Avrei voluto aspettare qualche altro giorno per pubblicare questa lista, ma la effettiva penuria di uscite mi ha fatto cambiare idea, come dire che, arrivati a questo punto, non uscirà niente che può competere per le selezioni di fine anno. Mi spiego meglio: quest'anno mi è capitato di notare che almeno, diciamo, da agosto non sia stato pubblicato nulla di eclatante. Qualche sussulto a settembre c'è stato (infatti qualcosa nella lista è compreso), ma, oltre a ciò, poco o nulla. L'unica produzione effettivamente di spessore uscita negli ultimi due mesi la trovate in seconda posizione. Quindi, la seconda metà di questo 2013, è stata abbastanza demoralizzante come vi sarete accorti anche dalla carenza di post, non dovuta tanto al poco tempo, ma piuttosto alla scarsità di pubblicazioni valide. All'inizio dell'anno molti gruppi avevano annunciato album imminenti che sono, evidentemente, slittati al 2014.
Non so se ciò sia dovuto alle sempre più ingenti spese a cui devono far fronte le band, o se i musicisti sono diventati dei campioni di meticolosità, ma i tempi di realizzazione di un album sono sempre più dilatati. I vari social network - come Facebook, Twitter e Instagram -, che ci tengono costantemente aggiornati sui processi di registrazione e ci aiutano a farci un'idea sui loro progressi, mi fanno pensare che tutte queste tecnologie, paradossalmente, hanno penalizzato la produzione di un CD, rallentandone i tempi di lavorazione. Sono lontani i tempi in cui, ad esempio, gli Yes facevano uscire nello stesso anno "cosucce da niente" come
The Yes Album e
Fragile.
Concludendo, in questa pagina trovate la Top 18 di Altprogcore e, come l'anno scorso, per una lista più esaustiva vi rimando alla
mia pagina RYM.
18. Being
Anthropocene
Un disco che è stato in gestazione per 10 anni, un concept album di circa 71 minuti con muri di suono che fondono metal e djent con l'elettronica (anche se l'intermezzo su
Escape è alquanto fastidioso) come vuole l'ultima tendenza del genere. I famigerati
growl sono dosati con sapienza e non si scade mai in aggressività eccessive. Qualche volta l'album soffre per un eccessivo uso di espedienti da studio, palese nel confusionario collage dei 12 minuti finali di
The Singularity - Cosmits II, artefatti ai limiti del midi file. A parte ciò,
Anthropocene è un lavoro che regala momenti memorabili come
Cosmonaut,
The Singularuty - Terrans I, i tour de force di
DNA e
Perpetual Groove.
17. Everything Everything
ARC
Per il loro secondo album gli EE hanno scelto una via meno ambiziosa e barocca rispetto alla caleidoscopica euforia dell'esordio Man Alive. Ne esce fuori un electro rock di maggiore presa e più intelligente della media. Ma se Man Alive non presentava sbavature, ARC, accanto a grandi numeri come Cough Cough, Duet e Choice Mountain, ha al suo interno qualche ingranaggio più debole come i brani più pacati The House is Dust e The Peaks. ARC nasconde meno insidie per l'ascoltatore medio e i brani, benché complessi e superiori alla media del genere, si digeriscono più in fretta del solito, magari anche troppo. Questo è un po' il limite di ARC che comunque rimane una gran prova.
16. Volcano Choir
Repave
Passato lo stato di grazia conseguito con
Bon Iver, Bon Iver, Justin Vernon si unisce per la seconda volta con i Collections of Colonies of Bees sotto la sigla Volcano Choir.
Repave trattiene nei suoi solchi un po' di quella magia boniveriana, la fascinazione per una musica paesaggistica e suggestiva, l'epica dei crescendo e dei grandi spazi sonori, quasi orchestrali. L'album si apre con una sequenza mozzafiato di quattro tracce, una meglio dell'altra. Le altre quattro sono più sfilacciate tra balzi di ispirazione e didascalici riempitivi. Nonostante questo divario d'ispirazione, che divide virtualmente
Rapave in due parti, la poetica sonora (perché è di questo che si tratta) rimane omogenea.
15. Karnivool
Asymmetry
Asymmetry è il manifesto di una band che non ha paura di progredire sperimentando e i Karnivool si sono presi i loro rischi, anche a costo di divenire ancora più cervellotici e impopolari. Bisogna riconoscere una gran dose di coraggio al gruppo australiano dato che questa terza prova in studio è stata destinata a non contentare tutti. Le composizioni sembrano scaturite più da improvvisazioni, piuttosto che da un processo di scrittura portato avanti con metodo. I risultati hanno dato vita ad un album con alti e bassi dove i brani non sempre brillano per lucidità, ma quando lo fanno ti colpiscono come una
wrecking ball. Ad ogni modo qui è la mente prevale sul cuore e
Asymmetry rimane un esperimento affascinante con alcuni limiti.
14. Steven Wilson
The Raven That Refused to Sing (and Other Stories)
Con il personaggio Wilson ho un rapporto conflittuale e ambivalente.
