venerdì 3 giugno 2022

Valleyheart - Heal My Head (2022)


Quando ho scoperto i Valleyheart, cercando più notizie e approfondimenti su di loro, rimasi piuttosto sorpreso e interdetto nel trovare solo qualche recensione in siti alternativi meno battuti del solito, mentre la loro assenza risaltava in quelle pagine di riferimento più frequentate che in genere si occupano di questa area musicale. Il fatto mi era ancor più incomprensibile visto che avevano realizzato un EP e un album, pubblicati da un'etichetta piuttosto rilevante come la Rise Records, pressoché perfetti, di una bellezza cristallina e una produzione impeccabile.

A far emergere il valore aggiunto dei Valleyheart nella quantità di proposte emo/indie rock è proprio l'attenzione del gruppo per i dettagli sonori, che si traduce in una peculiare tavolozza timbrica sognante e avvolgente. Quasi immediatamente Nowadays e Everyone I've Ever Loved sono diventati (e rimangono tuttora) degli ascolti frequenti nella mia playlist. Inoltre, ad accompagnare la musica suggestiva, si aggiungono i testi molto personali e ispirati del frontman Kevin Klein, capaci di riflessioni non banali sui tormenti e l'incertezza della vita di tutti i giorni.

Il secondo album del gruppo, Heal My Head, continua in parte su questa linea e dall'altra cerca nuovi spunti che lo qualificano come un lavoro interlocutorio. Ad esempio, accanto a brani tipicamente "Valleyheart" compaiono ballad dalle caratteristiche più dirette come Warning Signs e Vampire Smile, alle quali però non manca il trattamento gazecore del gruppo, ma applicato in modo meno incisivo del solito. Forse per questo c'è chi ha ravvisato su Heal My Head qualche somiglianza con Death Cab for Cuties e Manchester Orchestra, ma personalmente ritrovo ancora qualche eco dei Sunny Day Real Estate e del Jeremy Enigk solista, sensazione rafforzata dal modo di cantare di Klein.

In generale i Valleyheart questa volta lasciano parzialmente da parte i sussulti emocore e si lasciano trasportare dalla quiete dell'indie rock. Anche Klein rispetto al passato canta molto più spesso con un registro vocale basso e concentra all'essenziale l'uso dei toni più alti. Rimane però quella sensazione che anche nei momenti più "pop", come la title-track o The Numbers, i Valleyheart non cedano mai alla facile soluzione o al facile ritornello da presa immediata. Il parallelismo che rimane costante col passato è che gli ascolti multipli di un loro album o di una loro singola canzone si aprano ogni volta a nuove scoperte e nuovi particolari, per arrivare infine all'essenza. Naturalmente non manca l'eccezione nelle vesti di Your Favorite Jacket che fin dai primi ascolti, col suo andamento sostenuto e sicuro, è capace di coinvolgerci nella solare atmosfera dolceamara.

Nella loro semplicità la costruzione delle canzoni non sempre è lineare e può capitare di trovare sottili deviazioni inattese o brevi parti strumentali avventurose. Per trasmettere emozioni in pratica questa volta i Valleyheart non puntano tanto sul quiet/loud, prerogativa dell'emocore, ma su quella spaziosa tavolozza a cui prima accennavo, basata su strati di chitarra nebulosi che già il gruppo aveva perfezionato con Everyone I've Ever Loved, dando al tutto un senso di dreamgaze. Basti pensare che spesso in questo genere, per infondere la sensazione di armonie più ampie e profonde, si fa ricorso all’uso delle accordature aperte, i Valleyheart invece ottengono tali risultati anche solo con accordi standard proprio grazie all'oculato lavoro su timbri e sonorità. E questo aspetto è particolarmente evidente sugli arpeggi eterei di Back & Forth o nella malinconia trasmessa da The Days, brani nei quali si può sprofondare. 

I testi seguono questa linea di transizione e adesso non riguardano più un tema unitario come la crisi religiosa che aveva colpito Klein raccontata su Everyone I've Ever Loved, ma più ampiamente un percorso sulle piccole cose di tutti i giorni: "Personalmente non mi considero più un cristiano [...] Non c'era alcuno sforzo cosciente per scrivere un disco sulla religione. È solo che in quel momento, era ciò che stavo passando. Ma sento che questo album riguarda tanto la fede quanto il precedente. È il proseguimento di quel senso di identità e del nostro posto nel mondo. Al contrario del cristianesimo, si focalizza più sul fatto di avere fede in qualcosa e di trovare il nostro posto in questo mondo selvaggio." Con Heal My Head (che esce per la Tooth & Nail) la promozione finalmente sembra decisamente indirizzata ad un pubblico più ampio e i Valleyheart si meritano sicuramente attenzione e un riscoperta retrospettiva per l'alto valore della loro proposta.

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