sabato 14 aprile 2018
Introducing paranoid void
Se c'è qualcosa che non smette di annoiare, anche se generalmente è una formula che abbiamo già conosciuto grazie ad altre band, è il math rock giapponese. In questo caso stiamo parlando di un trio tutto al femminile che già, messa così, può far pensare alle tricot e in effetti le tre signorine di Osaka, Meguri, Yu-Ki e Mipow, con le loro doti strumentali sono delle degne discepole di quella band. Anzi, le paranoid void puntano su una complessità esecutiva ancor più prominente e poliedrica, alleggerendo di molto quell'indirizzo J-pop che ultimamente hanno imboccato le tricot. Formate nel 2015 le paranoid void hanno all'attivo il mini album Pop Music (2016) e il full length Literary Math, pubblicato il novembre scorso.
Il minimo comune denominatore dei due lavori rimane la sfida di "creare composizione a tre dimensioni con parole, musica e sensibilità dal punto di vista femminili" come dichiarato dalle tre, oltre che sfoggiare una impeccabile propensione per le dinamiche e architetture intricate e geometriche. Le differenze tra le due uscite sono invece meramente estetiche: come i titoli possono far intuire, il primo mini album è più indirizzato ad una forma cantata e quasi J-pop, anche se è molto limitante associarlo a questa definizione; Literary Math invece riduce gli interventi vocali e si concentra più sull'aspetto strumentale. In ogni caso entrambi risaltano un aspetto del math rock che le paranoid void affrontano con immensa competenza e capacità.
martedì 10 aprile 2018
Kindo - Happy However After (2018)
Nella velocità frenetica a cui ci ha abituato la Rete, in particolare nel fruire musica alla stregua di un prodotto da fast food, è quasi impossibile non riuscire ad ottenere un album che ci interessa al momento della sua uscita. Senza considerare i metodi illegali, le numerose piattaforme streaming ci offrono una vasta scelta di opzioni per entrare in contatto con i nostri artisti preferiti. Eppure, paradossalmente, solo pochi hanno avuto la possibilità di ascoltare uno dei migliori album prodotti nel 2017. Non che accedervi fosse esclusiva di un ristretto gruppo di persone, ma questa pre-release è stata ottenuta da chi ha dato il proprio contributo al gruppo tramite la piattaforma Patreon che, per gli artisti indipendenti, è un mezzo simile a PledgeMusic per finanziare i propri progetti, chiedendo ai fan un atto di fede e pagare in anticipo la musica che verrà prodotta.
Il nome della band di cui stiamo parlando è The Reign of Kindo, quintetto di Buffalo in attività ormai da più di dieci anni. Parlando di loro è necessaria quasi una nuova presentazione dato che da cinque anni ormai sono rimasti in silenzio discografico, ripresentandosi addirittura con una variazione sul nome che lo abbrevia semplicemente in Kindo. Come i The Dear Hunter e i Coheed and Cambria, i Kindo si sono mossi nella medesima scena alternativa prog statunitense, adottando però uno stile molto lontano da questi, che parte da premesse pop jazz venate di sfumature da rock alternativo, soprattutto nel primo omonimo EP (2007) e nei due album Rhythm, Chord and Melody (2008) e This is What Happens (2010), fino ad arrivare a includere funk, soul, R&B e ritmiche latinoamericane nell'ultimo Play with Fire (2013). Che il loro retaggio rimanga comunque parte della scena prog alternative è provato dal fatto che nel 2014 accompagnarono come spalla i pionieri del metal sperimentale Cynic nel loro tour estivo affiancati dagli Scale the Summit, una nota abbastanza chiara per capire la trasversalità di pubblico che avevano raggiunto i The Reign of Kindo.
