
 



 A cinque anni dall'esordio tornano i Quiet Lions con l'EP The Long Recovery che riparte da dove li avevamo lasciati con Absenteesism con il loro mix di hard math rock stemperato da melodie magniloquenti e sontuose.

sabato 3 agosto 2024

Introducing Winter Wayfarer


Winter Wayfarer è un progetto nato dalla volontà del polistrumentista Collin Hop e che ormai esiste almeno dal 2017, nel momento in cui è uscito il primo album Keep Close. In quel periodo Hop è l'unico referente della band e si fa aiutare da qualche amico per la strumentazione aggiuntiva, ma con il passare del tempo i Winter Wayfarer hanno assunto un profilo da gruppo vero e proprio.

Nel presentare stile e musica Hop fa esplicito riferimento al progressive rock e, a corredo del primo album, spiega: "Keep Close è il primo album completo dei Winter Wayfarer ed è l'inizio di una serie di concept album. Questo capitolo della storia si concentra sui primi anni di vita della protagonista, sul suo desiderio di comprendere il mondo che la circonda e sulle difficoltà intrinseche dei suoi genitori."

Se il concept vi suona familiare vuol dire che siete dei fan dei The Dear Hunter e in effetti anche la musica stessa dei Winter Wayfarer richiama le atmosfere degli Act di Casey Crescenzo, ma messe su un piano ancora più malinconico, in un misto da ballad per piano e chamber rock. Quanto detto è comunque valido per Keep Close, il quale rimane per ora il primo capitolo della saga, ma Hop e compagni tra il 2022 e il presente hanno pubblicato tre singoli che preannunciano un considerevole progresso indirizzato verso un eventuale secondo album. L'ultimo di questi in particolare "Marshal, You Have No Friends" si pone a metà strada tra il prog americano dei The Dear Hunter e le dinamiche del math rock orchestrale. Si prefigurano qui delle influenze più ampie altre a folk, ma anche un lontano sentore di post hardcore, jazz e classica.

domenica 21 luglio 2024

I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi


Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.

Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.

Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog. 

Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.




1. Coheed & Cambria - In Keeping Secrets of Silent Heart:3 (2003)
I Coheed & Cambria vengono giustamente designati come pionieri nel coniugare post hardcore, emo e prog rock grazie all'album d'esordio The Second Stage Turbine Blade del 2002 (anche se un tentativo lo si poteva già riscontrare nel primo e unico disco dei Breaking Pangea con il brano Turning). Nonostante quel disco rappresenti un importante punto d'origine per la fusione dei generi, è con il suo successore In Keeping Secrets of Silent Earth:3 che la band di Claudio Sanchez raggiunge la piena forma prog, oltre che una maturità e varietà stilistica, mettendo in chiaro come un gruppo dalle origini emocore potesse puntare sulla perizia strumentale per sviluppare il proprio sound. Durante l'album si può oscillare dall'orecchiabilità contagiosa del singolo A Favor House Atlantic ai macchinosi e articolati riff in continua evoluzione di The Crowing, per arrivare infine alle conclusive simil-suite con flauti, synth e ricami chitarristici The Light & The Glass e 21:13, nelle quali i Co&Ca si avvicinano a tensioni e progressioni che giustificano i paragoni fatti più volte dalla stampa musicale con i Rush
 




2. The Velvet Teen - Elysium (2004) 
La critica non ha mai saputo in quale categoria esatta inquadrare i The Velvet Teen a causa della loro imprevedibilità stilistica. Il primo album Out of the Fierce Parade si attestava in una zona grigia tra indie rock ed emo influenzati dall'art pop aristocratico dei Radiohead. Il suo successore Elysium fu una spiazzante deviazione verso un'opera di baroque chamber rock che abbandonava per scelta le chitarre e le sostituiva con tastiere, piano e un'orchestra da camera con fiati e archi. I The Velvet Teen non erano esattamente emo, ma le loro sonate romantiche che si spingono oltre il limite condividevano la sensibilità con alcuni angoli della scena emo. Le tracce di Elysium sono un'apoteosi di crescendo emotivi sottolineati dalla vocalità melliflua ma altamente espressiva di Judah Nagler che prende il volo sulla crepuscolare amarezza di A Captive Audience e nel centro emotivo dell’album occupato dall’epico tour de force di tredici minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasforma in un logorroico sfogo musicale. Un album che rispecchia l'introversione e la malinconia emo attraverso melodie notturne ma che celano potenza. Un vero capolavoro senza tempo e genere. 
 




