venerdì 21 giugno 2019

Black Midi - Schlagenheim (2019)



Nell'ultimo anno i black midi sono stati tra i più chiacchierati gruppi dell'underground londinese, costruendosi in poco tempo una forte reputazione grazie alle loro esibizioni dal vivo, tanto da richiamare l'attenzione anche Oltreoceano, partecipando al festival SXSW e incassando le lodi di Pitchfork. Tutti e quattro giovanissimi e freschi di diploma alla BRIT School di Croydon, i black midi hanno raggiunto uno stato di popolarità senza neanche pubblicare un album, ma solo una manciata di singoli. Schlagenheim è il debutto che esce ora per l'etichetta Rough Trade e prodotto da Dan Carey (Bat For Lashes, Franz Ferdinand), praticamente un condensato di quel math punk noise che i black midi offrono dal vivo molto spesso originati improvvisando tra di loro. Infatti, nonostante la giovane età, i quattro ragazzi hanno una invidiabile padronanza dei loro strumenti, sopratutto l'incredibile e pirotecnico batterista Morgan Simpson che si fa carico di sostenere gli strani e obliqui riff cacofonici del terzetto a corde costituito da Geordie Greep (voce e chitarra), Cameron Picton (basso, voce) e Matt Kelvin (chitarra, voce).

Tra i tanti attributi affibbiati alla musica dei black midi il termine "imprevedibilità" appare di sovente per descrivere il flusso sonoro, ma in realtà il gruppo sembra più affascinato da droni e reiterazioni di cellule strutturali che trasmettono quasi un senso di alienazione ipnotica, come nelle spirali siml sample di Speedway o nella marcetta psicotica bmbmbm. Quindi, più che vicini all'imprevedibilità del prog, i black midi si fanno paladini del futurismo nichilista alla Devo mescolato al Krautrock teutonico dei NEU! nell'ansiogena Ducter. Come dire che l'approccio rimane punk, ma l'intenzione è altamente pseudoartistica. In questa corsa all'avanguardia espressionista capitano alcuni colpi di genio come la destrutturazione post punk jazz di Raggae e Near DT, MI. I pezzi con cui i black midi danno sfogo alla loro parte più sperimentale e votata all'imprevedibilità sono i centrali Western e Of Schlagenheim, delle jam di gruppo trasformate in canzoni.

Ulteriore particolarità è la voce di Greep, il quale al cantato regolare preferisce spesso e volentieri intervenire in modo libero e fuori dagli schemi metrici, concedendosi ancora più anarchia di Adrian Belew impegnato in Elephant Talk. Ma nell'insieme troviamo frammenti del proto punk vandergraaffiano, sia che si tratti dell'immortale Pawn Hearts (e mi riferisco in particolare alla sezione centrale di MAN ERG) sia che si tiri in ballo l'Hammill solista di Nadir's Big Chance. Non a caso i King Crimson e i Van der Graaf Generator sono gli unici gruppi prog a cui si possa far eventualmente riferimento per quel caos organizzato e chitarrismo ossessivo muscolosamente mostrato in Years Ago e l'opener 953, due tra i brani migliori del lotto. Forse Schlagenheim non è quel debutto esplosivo che ci si poteva aspettare dai black midi, ma già il fatto che un gruppo del genere abbia generato tanto hype può essere solo un bene.


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