domenica 12 gennaio 2020
Holy Fawn - Death Spells (2018)
Ci sono degli album che non si limitano ad essere vissuti, ma che hanno l'ambizione di creare un umore, un'atmosfera nella quale sprofondare. Per la potenza di fuoco e l'incisività della proposta sonora Death Spells degli Holy Fawn punta proprio a questo. L'album è uscito per la Holy Roar Records nel 2018 e poi ristampato l'anno seguente dalla Triple Crown, il che indica un certo spessore data la qualità delle uscite dell'etichetta. Scoperti solo di recente perché questo mese si affiancheranno ai Thrice nel tour celebrativo dei 15 anni di Vheissu, gli Holy Fawn si muovono nei meandri più oscuri dello shoegaze e del post rock, in una mistura estrema che li accosta a band come Gates e O'Brother.
Immaginate quindi il blackgaze in tutta la sua narcolettica aggressività, ma epurata dalla veemenza dello scream, il quale viene rimpiazzato da voci angeliche e distanti, riverberate, che si impongono come incentivo psichedelico. Se anche la sola Seer, per la profondità spaziale che crea procedendo per cerchi concentrici sempre più laceranti, equivale ad un dottorato in shoegaze, il disco non è male ed esplora nei suoi lisergici sessanta minuti un binomio di dinamiche ai poli opposti. Nella prima parte, costituita dalle quattro tracce introduttive, un muro di distorsioni apre al blackgaze più sognante, la seconda invece si dedica a dilatazioni post rock più tranquille e ipnotiche, per quanto quest'ultimo aspetto pervade un po' tutto l'album.
E' quello che si accennava all'inizio, Death Spells vuole creare un'aura avvolgente tentando di vedere fin dove ci si può spingere nello scavare all'interno della spazialità del suono, così da soddisfare una sorta di tridimensionalità sonica costituita da lunghezza, larghezza e profondità. Death Spells è un lavoro che invita a nuovi ascolti anche se ad un primo impatto qualcuno potrebbe non essere convinto, ma è proprio ciò di cui ha bisogno per apprezzarne gli aspetti più nascosti.
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