Arrivando al presente, sciolti dal contratto con la Candyrat Records, il gruppo si è ritrovato a pensare un modo per ripartire e rigenerarsi con la decisione di utilizzare il sito di crowdfounding Patreon per produrre un nuovo album, proseguendo senza il supporto di nessuno se non loro stessi e i propri fan. È il frontman Joey Secchiaroli che, sotto suggerimento dell’amico Louis Abramson batterista della prog band Jolly, viene indirizzato verso le possibilità offerte dalla piattaforma con la quale i The Reign of Kindo, dal gennaio 2016, si sono impegnati a realizzare a cadenza mensile un brano scaricabile riservato solo agli abbonati. La campagna ha avuto così successo che non solo sono state completate la dieci tracce presenti nel nuovo album intitolato Happy However After (in uscita il 13 aprile), ma la produzione sta attualmente proseguendo con altri inediti che andranno a compilare il lavoro successivo e, come se non bastasse, alle sorprese si è aggiunto il ritorno all'ovile del pianista Kelly Sciandra che aveva lasciato la band all'indomani del secondo album.
Il nuovo materiale riesce a dare nuova luce alla musica dei Kindo, rinnovandosi con un’esaltante formula che preserva la componente prog, aumentando al contempo le connotazioni pop. Il tempo passato a ridefinire il proprio stile ci ha restituito un gruppo differente con la voglia di rimettersi in gioco e forse anche il cambio di nome, che ha destato alcune perplessità nei fan della prima ora, proprio per questo non pare del tutto fuori luogo. La formazione stessa si è allargata assomigliando ad un ensemble dove, accanto alla classica line-up formata da Joey Secchiaroli (voce, chitarra), Steven Padin (batteria, voce), Jeff Jarvis (basso), Danny Pizarro (tastiere) e Mike Carroll (chitarra, percussioni, MIDIness), si sono aggiunti Geraldo Castillo (percussioni, voce), John Baab (chitarra), Kelly Sciandra (tastiere) e Darren Escar (sassofono). Una speciale menzione va al rafforzamento del reparto percussivo, testimoniando che non è un caso se tra i Paesi al di fuori degli Stati Uniti dove i Kindo si sono guadagnati un certo seguito ed esibiti più volte ci sia il Brasile: l'art rock esotico di Let Me Be sembra proprio un omaggio alle inclinazioni musicali di quelle parti.
Le possibilità offerte da un tale insieme è messo alla prova già dall'apertura spettacolare di Human Convention in un condensato coinvolgente di funk, disco e improvvise svolte latin, sempre preservando un’esecuzione eclettica con più sfumature. È di fatto incredibile come poliritmie, multitematicità, intermezzi prog e armonie vocali abbiano la stessa importanza di linee di elettronica, beat funky e dance, trasportati in un contesto da big band fusion che passa agilmente da uno stilema black all’altro con la stessa disinvoltura degli Snarky Puppy. Ma al di là delle variazioni tematiche ciò che emerge anche nei brani più ortodossi è l'abilità dei Kindo nell'utilizzo di una vasta scelta di nuance, tinte, gradazioni o sfumature di piccoli sketch sonori i quali mutano il registro e la voce degli strumenti. Il meticoloso equilibrio tra questi vari fattori permette ad un disco come Happy However After, prevalentemente formato da brani di natura romantica, di sfuggire a facili cadute stucchevoli. In questo modo le sentimentali arie di About Love e Catch the Gleam non appaiono mai scontate e ripetitive. City of Gods e Return to Me, che alternano atmosfere da ballata e ritmate accelerazioni, trasformano i cambi di registro nei loro punti di forza, contagiando persino lo smooth jazz One in a Million e la disco funk di Smell of a Rose. Già dalla fine del 2017 sapevo che Happy However After sarebbe stato una delle migliori uscite del 2018 e vi posso anticipare che Happy However After part II si preannuncia altrettanto spettacolare, certificando un ritorno in grande stile che potrebbe far finalmente conoscere il nome dei Kindo ad un pubblico più vasto.
www.patreon.com/thereignofkindo
http://thereignofkindo.com/
lunedì 9 aprile 2018
Intervista con i Girls in Hawaii
di Francesco Notarangelo
Belgio, fine anni ’90: sei giovani ragazzi, quasi per gioco, iniziano a scrivere musica.