3. The Receiving End of Sirens - Between the Heart and the Synapse (2005)
Nei primi anni in cui veniva a galla l'intreccio tra emo e post hardcore era piuttosto comune inserirvi delle band che fossero adiacenti ad entrambi i generi, dato che la categoria di appartenenza proveniva dalla stessa matrice punk. La linea che demarcava le peculiarità delle due categorie era sottolineata, da un lato, da una spiccata predisposizione per le melodie pop punk (l'emo) e, dall'altra, dalla forte componente aggressiva con ricorso a scream e harsh vocals (post hardcore). I The Receiving End of Sirens, forti di un arsenale di tre chitarre, tre voci principali che si alternano tra lead vocals e intrecci polifonici, mettono insieme il meglio dei due mondi e non solo, alzando l'asticella verso un'inedita visione da arena prog con grandiosi passaggi di interplay chitarristici, enfatiche e frastornanti parti vocali, architetture sonore sature sia nelle ritmiche che nei tappeti sonici elettrici. Le canzoni di Between the Heart and the Synapse sono monumenti al post hardcore più solenne e magniloquente. 
 




4. Gospel - The Moon is a Dead World (2005)
Lo status da culto ristretto di cui hanno goduto i Gospel non ha impedito a quella che per molti anni è stata la loro unica testimonianza discografica - The Moon is a Dead World - di acquisire con il tempo un'aura mitologica. Nati dalle ceneri del gruppo screamo Helen of Troy, i Gospel mantennero la traiettoria di questo sottogenere dell’emo che ne esasperava la parte caotica e sperimentale soprattutto dal punto di vista vocale, adottando costantemente un registro scream. Dall’altra parte i Gospel operarono un salto rilevante sul versante strumentale spostando la veemenza del post hardcore verso le complesse coordinate del progressive rock, lasciando una traccia importante per aver apportato nuovi parametri al genere. Come già sperimentato dai The Mars Volta, i Gospel si erano impegnati a rendere cerebrale il punk hardcore, ma con caratteristiche ancora più accese ed estreme. I synth, l’organo e le tastiere di Jon Pastir, fusi assieme alla chitarra di Adam Dooling e con la sezione ritmica guidata dalla batteria indomabile di Vincent Roseboom e dal basso massiccio di Sean Miller, formavano un requiem sinfonico incessante, contrappuntato dalla vocalità screamo di Dooling, per arrivare ad un punto di saturazione di ogni aspetto. 





5. The Dear Hunter - Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading (2007)
Come per i Coheed & Cambria i The Dear Hunter vengono generalmente associati all'emo soprattutto in virtù dei loro primi due album. Il leader Casey Crescenzo se ne allontanerà progressivamente per abbracciare un prog più barocco e teatrale, ma agli albori dei The Dear Hunter era ancora fresco di fuoriuscita dai The Receiving End of Sirens, motivo per cui Act I e II beneficiano ancora di quell'influenza. Questo album in particolare è un magnum opus di 77 minuti che spazia tra il prog hardcore dei The Mars Volta al musical da operetta dei Queen, dal rock orchestrale al pop di Tin Pan Alley e che tramuta una molteplice parata di generi tra soul, blues, americana, rock opera e le trasfigura in chiave prog rock. E proprio in continuità con questo genere ne rispecchia una visione grandiosa e imponente, generando uno dei concept album più incisivi del prog moderno. 






