lunedì 3 giugno 2019
Farmhouse Odyssey - Fertile Ground (2019)
I Farmhouse Odyssey sono tra quelle poche band moderne che hanno capito come prendere ispirazione e utilizzare le sonorità e gli stilemi del progressive rock degli anni '70 e non risultare derivativi. Il trucco risiede in una ricca tavolozza di strumenti e sfumature elettroacustiche che fondono psichedelia, folk e jazz canterburiano, come già avvenuto nell'eccellente predecessore Rise of the Waterfowl (2016). Il terzo album Fertile Ground, come anticipato dal singolo Verve, torna a battere su quelle sponde, ma con un rinnovato interesse nell'esporre architetture più prossime all'elaborazione prog, tipo nella multiforme Betwixt and Between, che non a divagazioni strumentali.
Gli intrecci dell'ouverture Out of the Frog contengono ogni sorta di dettame sonoro che ci possa legare mnemonicamente al prog rock del passato, in cui troviamo il leader Alex Espe impegnato in vari fronti tastieristici con piano elettrico, Moog e Mellotron. Però i Farmhouse Odyssey riescono a trovare quell'emancipazione dai cliché tipica delle prog band americane che si spendono nelle jam psichedeliche e jazz alla Phish. La solare Ancient Yet Eternal con delicate progressioni di piano acustico e le chitarre che ricalcano sonorità hackettiane non fanno assolutamente percepire il peso di un ipotetico connubio tra Caravan e Genesis, ma come per The Call l'amalgama di intarsi acustici e interludi prog è così ben dosato da produrre una miscela personale.
La genesi di Fertile Ground è stata travagliata e sfortunata, anche se il gruppo ci scherza su definendola appunto un'odissea, l'album era quasi finito già l'estate scorsa, ma l'hard drive del computer dove erano stati registrati i brani ha avuto un guasto e tutto è andato perduto. La band si è così rimboccata le maniche per rifarsi daccapo una seconda volta, cogliendo l'occasione per migliorare il lavoro. E a quanto pare ne è valsa la pena.
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