Un esordio folgorante, From Here to There (2003), che li impone all’attenzione della stampa locale e non.. un album delicato, sospirato, fatto di sbalzi d’umore e tensione (ascoltare Casper e Found in the Ground per rendersene conto). Un fuoco di paglia? Certamente no, perché le conferme, qualora ce ne fosse bisogno, arrivano dal capolavoro di Plan Your Escape (2008) e il triste Everest (2013) che li conferma come una delle band indie pop migliori degli ultimi anni.
Canzoni dolci, quasi malinconiche (soprattutto con Everest, album sofferto a causa della morte del giovane batterista, Denis Wielemans, avvenuta nel 2010 in seguito ad un incidente stradale) che lasciano senza respiro grazie ad una sapiente fusione di parti elettroniche con quelle acustiche.
Il 2017 è stato il loro ritorno, un ritorno alla luce, se così vogliamo definirlo, il tempo del lutto ha lasciato spazio ad una serenità generale condita dalla consapevolezza di essere ora padri di famiglia. Nessuna modifica nella struttura, solo la voglia di far emergere in ognuno di noi quella magnifica profonda malinconia - tristezza che solo un profondo tramonto sa generare, un tramonto fatto e costituito di toni caldi e freddi, proprio come la loro musica.
Come sono nati i Girls in Hawaii?
Siamo nati nel 2000 in una piccola città di Braine - L’Alleud. Una città molto piccola e noiosa a sud di Bruxelles. Non c’era assolutamente niente da fare, così per noi stessi, iniziammo a suonare insieme. Comprammo un registratore a 4 casse e iniziammo a comporre vere e propri canzoni che finirono per diventare il nostro primo album: From Here to There.
Perchè Girls in Hawaii?
Alla fine ogni gruppo deve avere un proprio nome. Girls in Hawaii era il nome di una nostra prima canzone quando ancora non conoscevamo la direzione della nostra band. Alla fine,qualcuno ci chiese di suonare ad uno show, quindi, preoccupati ed impauriti, pensammo: Perché no, Girls in Hawaii?
Cosa ascoltavate?
Abbiamo ascoltando un sacco di musica grunge. Le nostre prime influenze sono state infatti i Nirvana e i Pearl Jam. Anche i Grandaddy sono state una grossa influenza per noi, infatti adoravamo l’album The Sophtware Slump. Successivamente iniziammo ad amare un pò di musica elettronica per cui il nostro interesse finì in album come Kid A dei Radiohead o Third dei Portishead.
Sapete, vero, che alcuni canzoni compaiono nel film “I Nostri Ragazzi” di Ivano De Matteo?
Più o meno. Ricevemmo alcune richieste per sapere se la nostra musica poteva essere usata in un film. Beh spero che abbiano funzionato!
Cos’è cambiato da From Here to There a Nocturne?
Penso che le nostre vite e il concetto di musica stessa sia cambiato. Siamo passati da essere una band amatoriale ad essere professionisti. Credo che ora le nostre esperienze siano riflesse nella musica stessa. Anche la nostra meraviglia nell’ascoltare cose nuove è cambiata. Ora come ora vorremmo riuscire ad esplorare nuovi modi di scrivere ed esplorare nuove idee.
Che pensate della scena musicale belga?
Negli ultimi anni è migliorata tantissimo. In passato, non c’era un interesse così partecipativo e attivo. Ora invece ci sono diverse rock band nuove interessante e può solo che far piacere a tutti noi. Penso ad esempio a BRNS, Robbing Millions o a quelle elettroniche come Monolithe Noir e Marc Melìa (entrambe suoneranno prima di noi durante il tour).
Possiamo dire che nel vostro ultimo album, Nocturne, l’atmosfera è molto più serena?
Volevamo fare qualcosa di meno pesante e drammatico rispetto ad Everest, che come saprai è stato influenzato dalla tragica scomparsa del nostro batterista Denis. Quindi sì, sono felice di poter dire che Nocturne è più sereno e molto più leggero nei toni.