The Raven riporta molti dei tratti stilistici di
Grace for Drowning e li approfondisce. Qui si scava a piene mani negli anni '70, mentre GFD aveva anche dei tocchi di modernismo.
The Raven è un album prog vecchio stile - un gran stile - suonato da dei musicisti d'alta classe, che comunque non sempre regge le vette di scrittura del suo predecessore. Insieme ai Big Big Train, Wilson rimane la migliore espressione del progressive rock inglese e in questa pausa da solista ha sicuramente superato i risultati dei Porcupine Tree degli anni 2000. D'altro canto devo aggiungere che, se in studio crea degli ottimi album, dal vivo mi fa saltare i nervi per quel suo atteggiarsi a rock star (e a Pistoia Blues ne abbiamo avuto un assaggio). Non che non lo debba fare, per carità, ma si vede lontano un miglio che, da vecchio volpone, Wilson si è cucito addosso un personaggio artefatto che non gli appartiene, soprattutto a causa del suo ego smisurato. In fondo lui oggi fa ciò che ha sempre fatto da vent'anni a questa parte: rileggere il progressive rock degli anni '70, con la differenza che ora la stampa gli dà del genio e lui ci crede. Con questo voglio solo dire che il personaggio Wilson andrebbe ridimensionato: nessuno toglie che sia la stella che ha rilanciato il progressive rock in tempi di magra, o che non sappia creare degli album memorabili, ma ci sono anche altri musicisti che valgono quanto lui. Alla fine
The Raven presenta punti deboli, come le pur apprezzate
Drive Home e la title-track che trovo molto melense e noiose, rilevando che è un album che riascolto con fatica.
13. Sound of Contact
Dimensionaut
Simon Collins (figlio di Phil) e il tastierista-produttore Dave Kerzner (che in passato ha collaborato con Kevin Gilbert) hanno prodotto uno dei più gustosi e raffinati album di progressive rock dell'anno. Più che agli anni '70,
Dimensionaut guarda al passato prossimo influenzato da quei toni melodici e orecchiabili che hanno fatto grande il prog americano degli anni '90 (vedi Spock's Beard e Transatlantic).
12. Chvrches
The Bones of What You Believe
Non mi sento di equiparare questo album ad altri prodotti della scena electro pop. Questo degli scozzesi Chvrches è di molto superiore. Tra le motivazioni c'è forse che Iain Cook e Martin Doherty provengono entrambi da band di rock alternativo, così come la cantante Lauren Mayberry. I tre sanno come si compone e arrangia una canzone e applicano la loro esperienza al pop rendendolo più accattivante che mai. Cook aveva già sperimentato l'influenza dell'elettronica negli ultimi lavori degli Aereogramme e qui sembra dare sfogo a ciò che aveva lasciato insoluto. D'altronde, se rallentiamo i battiti di
We Sink e ce la immaginiamo acustica, non verrebbe fuori una perfetta ballata in stile Aereogramme? Questo per dire che l'ossatura compositiva dei Chvrches rimane quella di una altrock band. Oltre a questo ci sono melodie che ti si insinuano dentro come un lavaggio del cervello e canzoni perfette come
Gun e
By the Throat. Magari per alcuni sarà un giocattolo che si romperà dopo qualche ascolto, per me invece dimostra un'insolita resistenza agli urti.
11. Paramore
Paramore
Ok, Ok, questo merita una spiegazione/giustificazione. Non avrei mai preso in considerazione i Paramore se non fosse stato per i tipi del sito web musicale DecoyMusic che ritengo molto preparati e stimabili. La recensione di
Paramore su DecoyMusic ha toccato il rating di 4.5 su 5 e così ho voluto controllare questo insolito voto più per curiosità che altro. Ho scoperto subito dopo, inoltre, che altre testate hanno decretato l'album il migliore della carriera del gruppo.
Ancora dubbioso e senza grandi aspettative mi sono invece ritrovato ad ascoltare
Paramore due, tre, quattro volte, trovando quasi tutte le canzoni davvero irresistibili. Ovvio, niente di trascendentale, ma, considerato tutto, è già tanto non trovarsi di fronte al solito pop spazzatura, anzi, qui la materia si eleva ad una scrittura al di sopra della media (
Part II nella sua semplicità è grandiosa).
Il punto vincente dell'album è la sua varietà (pur contenendo 17 tracce) che attraversa una certa estetica del power pop rock anni '90 e '80. Si va dal bubblegum punk di
Fast in My Car e
Now, alle similitudini con Cyndi Lauper su
Still Into You e
Grow Up, il tutto con una verve funk che fa somigliare i Paramore ad una versione con le palle dei No Doubt.
Hayley Williams è davvero una brava cantante e credo che qui abbia affrontato la sua prova migliore. Come fa notare il titolo questo vuole essere un nuovo inizio per la band e spero che il cambio di direzione si protragga in futuro. Spogliatevi dei vostri pregiudizi e date una possibilità a
Paramore. Già battezzato come il guilty pleasure di quest'anno.
