martedì 17 agosto 2010
JANELLE MONÁE - The ArchAndroid (Suites II and III) (2010)
Questo non sarebbe veramente un album con caratteristiche alternative o progressive, anzi non lo è proprio. Lo è però il suo approccio ad un genere stagnante come il funk-hip hop-soul e tutto ciò che riguarda la black music. Personalmente non ho una buona opinione della black music e quindi mi sono accostato a The ArchAndroid (Suites II & III) con un pregiudizio grosso come il Canada. Lo so che il pregiudizio non è una cosa buona per chi ascolta musica, ma cosa ci volete fare, lo ebbi per i Led Zeppelin, per i Tool e, si, anche per i Madreblu, solo che, per fortuna, quando si è di fronte a qualcosa di oggettivamente pregiato il pregiudizio è saggiamente messo da parte.
Solo che ancora mi resta difficile accettare l'appartenenza al genere musicale di certi crimini contro l'umanità come il rap, la dance o l'hip hop, visto che sono responsabili di aver rovinato la musica degli ultimi 20 anni (e forse di più). C'è da dire però che lo stesso popolo nero che si è macchiato di questa colpa è diretto discendente di quello che, molti anni or sono, ha inventato il blues, dal quale sono scaturite cosucce come il rock e il jazz. Per fortuna ogni tanto qualcuno se ne ricorda e fa un disco come The ArchAndroid. Quel qualcuno oggi è Janelle Monáe.
La prima prerogativa immediatamente riconoscibile di Janelle Monáe è la velleità eterogenea di inserire nel suo album d'esordio qualsivoglia genere musicale, partendo però sempre dal funk e dal soul. Questa ambizione è allo stesso tempo la forza e la debolezza di The ArchAndroid perché, se da un certo punto di vista è affascinante essere trasportati in un travolgente vortice di contaminazioni musicali, dall'altro certi schemi stilistici risultano riconoscibilissimi e meri esercizi di bravura. E chissà se ciò è dovuto ad una sana ingenuità o ad un consapevole tributo. La scusa dell'ingenuità però non regge perché in più parti dell'album la Monáe dimostra una versalità fuori dal comune e un proprietà inventiva di arrangiamento davvero impressionante.
Per descrivere la genialità del personaggio della Monáe qualcuno ha tirato in ballo Prince, ma la sua grandiosa, enciclopedica visione musicale si avvicina ad un altro gigante a cui è piaciuto giocare con la black music che risponde al nome di Todd Rundgren (il suo estro rock psichedelico è risconoscibile su Mushrooms & Roses). Un esempio che solleva la Monáe dalla media delle cantanti come Alicia Keys o Erykah Badu potrebbe essere Oh, Maker, con il suo singolare andamento strofico quasi da nenia, abbinato ad un ritornello che sulle prime sembrerebbe copiare Beyoncè, ma in seguito ci si accorge che l'impostazione melodica e armonica prende direzioni imprevedibili.
Poi ci sono la ballad da inizio anni '60 in stile Moon River (Sir Greendown) e quella da West Coast in stile Simon & Garfunkel (57821), la disco anni '70 con assolo alla Santana (Locked Inside), il rockabilly punk (Come Alive (War of the Roses)) e ancora James Brown (Tightrope), gli Outkast (Cold War) tutti frullati insieme nel calderone di Janelle.
Ah, dimenticavo! The ArchAndroid è un concept album di fantascienza diviso in due suite...questo dettaglio vi dice niente?
www.myspace.com/janellemonae
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