6. The Brave Litlle Abacus - Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are (2009)
I The Brave Litlle Abacus, dopo gli American Football e Sunny Day Real Estate, sono forse i più influenti e citati alfieri dell'emo, avendo anticipato quasi involontariamente tutte le caratteristiche che hanno preso forma e abitudine nel genere dopo la quarta onda emo. Come gli American Football anche il loro catalogo è stato scoperto quando la band già non esisteva più e la sua importanza a livello ereditario non ha fatto che crescere nel tempo per ciò che riguarda l'importanza della sperimentazione. E' incredibile notare come nei Brave Little Abacus si possano rintracciare già tutti i prodromi musicali ricorrenti nel post emo in forma primordiale: il ricorso al lo-fi del bedroom pop e al chiptune contrapposti a strutture complesse con richiami math rock, l’uso distintivo di una strumentazione allargata con piano, fiati e percussioni programmate che concorrono ad architettare un hardcore barocco. Per i Brave Little Abacus l’esplorazione di nuove possibilità non si esauriva solo all’uso di strumenti eterogenei, ma anche nel dilatare i tempi di un brano in modo da accrescere il pathos delle variazioni offerte e così facendo anche del crescendo emotivo, come nell’avvio di I See It Too con quel suo indolente e reiterato riff iniziale. La musica cambia traghettata da un singolo accordo ad arpeggi con shredding e tapping alla chitarra acustica, da una sezione di fiati all’integrazione di tastiere atmosferiche. I The Brave Little Abacus non erano interessati all’edificazione in senso lato, ma piuttosto al continuo mutamento e con con i dieci minuti di Born Again So Many Times You Forget You Are si inventano la prima suite “midwest prog” della storia. Gli intricati arabeschi chitarristici e ritmici di Underground che rimettono continuamente in discussione lo svolgimento del pezzo in modo repentino e assolutamente disordinato fanno sembrare la band una versione avant-garde dell’emo, mentre gli oltre sette minuti di Untitled sembrano una mini odissea sonora per quel suo dischiudere una varietà di temi impressionante. Quando i brani si accorciano non sono da meno e il risultato finale è più vicino al prog sperimentale di quanto si pensi, ma purtroppo i The Brave Little Abacus erano troppo sconosciuti per attribuirgli l’invenzione di un nuovo sottogenere. 
   




7. The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)
Con Sever Your Roots i The Felix Culpa consegnano alla storia il capolavoro prog emocore definitivo, ignorato e dimenticato da tutti. Ogni cosa che lo riguarda assume i contorni di un'opera grandiosa, nella sua ora di durata le quattordici tracce che fanno parte del disco hanno modo di mettere in campo un ventaglio di espressioni che passano dalle dilatazioni del post rock, dalla convulsa articolazione del math rock fino alla quiete delle ballad struggenti. Il tutto viene condotto con improvvise svolte tematiche, leitmotiv che ritornano e si nascondono nel camaleontico scorrere da un brano all'altro con una consistenza sonora omogenea che non spezza mai la tensione. I The Felix Culpa conducono la dinamica dell'album come fosse un concept unitario, anche se a livello lirico si pone su interpretazioni aperte. Non è una rock opera punk ma ne ha alcune caratteristiche grazie all'aggiunta di piano e archi che ne arricchiscono la proporzione bombastica e quasi barocca. La tensione dinamica dei crescendo è condotta in modo magistrale, mentre l'aggressività non viene mai espressa in forma di rabbia cieca e veemente, ma si impone con visceralità, elementi che vanno a concorrere ad aumentare quel senso di experimental post hardcore da camera di un lavoro in cui l'emotività esecutiva è palpabile ad ogni secondo. 
 





8. Emery - You Were Never Alone (2015)
Nel caso degli Emery la tentazione di includere ...In Shallow Seas We Sail era forte, ma la scelta nel preferirgli You Were Never Alone è giustificata dal fatto che possiede dei tratti più accostabili a parametri prog. Questo la dice lunga sulla discografia degli Emery composta di album per lo più di  qualità eccellente. Nonostante ciò, difficilmente troverete il nome degli Emery citato in qualche lista emo o post hardcore, dato che lo stigma di "christian band" sembra avergli precluso qualsiasi considerazione da parte della critica. Raramente mi è capitato di scoprire un catalogo impeccabile come quello degli Emery e You Were Never Alone raggiunge forse l'apice della loro proposta. La tecnica di accostare le più limpide melodie emo pop con l'ausilio di ineccepibili armonie vocali e farle cozzare contro repentine svolte abrasive metalcore non ha eguali in altre band e in questo album il gruppo si concede il massimo della libertà e sperimentazione nell'oscillare tra i due umori in modo tecnicamente complesso ma accessibile. Thrash e la coda finale di What's Stopping You stanno lì a testimoniarlo dato che non potrebbero essere più estreme nella propria dicotomia. Mentre le vertiginose e imprevedibili progressioni di Salvatore Wryhta e Go Wrong Young Man rivaleggiano con la competenza dinamica ed esecutiva degli Ocenasize.