Come nascono i nomi per i vostri album?
Dipende, per Everest, ancora prima d’incidere avevamo già il nome. E' stata, invece, una dura scelta Nocturne, poiché avevamo 40 nomi possibili, ma non sapevamo quale scegliere.
Ci vediamo in Italia?
Certamente, questo mese: il 18 a Bologna, il 20 a Roma e il 21 a Torino.
Un abbraccio.
www.girlsinhawaii.be
sabato 7 aprile 2018
Sketchshow - Patchwork (2018)
Gli Sketchshow sono una nuovissima e giovanissima band di Southampton che debutta con l'EP Patchwork, quello che può essere definito un nuovo tassello nella sempre più florida scena math pop inglese. Con la voce femminile Satin Bailey a guidare le danze è quasi inevitabile un paragone con altri estrosi gruppi emersi negli ultimi anni, come Signals. e Orchards, che piegano la tecnica musicale al volere della contagiosità pop.
Ma la forza compositiva degli Sketchshow si mostra in vari aspetti come il progressive e l'alternative rock sprigionati sotto la gioiosità di Every Excuses e gli accordi funk di Esperanto. Negli scambi strumentali delle chitarre di Adam Curran e Luke Phillips viene a galla anche qualche impulso fusion. Lo stile comunque non è mai involuto e complesso da seguire, ma scorre fluido tra orecchiabilità e irregolarità ritmiche, come su Carbon Copy, che pongono il tutto su un piano sospeso tra Paramore e Covet. In definitiva Patchwork è un EP che promette molto bene per il futuro.
http://sketchshow.band/
venerdì 6 aprile 2018
Intervista con i Requiem for Paola P.
di Francesco Notarangelo
Musica italiana, musica fatta bene.
Dopo alcuni mesi dal secondo capitolo discografico, Sangue del Tuo Sangue,
sono felice di presentarvi questa breve intervista ai Requiem for Paola
P. Dopo alcuni anni di assenza dal favoloso, Tutti Appesi, ecco tornare i
nostri con questo piacevole disco da scoprire, assaporare, amare.
Tracce di pura energia, ben confezionate e che colpiscono dritte al cuore. Testi in italiano che trasudano un disagio e la voglia di potersi rintanare in
un luogo sicuro. E' musica rock, musica che tocca le corde dell’emo-core, musica
sincera, musica fatta con il cuore con il chiaro obiettivo di spargere sale su
nostre ferite mai cicatrizzate.
Come sono nati i Requiem for Paola P.?
Come spesso accade la band è nata da
amici con cui dividevamo progetti che purtroppo non hanno resistito al tempo
per dinamiche comunissime, come succede a tutti quando la vita corre e tu la
devi inseguire come una faina. All'inizio è stato un "gioco", bere
quattro birre insieme e passare il tempo, poi dal secondo disco "Tutti Appesi" (2010), abbiamo preso coscienza di quello che ci aspettavamo dal
nostro approccio al gruppo e diciamo, le birre son rimaste, ma abbiamo lavorato
per sistemare le cose in modo un po' più "professionale".
Tre album all’attivo… cos’è cambiato nel
modo di fare ed intendere musica per i Requiem for Paola P.?
