E insomma, dopo dieci anni di silenzio radio sul pianeta Porcupine Tree, accompagnato dal timore di molti che la band di Steven Wilson non si facesse più viva, non solo c'è stata la tanto attesa reunion (anche se parziale), ma si è scoperto che in gran segreto per tutto questo tempo (fin dal post The Incident quindi), in realtà Wilson e Gavin Harrison non hanno mai smesso di lavorare su idee, bozze e demo per quello che oggi è diventato Closure / Continuation, undicesimo album in studio dei PT. Il buon Wilson si è fatto carico pure delle parti di basso, buttando giù riff e groove improvvisati in un'atmosfera informale a casa di Harrison, perché in quei momenti era sprovvisto di chitarra. Al che Wilson si è accorto che il suo stile e il suo approccio allo strumento erano ovviamente molto differenti da quelli dell'assente Colin Edwin e, dato che il bassista in questi anni è stato l'unico irresponsabile a non chiamare ed essersi fatto vivo col capo per pregarlo in ginocchio di riformare la banda, si è pensato bene di escluderlo dalla reunion (almeno a quanto raccontato da Wilson, anche se in contrasto con la versione di Edwin).
Il basso è proprio il primo strumento che ascoltiamo quando inizia Harridan, pezzo d'apertura e anche primo ad essere stato reso noto alcuni mesi fa. E oggi possiamo aggiungere pure abbastanza rappresentativo della direzione di Closure / Continuation. In prospettiva, per chi se lo chiedesse, non c'è nulla di veramente nuovo nel lavoro, sia in generale sia per ciò che riguarda i Porcupine Tree. Anche lo stesso basso riadattato da Wilson si rifà alle tendenze aggressive prog metal/djent che oggi sono stra-abusate. Ma questa non è una critica, solo una constatazione. Harridan è anzi un bel concentrato di tecnica, sprazzi melodici e scontro di stili, tra il groove di basso che si sposa con l'organo sinistro di Richard Barbieri e la batteria impeccabile di Harrison che sposta il baricentro verso ritmiche dal sapore jazz e fusion. Stesso discorso si potrebbe fare per Rats Return che questa volta però, ad un interessante riff iniziale saturo e distorto che avrebbe meritato un differente sviluppo, controbilancia una parte cantata che spezza il pathos e indebolisce l'aria minacciosa del brano. Con Herd Culling invece non si capisce bene dove il gruppo voglia arrivare. E' sempre una traccia sulla scia di Harridan e Rats Return, guidata da un groove di chitarra e da tensioni latenti che esplodono in riff elettrici, ma in questo caso si ha proprio l'impressione di un pezzo nato da una jam session irrisolta e troppo lunga, poiché non ha una destinazione precisa e ancor di più dotato di una struttura chiusa a compartimenti stagni, che ripetono un'idea il cui unico gancio degno di nota sono gli abbellimenti synth di Barbieri.
Cambiando prospettiva l'album offre tracce a carattere più distensivo e melodico, come la ballata elettroacustica Of the New Day che sembra provenire dal periodo Stupid Dream / Lightbulb Sun, ma francamente con quel suo andamento melenso si rivela come una tra le cose più deboli e sfilacciate prodotte dai Porcupine Tree. Altri due brani che puntano su atmosfere acustiche sono Dignity e Chimera's Wreck, anche se in questo caso la durata si raddoppia (8 minuti e mezzo e ampiamente oltre i 9 rispettivamente). Ascoltando Chimera's Wreck e il suo arpeggio acustico è impossibile non ripensare ai bucolici paesaggi di stampo genesisiano, ma i PT rimangono fedeli alle loro impostazioni e l'atmosfera creata dal brano è altamente depressiva e malinconica, animandosi dal suo torpore narcolettico solo nella seconda parte, quando fa irruzione un riff metal e una ritmica sostenuta che sono la perfetta antitesi di quanto venuto prima. Dignity si dipana invece come fosse uno scontro di più canzoni pop, fluttuando in un patchwork di idee e progressioni di accordi che sembrano messi lì un po' a caso e dove il pezzo pare smarrirsi, una sensazione rafforzata dalle linee melodiche cantate da Wilson, mai incisive o memorabili. Quest'ultimo aspetto in verità è quello che fa soffrire un po' tutto l'album, ovvero delle parti vocali che si inseriscono a forza e con poca convinzione nell'architettura strumentale.
La conclusione a cui sono arrivato per Closure / Continuation me l'ha resa chiara la "deluxe edition". Si dice che è sempre dura rinnovarsi con credibilità... e tornare dopo dieci anni con novità rilevanti non deve essere altrettanto facile. Eppure, dopo trenta anni che ascolto Porcupine Tree e Steven Wilson, questo album una novità l'ha effettivamente portata. Una novità che ha aleggiato per tutto l'ascolto dell'"album standard", rilevata inizialmente con qualche riserva da parte mia, ma che con l'aggiunta delle tre tracce che compongono la "deluxe edition" si è rafforzata senza più dubbi. Closure / Continuation è l'apoteosi dello Steven Wilson killer (in senso negativo) di memorabili linee vocali, la maggior parte dei suoi interventi sono trascurabili e per nulla incisivi (e non parlo del timbro della sua voce che può piacere o meno). Gli ultimi pezzi della "deluxe edition" in particolare, Never Have e Love in the Past Tense (Population Three è uno strumentale), hanno le idee strumentali più riuscite ed interessanti di tutto il disco, tanto che avrebbero meritato ulteriori sviluppi e un posto di maggior rilievo nella tracklist ufficiale. Le linee vocali e melodiche di Steven Wilson in questi due pezzi sono quasi superflue e dimenticabili. Closure / Continuation si rivela un album che ha i suoi pregi ed è sicuramente molto più rilevante di ciò che sta facendo il Wilson solista da molto tempo a questa parte. Eppure non è un album che invita a molteplici ascolti, questo soprattutto per una freddezza latente generalizzata a causa di pezzi tecnicamente e sonicamente ineccepibili, ma che faticano a regalare emozioni.
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