La voglia di ripartire si percepisce con il sogno ad occhi aperti di The Queen of Swans, dove il dream pop orchestrale della band non è stato mai così psichedelico e colorato. Ma uno dei punti fermi principali del disco è la delicatezza: sia che venga sussurrata come una cantilena infantile su Amelie, sia che venga dispiegata nelle orchestrazioni da favola di You've Gone With So Little for So Long. Tra violini, cori, timpani e chimes, i Mercury Rev sembrano una versione in punta di fioretto e fiabesca dei Beach Boys. Donahue reitera frasi come fossero un’invocazione da formula magica e la musica ne segue le tracce con le stesse caratteristiche di ripetizione del post rock, tipo su Emotional Free Fall. Non è escluso che con tali premesse venga a galla una certa ridondanza come accade in Coming Up for Air, mentre i toni chiaroscuri di Central Park East sono disturbati da una componente eccessivamente lisergica che non le si addice. D’altra parte gli arrangiamenti sinfonici rappresentano, nel bene e nel male, il cuore pulsante dei Mercury Rev che, se nella prima parte del lavoro trattengono un’aura suggestiva che raggiunge il culmine con il ballata da musical Autumn’s in the Air, nella seconda i colori da pop impalpabile si diradano per far spazio a canzoni con impianto più tradizionalmente cantautorale e alle inaspettate briose atmosfere soul rock da motown di Sunflower e Rainy Day Record. All’interno di The Light In You troviamo impressi quei canoni stilistici dei Mercury Rev che più hanno convinto negli ultimi album, senza però superarli con lo slancio che ci saremmo potuti aspettare dopo questa lunga attesa, ma ciò rimane un peccato veniale.
sabato 28 novembre 2015
MERCURY REV - The Light In You (2015)
La voglia di ripartire si percepisce con il sogno ad occhi aperti di The Queen of Swans, dove il dream pop orchestrale della band non è stato mai così psichedelico e colorato. Ma uno dei punti fermi principali del disco è la delicatezza: sia che venga sussurrata come una cantilena infantile su Amelie, sia che venga dispiegata nelle orchestrazioni da favola di You've Gone With So Little for So Long. Tra violini, cori, timpani e chimes, i Mercury Rev sembrano una versione in punta di fioretto e fiabesca dei Beach Boys. Donahue reitera frasi come fossero un’invocazione da formula magica e la musica ne segue le tracce con le stesse caratteristiche di ripetizione del post rock, tipo su Emotional Free Fall. Non è escluso che con tali premesse venga a galla una certa ridondanza come accade in Coming Up for Air, mentre i toni chiaroscuri di Central Park East sono disturbati da una componente eccessivamente lisergica che non le si addice. D’altra parte gli arrangiamenti sinfonici rappresentano, nel bene e nel male, il cuore pulsante dei Mercury Rev che, se nella prima parte del lavoro trattengono un’aura suggestiva che raggiunge il culmine con il ballata da musical Autumn’s in the Air, nella seconda i colori da pop impalpabile si diradano per far spazio a canzoni con impianto più tradizionalmente cantautorale e alle inaspettate briose atmosfere soul rock da motown di Sunflower e Rainy Day Record. All’interno di The Light In You troviamo impressi quei canoni stilistici dei Mercury Rev che più hanno convinto negli ultimi album, senza però superarli con lo slancio che ci saremmo potuti aspettare dopo questa lunga attesa, ma ciò rimane un peccato veniale.
domenica 22 novembre 2015
LEVITATION - Meanwhile Gardens (1994-2015)
Meanwhile Gardens doveva essere il supposto secondo album della band psych-gaze inglese Levitation, registrato all'inizio del 1993 e poi mai realizzato ufficialmente, se si eccettua una versione alternativa remixata con il nuovo cantante, uscita esclusivamente in Australia e il singolo King of Mice pubblicato per il solo mercato tedesco. Quello che successe è che il frontman Terry Bickers, di punto in bianco, annunciò la propria fuoriuscita dalla band nel bel mezzo di un concerto, in preda ormai ad un incontrollabile breakdown emotivo che potremmo definire esaurimento, un atteggiamento simile a quello che gli era già costato il posto nella sua precedente band House of Love. Per farla breve, il gruppo si trovò improvvisamente senza cantante, con un album completato, prodotto nientemeno che da Tim Smith (Cardiacs, anyone?) e comunque deciso ad andare avanti. Dopo aver reclutato per poco tempo Steve Ludwin in vece di Bickers, il gruppo si sciolse definitivamente nel 1994 senza avere realizzato Meanwhile Gardens, che da allora cominciò a circolare sotto forma di bootleg tra i pochi appassionati fan che i Levitation erano riusciti a conquistare.