Direi è cambiato tantissimo, forse
tutto, magari anche troppo. Come ti accennavo prima, all'inizio era più un
passare il tempo insieme, poi fare musica e comunicare un certo tipo di
concetto/approccio è diventata una necessità. C'è da dire che dopo i primi due
dischi, suonati tantissimo, ci siamo praticamente fermati un po' e la band ha
subito enormi mutamenti. Siamo passati da un gruppo di amici storici ad
"un'orchestra", nel senso che si son succeduti in poco tempo nuovi
innesti e ci siamo aperti ai cambiamenti molto più che in passato. Con
"Sangue del tuo sangue" (2016), siamo passati da due a tre chitarre,
poi a due di nuovo, avevamo due voci, ora abbiamo una voce solista, abbiamo
avuto un synth, ora non c'è più, magari domani introdurremo una sezione fiati
in pianta stabile dopo l'esperienza del brano "Tutti questi piccoli
cavalli" presente nell'ultimo lavoro o chissà cos'altro. Da questi
molteplici cambi di formazione sono arrivati stimoli ed impulsi positivi visti
oggi, molto complessi se rapportati ai "vecchi Requiem". C'era tutta
questa voglia di ripartire ma anche la sensazione che tanto era stato messo in
discussione. Ricominciare a comporre, dopo la pausa presa per rifiatare dai
tanti concerti suonati in lungo e in largo in supporto di "Tutti appesi", ha reso la
gestazione dei pezzi nuovi a tratti molto complessa. Netto e gonfio è il divario
tra la penultima e l'ultima uscita e ancor di più se ci rapportiamo al primo
lavoro, "Simplicity" (2008). E' come se con "Tutto il nostro
sangue", avessimo fatto molti più passi in minor tempo e spazio. Manca un
vero anello di giuntura per chi ascolta senza conoscere la storia, forse. Siamo
ancora noi in fondo, ma con un bagaglio di tre anni di maturazione che ci hanno
portato ad andare oltre in un solo capitolo. Credo molti non lo abbiano capito,
ci può stare, son gusti soggettivi, può esser complesso spiegare un cambio del
genere, ma nonostante i suoi difetti (visibili sempre dopo che la musica
registrata "riposa" un po' ), sono molto contento di questo album che
si scopre diverso, ti colpisce dopo vari ascolti, non sa esser immediato, ti
chiede di entrare, prenderti del tempo, sederti, aspettarlo. Oggi chi ha voglia
e dedizione per farlo? Se potessimo ingeriremmo una pasticca che soddisfa il
nostro appetito di un mese cosi da privarci di quella magagna del doverci
curare di noi stessi. Questo disco è lento in questo, ti dice masticami,
assaporami. Ti aspetta fuori dalla porta di casa, ti guarda e ti chiede di
portarlo a fare un giro. Wow, non posso fermarmi ora, sono in ritardo, faccio
tardi, ci vediamo dopo.
Perché Requiem for Paola P.?
Il grande quesito del nome,un classico. Mi
viene sempre in mente quando adolescente scoprii che "Green Day"
altro non era che la gestazione di una giornata passata a fumare erba. In fondo
un nome "banalissimo", talmente semplice da risultare spiazzante. I
nomi arrivano spesso cosi, poi ti si appiccicano addosso. "Paola P."
per noi è qualcosa che crea fastidio, che è lontano dal nostro modo di
intendere la vita e che odiamo, qualcosa che vogliamo evitare, lasciare
indietro per dolore, disperazione. Magari poi diventa anche qualcosa che amiamo
o abbiamo amato follemente se ci pensi, forse l'ascia che oramai non più
dolente, siam pronti a sotterrare. Muta in continuazione, si muove con le
sensazioni di tutti i giorni. L'amata contraddizione camminante, come dicevano
quelli li sopra. Ognuno ha una sua "Paola P." in fondo, ne sono certo.
Domanda ovvia, ma necessaria… quali sono
stati i gruppi che vi hanno influenzato maggiormente? E al giorno d’oggi cosa
ascoltate?
Anche qui potremmo citarne a valanghe,
siamo passati dal classico punk hardcore degli inizi ad aprirci verso territori
più "misti". Cito semplicemente il cambio più evidente, avvenuto con
il secondo disco dove ci siamo avvicinati a tutta quella scena italiana vecchia
e nuova che sicuro ha influenzato
parecchio in termini di composizione, The Death of Anna Karina, Teatro degli Orrori, One Dimensional Man, Giardini di Mirò, Massimo volume, Ministri,
Giorgio canali, Verdena, Marnero, Fine Before You Came e tutto quel tipo di
movimento di qualche anno fa soprattutto. Quello più recente invece ci
entusiasma meno, da l'impressione di coglierti subito, avere grandi copertine,
mega suoni, ma poche fondamenta,poche radici, come fosse una bella confezione
regalo, ma senza grande sostanza. Per quanto riguarda band straniere gli
indissolubili Fugazi, Jawbreaker, Hüsker Dü, Shellac, Jesus lizard, At the
drive in, Refused. Negli ultimi anni ho consumato personalmente anche qualsiasi
cosa di Calexico e Wilco e mi fermo qui che altrimenti si fa lunghissima.Sono
molto attento anche alle cose recenti, ma non so, mi prendo il tempo per vedere
se avranno la forza di cementarsi in me come quelli citati di sopra.