9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
Gli Adjy mostrano il lato folk e chamber rock del midwest emo e The Idyll Opus (I-VI), al di là di essere un concept album in due parti, si sviluppa come un concerto per sei suite, con tanto di leitmotiv abbinati ai protagonisti della storia, nelle quali la band si destreggia come fosse un piccolo ensemble di musica neo folk americana con ampio uso di percussioni, fiati e banjo, eredi degli Anathallo quanto innovatori di un linguaggio progressive folk che parte dalle tradizioni musicali dei monti Appalachi, luoghi dove il disco è stato concepito. L'irruenza emo punk è presente nella gioiosità delle melodie che esplodono con gli stessi crescendo del post rock e le dilatazioni temporali dei brani ne cambiano di continuo la prospettiva durante il loro dipanarsi. Come gli Adjy attingono a piene mani dal folk, dal country, dal bluegrass, servendosi di quel genere musicale chiamato appunto “americana” per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, allo stesso modo li trasformano in qualcosa di trascendentale, trasfigurandoli attraverso la chiave moderna del chamber rock, delle dinamiche del midwest emo e della maestosità del progressive rock, in una tela intricata e ricca di timbri sonori.
   




10. The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die - Illusory Walls (2021)
Pionieri nel fondere le dinamiche dilatate del post rock con l'estetica math rock del midwest emo negli album Whenever, If Ever e Harmlessness, nel loro quarto lavoro Illusory Walls i TWIABP cercano di approdare ad un più alto livello sperimentazione e ambizione, bastassero come prova solo i lunghi trip stellari di Infinite Josh e Fewer Afraid per darne prova. Ma la band in più aggiunge una rilettura inedita dei tapping math rock nel momento in cui li accosta a sintetizzatori che creano spazi sonori che trasmettono inquietudine e a vortici metal oscuri e apocalittici.

 



11. Glass Beach - Plastic Death (2024)
Con il primo album nel 2019 i Glass Beach hanno creato un nuovo paradigma di emo quando, per la prima volta, si sono azzardati ad introdurre l'uso di accordi derivati dal jazz, assurde timbriche di tastiere a metà strada tra le colonne sonore per cartoni animati e il musical di Broadway, condite da un'estetica da bedroom pop figlia della comunità online, luogo virtuale dove la quinta onda ha proliferato. Plastic Death è ancora più complesso e ambizioso di The First Glass Beach Album. Quello della band è un gioco all’accumulo, stando però attenti a dosare bene gli ingredienti della musica moderna che si ciba principalmente di elettronica e avanguardia. E se in ambito rock questi due elementi si ricollegano quasi inevitabilmente ai Radiohead, complice la vocalità opaca e strascicata simile a Thom Yorke del leader J McClendon, i Glass Beach mantengono uno stralunato approccio per dare la sensazione di un costante senso di “weirdness” all’interno della musica, come una versione futurista del dadaismo patafisico dei Soft Machine di Volume 2. Questo lo si nota tanto nell’eccentrico patchwork di acquerelli swing pop di motions, guitar song, rare animal e cul-de-sac, quanto nei puzzle camaleontici e cervellotici di slip under the door, the CIA e commatose

 



12. Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Come si fa ad inventare un sound riconoscibile e peculiare nel 2024, quando tutte le strade musicali sembrano essere state battute? The Metaphysical Tech Support Hotline ci riesce partendo da un'idea massimalista del punk, basata sull'accumulo non solo architettonico ma anche stilistico. Il terzo album dei Topiary Creatures è una summa delle varie forme che ha assunto l'emo nelle sue cinque ondate ed in più le rilegge a proprio modo. Il prog è trasfigurato da synth ipercinetici che sembrano provenire da soundtracks per video games, la potenza del power pop si scontra con squarci metal e le ballate acustiche si fregiano di intarsi chitarristici math rock e midwest emo. La produzione viene ammantata da un'aura bedroom pop solo all'apparenza, dato che per contrasto l'accumulo di strumenti e sfumature timbriche suggerisce un lavoro di architettura sonora mastodontico. The Metaphysical Tech Support Hotline si espande in tante direzioni contemporaneamente ma non suona come niente là fuori, è davvero difficile trovare un termine di paragone. Una delle cose che non mi spiego è perché i Topiary Creatures, appartenendo a buon diritto alla quinta onda emo, non siano riusciti a beneficiare di quell'hype online che ha origine in siti come RateYourMusic o social come Discord e Reddit che da qualche anno si sono rivelati di grande aiuto per far emergere dall'anonimato i nomi di Parannoul e Glass Beach. Di sicuro sono il nome più rilevante che il genere ha da offrire ultimamente.