Quest'anno l'etichetta Flashback Records lo ha riportato alla luce, rimasterizzandolo dai nastri originali, diventando così la prima edizione ufficiale di questo album perduto. Ascoltare e giudicare oggi un lavoro che sarebbe dovuto uscire 21 anni fa, estrapolato da quell'importante contesto storico musicale che era l'Inghilterra dei primi anni '90, non è certo un compito facile. Il rischio di entrare nel reame del "cosa sarebbe successo se" è altissimo, e aumenta ancora di più se si pensa che Meanwhile Gardens è stato giudicato da alcuni un'opera in anticipo sui tempi, che avrebbe scardinato le regole del rock psichedelico chitarristico che di lì a poco sarebbe esploso in Terra d'Albione con le opere di The Verve, Spiritualized, Radiohead e anche Oasis e Blur. Come detto, questa cosa non la sapremo mai, però possiamo affermare che Meanwhile Gardens rimane ancora oggi, nel 2015, un oggetto affascinante e contagioso.
I Levitation creavano spirali elettriche e tappeti lisergici di tastiere simili al rock gotico di All About Eve e allo shoegaze di Swervedriver e My Bloody Valentine, in un connubio da sembrare una versione più concretamente hard dei Cocteau Twins. La voce di Bickers era suadente e riverberata, tanto da colpire come se uscisse con forza positiva da un buco nero, la batteria di David Francolini era un vortice di ritmiche tribali, mentre le chitarre e le tastiere si impastavano in paesaggi spaziali e notturni, creando un legame diretto tra il post punk degli anni '80 con l'attuale scena alternativa inglese. Le cavalcate più estese come I Believe, King of Mice, Burrows e la coda allucinata di Magnifying Glass, non erano immuni neanche da quel presentimento aleatorio di post rock che si sarebbe poi palesato con tutta la sua forza proprio nel 1994 con lo stupendo Hex dei Bark Psychosis.
mercoledì 18 novembre 2015
THE TEA CLUB - Grappling (2015)
E' incredibile come, ad esempio, The Magnet e Remeber Where You Were (con un intro che sembra preso di peso da The Wake degli IQ) assomiglino alle manifestazioni più elaborate dei Genesis, ma riescano entrambe a mantenere un'identità da rock alternativo moderno. Negli interplay solisti tra chitarre e tastiere non spicca mai un tema chiaro e ben definito, ma gli strumenti si sovrappongono in un corto circuito sonoro. Dr. Abraham è un pezzo così strano ed inusuale per loro, nel quale si ritrovano le sperimentazioni del Canterbury sound senza compromessi di Matching Mole o le invenzioni più audaci di Robert Wyatt. Confrontato con ciò che ci siamo lasciati appena alle spalle The Fox in a Hole sembra quasi un pezzo rilassato con la sua introduzione da folk bucolico, ma che proseguendo nasconde insidie progressive ad ogni angolo. Wasp in a Wig si tinge di quel prog rock americano che ci hanno insegnato ad amare gli Echolyn, con molti crescendo e ottimi spunti strumentali giocati tra le tastiere e le chitarre. Ancora una volta il punto di riferimento della conclusiva The White Book sembra essere i Genesis, soprattutto al lavoro di tastiere di Reinhardt McGeddon, però qui si solcano territori talmente aleatori che spesso, sei suoi saliscendi dinamici, ci si dimentica dei riferimenti.