Trovo sempre molto interessanti i vostri
testi, diretti e sinceri…come nascono? C’è un messaggio particolare che volete
mandare il vostro messaggio ai vostri fruitori?
Ovviamente i testi contengono uno o più
messaggi, episodi personali, citazioni varie. Non sta a me spiegarli però, mi
piacerebbe sapere cosa ci vede la gente dentro. Sicuro ti dico c'è sempre stato
un forte lavoro che negli anni è diventato sempre più meticoloso. Mi hanno
detto che ad ora son eccessivamente criptici, che non ci si riesce ad entrare e
bisogna spingere come i matti per trovar posto a sedare sul bus. Non so, è
possibile. Secondo me invece è più semplice, scava e trova quello che fa per
te, prendi una frase che ti piace e costruisci il tuo castello. Se penso a
canzoni di band rinomate mi vien in mente,per dirne una, "Un po' esageri
" dei Verdena. La sentii e mi piacque molto il modo di aprire la dinamica
vocale di Alberto quando canta
"stai sulle rocce", ma allora, che vuol dire? Che uno sta
spiccando il volo? Che uno sta immobile? Che uno sta facendo una passeggiata in
montagna? Chissà. Si dice i Verdena scrivano colmando i suoni di un inglese
maccheronico dei demo con parole italiane di senso. Magari si, ma me interessa
capire se quello "star lì" può aver un senso tutto mio, Alberto di
certo avrà il suo, a prescindere sia più o meno profondo. Conoscere il reale
significato dell'autore può esser si interessante,ma non sempre necessario. A
volte si riesce ad esser semplici, diretti ed estremamente comunicativi, a
volte si fa il giro lungo. In questo disco abbiamo preso la seconda strada,
andando avanti chissà, magari sentiremo la necessità di "accorciare"
un po'.
Sei anni sono passati da Tutti Appesi…
com’è nato Sangue del Tuo Sangue? Quando avete capito che era il momento di
tornare in studio e registrare?
Riassumendo, dal 2010 al 2012 la band ha
suonato "Tutti appesi" parecchio ed un po' ovunque in concerti
autoprodotti in tutta la penisola, poi ci siam presi una pausa che è però
diventata più lunga del previsto in seguito ai vari cambi di formazione,
avvenuti non per litigi strani ma
semplicemente per cambiamenti di vita personali. Nel mentre ho sempre scritto,
buttato giù idee, composto. Dal 2015 abbiamo lavorato al disco nuovo con
stabilità, uscito poi nel 2016 ed ora stiamo lavorando a pezzi nuovi. Potevamo
esser più veloci di certo, ma se fai i conti alla fine (sempre abbia senso
farne), forse abbiamo rallentato un annetto, non molto di più. Son
indeciso,sai? Spesso le band che escono ogni due anni mi hanno sorpreso, spesso
deluso tantissimo. Qualcuno lo fa per battere il ferro caldo e poi si scotta
lui, non è mai facile, si va ad istinto. Per noi è stato giusto cosi, ci ha
permesso di concepire un nuovo punto di vista musicale probabilmente
necessario.
Possiamo affermare con certezza che il
tema portante del vostro ultimo album, è la natura? Qual è il vostro rapporto
con lei?
