Nonostante una carriera ventennale i Copeland non hanno mai pubblicato un "Best of" dei loro pezzi migliori e Revolving Doors si propone di ovviare a questa mancanza. Per fortuna non lo fa in modo tradizionale, limitandosi alla riproposta di una comune carrellata di pezzi tratti dai vari album, ma i Copeland tengono fede alla propria natura romantica e malinconica scegliendo dieci pezzi dal proprio catalogo e registrandoli di nuovo con arrangiamenti orchestrali da una differente prospettiva. Sotto questo punto di vista Revolving Doors assume un significato quasi contrario a quello di una normale compilation, che si presuppone dovrebbe avere una funzione introduttiva a del materiale per noi ancora sconosciuto.
Diversamente, Revolving Doors richiede una conoscenza acquisita dell'universo sonoro ed estetico dei Copeland al fine di essere gustato con il giusto spirito. L'art pop del gruppo di Aaron Marsh si è mosso negli ultimi album su territori sempre più impalpabili, eterei e sperimentali fino al recente capolavoro Blushing (dal quale qui ritroviamo la sola Pope) e la scelta di avvalersi ora di un'orchestra sinfonica per reinterpretare una piccola parte della loro opera sembra coerente con il percorso della band.
Revolving Doors, nel preservare solo lo scheletro melodico dei brani e trasportarlo su confini lontani dal rock, infonde un alone sentimentale e quieto ancor più accentuato rispetto agli arrangiamenti originali, di modo che ne deriva un ascolto rilassato che ha qualche probabilità e il rischio di non entrare in sintonia con chiunque. Ed ecco perché avere già un'empatia (più che una conoscenza) con il repertorio dei Copeland facilita l'immersione nel mood che il gruppo vuole trasmettere. Anche in questo caso Marsh e soci si dimostrano arrangiatori di rara sensibilità pronti a valorizzare i dettagli più nascosti per far brillare la natura passionale delle loro canzoni.
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