I The Tea Club, quindi, cambiano ancora direzione, dando alle stampe un album dai toni d'avanguardia con brani con cui non sarà facile confrontarsi ma che, in definitiva, se cercate un prog sinfonico che non rispecchi i canoni di ciò che avete conosciuto sinora, Grappling vi stupirà per il suo coraggio e il suo azzardare in una scena che troppo spesso si rinchiude in confortevoli parametri ormai omologati.
www.theteaclub.net
martedì 17 novembre 2015
Instrumental (adj.) - A Series Of Disagreements (2015)
https://www.facebook.com/instrumentaladj
domenica 15 novembre 2015
Strawberry Girls - American Graffiti (2015)
Dopo aver testato i motori nel 2013 con la scheggia impazzita che fu French Ghetto, adesso il trio ci riprova con un'opera a dir poco strepitosa. I pirotecnici assalti dell'album sono guidati da ritmiche frenetiche e fraseggi chiatrristici che mischiano funk, blues e math rock, ma gli Strawberry Girls si lanciano anche sonorità così psichedeliche da sfiorare lo space rock. Alla fine non si può che constatare come American Graffiti è sicuramente stretto parente di tutto il movimento post progressivo dell'ultimo decennio che include The Mars Volta, Circa Survive e Coheed and Cambria, ma anche di come si nutra del progerssive rock più classico, un connubio che forse nessuna band di math rock era riuscita a elaborare.
lunedì 9 novembre 2015
I Black Peaks presentano "Statues", il primo album confermato per il 2016
All'interno di Statues, che è stato mixato nientemeno che da Alex Newport, ci saranno anche due dei tre pezzi tratti dell'EP già citato, uno dei quali, Saviour, è stato appena lanciato come nuovo singolo. Influenzati da Oceansize, Mastodon e The Mars Volta (si legga questa bella intervista), nella loro ascesa i quattro di Brighton sono stati aiutati da due dj influenti come Zane Lowe e Daniel P. Carter che hanno lanciato con entusiasmo i due singoli appena menzionati dalle antenne radio della BBC, elogiando il gruppo come una delle migliori scoperte del 2015. E noi non possiamo che concordare.
Tracklist:
1. Glass Built Castles
2. Crooks
3. Say You Will
4. Hang ‘Em High
5. Set In Stone
6. Saviour
7. Statues Of Shame
8. Drones
9. White Eyes
10. To Take The First Turn
venerdì 6 novembre 2015
Ossicles - Music For Wastelands (2015)
Nonostante la giovane età e l'aver alle spalle un solo album, il duo norvegese formato da Sondre e Bastian Veland parte già con un curriculum di tutto rispetto, che vede tra i loro fan Steven Wilson e Mike Portnoy, il quale, dopo aver ascoltato l'album autoprodotto Mantlepiece (poi ristampato dall'etichetta Karisma), li ha voluti come band di appoggio in alcuni suoi concerti. Da queste promettenti premesse arriviamo al secondo album degli Ossicles, Music For Wastelands, che rappresenta una conferma del talento compositivo dei due cugini. Sfruttando solo l'aiuto degli ospiti Erlend Furuset Jenssen (al sassofono) e Karin Mäkiranta (alla voce in una traccia), Sondre e Bastian si fanno carico di tutti gli strumenti e producono un album dai suoni personali, ma che ritrova nelle raffinatezze new wave di David Sylvian e No-Man e nel prog rock dei King Crimson e Porcupine Tree certe peculiarità affini, anche se affrontano il tutto con un approccio più sofisticato che va a toccare i confini della fusion in alcune parti strumentali.
http://ossiclesband.wix.com/ossicles
mercoledì 4 novembre 2015
Our Oceans - Our Oceans (2015)
www.ouroceans.net
martedì 3 novembre 2015
GAZPACHO - Molok (2015)
Il gruppo questa volta si lascia alle spalle le lunghe elucubrazioni di Demon e si concentra su un formato temporale più ridotto, riuscendo una volta tanto, con il brano ABC, ad imbrigliare delle melodie sinuose da potenziale singolo. Anche se qui non lesinano qualche sussulto, come nella vivace Bela Kiss, i Gazpacho ci hanno comunque abituato a tempi rallentati che rientrano più nei confini di certo art rock crepuscolare che non nel progressive inteso nella sua accezione classica. Il risultato di tali formule ci fa arrancare nei quasi dieci minuti di muzak ancestrale di Molok Rising o nelle inconsistenti velleità simil-new wave di Alarm. Il disco vorrebbe trasmettere delle vibrazioni spirituali e le atmosfere raccolte della band si prestano particolarmente nei passaggi da rito ecclesiastico di The Master’s Voice. I tamburi tribali che ritornano in modo sistematico su Choir of Ancestors, Park Bench e Know Your Time riflettono musicalmente la natura quasi pagana del concept, brani non privi di un certo elemento di fascinazione, ma che continuano a mancare di quel quid che possa rendere memorabile la musica dei Gazpacho.
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