Assolutamente si. La natura che ci ha
generato, docile e rassicurante, ma anche una natura arpia e selvaggia che non
ti concede errore e spazio. Di certo i pezzi del disco hanno questo fil rouge
comune. Non parlerei di concept, perché all'interno delle canzoni le tematiche
variano molto, ma di certo la guida è quella. Il nostro rapporto con Lei è
quello di esseri umani affascinati e increduli di fronte all sua maestà,
purtroppo però consci che il suo valore sottostimato
e dato per gratuito risveglierà sempre più il suo lato feroce e distruttivo, il
che non è solo un discorso ecologista, ma da leggersi anche con respiro più
ampio, culturale e morale.
Il momento migliore e peggiore della
lavorazione al vostro ultimo album?
Credo il momento migliore sia stato
quando finalmente abbiamo capito di avercela fatta a tornare, nonostante spesso
il cammino sia stato di certo duro. Forse il peggiore non è stato tanto la
lavorazione del disco, ma accorgersi dopo l'uscita dello stesso che la
situazione riguardante il portarlo in
giro e suonarlo live era ben cambiata rispetto a due/tre anni prima. Le solite
cose, sempre più difficile suonare e ricever attenzione da gestori e pubblico,
spesso disattenti e schiavi delle "mode" musicali e di marketing.
Non è che abbiamo mai fatto tanti video,
anzi " I Rami Oltre" è solo il nostro secondo video ufficiale.
Racconta una storia, perché trovavamo noioso vedere ancora l'ennesimo playback
di una band, anche se ok ,può esser divertente, ma noi si voleva andare oltre,
comunicare, lasciare una traccia, senza banalizzare il tutto. Il video tratta di
quello che ti dicevo prima, di uomini che si confrontano con la natura e con le
proprie anime, cercandosi fino ad incontrarsi nel punto più atavico di loro
stessi, per una frazione, seppur limitata, infinita.
Si dice sempre che “si stava meglio
prima”… dopo 6 anni, è cambiato in peggio o in meglio, la situazione musicale
italiana? Cosa ne pensate della musica via internet?
Anche qui, mi ero anticipato!ahahah.
Credo la situazione sia peggiorata, o forse son peggiorato io che la vedo peggio
di una volta. Pochi spazi, ma soprattutto poca attenzione, tantissima
superficialità, pressapochismo e un gran saltare i tempi necessari a costruire
progetti musicali affidabili. Le band escono tutte con un ufficio stampa,
booking incredibili, promettono giravolte pazzesche, registrano dischi
coloratissimi, hanno muri di suoni, suonano bene,meglio di noi una volta
(questo è un pregio!), ma poi quando scavi vedi (e senti) che chiamano tour il
giro dei pub della Lombardia, non si dedicano al linguaggio nei loro brani,
vogliono tutto e subito, non son disposti ad approfondire altre band/generi,
a dedicar del tempo alla crescita
musicale ed umana e tutto ad un tratto ti accorgi son già spariti con il primo sole di primavera. Questa cosa
ti è confermata dalle numerose reunion di band storiche italiane e non, oltre
che dai numeri che fanno quasi sempre questi
eventi. Torniamo li a sentire quello che ci aveva cambiato la vita, forse
qualcuno ci marcia di certo, ma a volte fa anche piacere sentire quelle
"note storiche" e ti ricorda da dove arrivano certi legami. Son
sempre sentimenti discordanti ma indicano di certo questa tendenza, spesso con
risultati nettamente migliori di tante
"nuove uscite". Recentemente ho visto i Quicksand ad esempio,
ed insomma non saranno quelli degli anni storici, ma il loro concerto di certo è stato oltre che molto bello
(tecnicamente poi, validissimo), anche un ottimo esempio di qualità musicale
compositiva sia passata che recente (vedi lo splendido ritorno con il loro
ultimo disco " Interiors"(2017). Comunque si diceva, vedo molto troppo,
di questo cercar scorciatoie, questo saltare gli ostacoli, questo sentirsi
arrivati da subito. Chiaramente esiste anche chi fa le cose bene, ne apprezziamo
parecchi e non vogliamo certo generalizzare, ma purtroppo le strade più
impervie fan spesso paura. Peccato.
Per quanto riguarda internet e tutto
quello che permette una fruizione della musica più immediata, son assolutamente
a favore. Ci ha aiutato parecchio ed agevolato nel conoscere più band e stili.
Io stesso utilizzo tantissimo i vari You tube, Spotify e compagnia bella. Ovvio
bisogna farne un uso anche attento, spesso dedichiamo 13 secondi e siam già
pronti a cambiar traccia, siamo inondati di band e non approfondiamo i testi,le
grafiche, i suoni. Come sempre esiste un pro ed un contro che sta a noi
controllare. Io son ovviamente più legato al supporto fisico, ricordo quando
scoprivo l'uscita di un nuovo disco da giornali, fanzine, passaparola,
programmi tv (ah Videomusic/Tmc2 !) ; lo ordinavi, lo aspettavi, ogni giorno
passavi al negozio finché arrivava, dio che bello. La fruizione digitale
istantanea se vuoi, ha richiesto di riscoprire un po' questo nervo emotivo ed
ha generato probabilmente il rilancio del vinile, oggetto che personalmente
adoro. Il vinile è un oggetto ingombrante, te lo suoni solo a casa, lo studi,
lo giri, lo apri, lo respiri. Non puoi fare queste cose in macchina, in
metropolitana, per strada. E' bello cosi, utilizzare il digitale per la sua
praticità ma senza perdere di vista il supporto fisico. Siamo sempre li no?
Prenditi del tempo quando e come puoi e riscopri la tua natura a modo tuo, con
i tuoi propri metodi. Di certo c'è da restare stupiti di quello che si può
trovare e non si può aver paura nel fermarsi un po', anche solo un poco, a
guardare il paesaggio prima di rimettersi in cammino.
Grazie per l'intervista, ci si vede live! Seguiteci agli indirizzi qui sotto!
Grazie per l'intervista, ci si vede live! Seguiteci agli indirizzi qui sotto!
martedì 3 aprile 2018
Altprogcore April discoveries
Il giovane trio inglese degli Exploring Birdsongs formato da Lynsey Ward, Jonny Knight e Matt Harrison, ha da poco esordito con i due singoli The Baptism e The Downpour. Guidati dalla voce e dalle tastiere della Ward che infondono atmosfere art rock, le composizioni non disdegnano anche passaggi ritmici più elaborati.
Il trio giapponese Ling Tosite Sigure è sulla breccia da anni tanto che questo è il loro sesto album (a dispetto di quanto dice il titolo). La loro formula di post hardcore e math pop possiede pregi e difetti di molte altre produzioni giapponesi. La veemenza della produzione che spinge tutto al massimo: dinamiche, volumi e acuti vocali che sforzano oltre il consentito.
Un altro trio è quello dei Vox Vocis che con Star Meissa segna il suo secondo lavoro, piazzandosi accanto alla nuova onda post hardcore/swancore che vede Stolas, Eidola, Sianvar e Hail the Sun tra i principali esponenti.
I Lingua Nada potrebbero essere considerati come i Tera Melos tedeschi, stessa è la vena di follia che permea le composizioni math rock del loro nuovo album Snuff.
domenica 1 aprile 2018
Introducing Six-Ring Circus
Nati a Lione e in attività fino dal 2015, i Six-Ring Circus si sono fatti notare nel circuito dei festival jazz francesi grazie ad un repertorio fresco e moderno che sublima il jazz in un ibrido prog fusion che non teme di sperimentare sia in chiave acustica che elettronica. I cinque musicisti Elie Dufour (piano), Baptiste Ferrandis (chitarra), Célia Forestier (voce), Elvire Jouve (batteria) e Alexandre Phalippon (basso) sono giovani ma appaiono già dei fuoriclasse nell'eseguire intricate improvvisazioni che sconfinano in territori affini come il math rock o il minimalismo. Il primo e omonimo album sarà pubblicato il 28 settembre che, in un blend di nu jazz, fusion e progressive rock, sembra avere tutte le carte in regola per affermarli come una delle novità più rilevanti dell'anno.
http://six-ringcircus.com/
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