10. The Reign of Kindo
Play with Fire
Per essere una giovane band i The Reign of Kindo dimostrano una maturità fuori dal comune, oltretutto, come se questo non bastasse ,sfornano un lavoro degno di una major suonato, prodotto e arrangiato in maniera impeccabile, pur essendo sostenuti "solo" da un'etichetta indipendente. Dall'altro lato l'impasto tra jazz e pop rock di
Play with Fire mostra le prime crepe che rischiano di portare il quintetto di Buffalo verso una deriva melenso-romantica (si vedano
Romancing a Stranger e
Sunshine). Ma quando ti capita un lavoro così non puoi che perdonare questi piccoli peccati veniali.
9. Coheed and Cambria
The Afterman: Descension
La seconda parte di
The Afterman mantiene lo stile e le promesse della prima, percorrendo lo stesso immaginario heavy prog e completando in maniera egregia quello che potrebbe essere a tutti gli effetti un epico doppio album. I Coheed And Cambria non si esprimevano a tali livelli creativi dai tempi del secondo lavoro
In Keeping Secrets of Silent Earth: 3, pur alleggerendo le complessità formali in favore di un rock più diretto. In pratica le due parti di
The Afterman li hanno riscattati da una parabola artistica che stava inesorabilmente crollando. Uno scatto d'orgoglio insperato e benvenuto.
8. Big Big Train
English Electric (Part Two)
Questa seconda parte a me ha convinto molto più della prima. Basterebbe già un brano capolavoro come
East Coast Racer per superarla che è una delle migliori suite sentite negli ultimi tempi. Il resto è di nuovo una collezione di brani neo progressive ad alto tasso melodico, suonati e prodotti in maniera più che professionale. Come molti complessi di questo genere si sentono echi di influenze genesisiane, ma Spawton, Poole e Langdon si destreggiano talmente bene che infondo molta personalità al suono del gruppo. I Big Big Train si confermano così come la miglior band neo prog contemporanea.
7. HRVRD
From the Bird's Cage
Oltre ad un leggero cambio di nome gli Harvard rinnovano anche il loro stile con coraggio e intelligenza. Più psichedelia e meno post-hardcore può essere la sintesi della formula che ha portato gli HRVRD ad una seconda opera fatta di groove ipnotici e impasti elettrici dai toni caldi e spaziali.
From the Bird's Cage va assaporato lentamente ascolto dopo ascolto, in un processo di assimilazione che a me ha ricordato molto quello intrapreso con
El Cielo dei Dredg. Inizialmente si rimane quasi indifferenti mentre la musica scorre, fino a che, una volta assimilata, ti entra dentro con la sensazione di aver trovato un nuovo classico. Un disco perfetto da assaporare nella quiete di assolati e silenziosi pomeriggi estivi. Speriamo che la band non faccia passare altri 4 anni per il terzo lavoro in studio.
6. Owen
L'Ami du Peuple
Mike Kinsella, nel suo nuovo album solista, finalmente aggiunge un po' di pepe alle sue canzoni, con arrangiamenti meno minimali del solito, anche se la componente di ballad acustica malinconica è sempre ben presente. Gli American Football non sono mai stati così lontani e così vicini. Altrimenti L'Ami du Peuple, tematicamente, rimane saldo ai valori della Weltanschauung kinselliana: cinismo a volontà, note autobiografiche, spaccati di vita da provincia americana. Vi si descrivono amori finiti, ma che ancora riaffiorano, rimpianti e ricordi di una vita che abbiamo vissuto e che ci ha portato forzatamente a tutt’altro (How long have I been sleepin’?/ I’m a dad and my dad’s dead). Tutto questo raccontato con disincantato realismo.
5. The Dear Hunter
Migrant
Dopo tre album all'insegna di un barocco alternative prog e una serie di EP eclettici e stilisticamente vari, Casey Crescenzo ha dato alle stampe il suo lavoro più accessibile e pop. Quella di
Migrant è una collezione di melodie senza tempo, che può piacere in egual misura al teenager medio come ai suoi genitori. Crescenzo guarda al passato della musica popolare americana e ne ricava canzoni intergenerazionali che vanno dal soul al folk, dal chamber pop alla West Coast degli anni Sessanta.
4. Stellar Young
Everything at Once
Questo giovane quintetto di Albany (NY) si presenta all'esordio con un album pop rock alternativo di grande sensibilità melodica e di innegabile abilità nell'arrangiamento.
Gli Stellar Young si sono palesati in un primo momento nel 2011 con il nome The City Never Sleeps, dando alle stampe l'EP Madison. Ora si presentano con un nuovo nome e con l'album d'esordio dal titolo Everything at Once che, devo ammettere, ho iniziato ad ascoltare con leggerezza e, lentamente, mi ha conquistato. Gli Stellar Young partono da premesse appartenenti al moderno alternative rock americano e le immergono in melodie pop molto gustose, sofisticate e sognanti tra le quali la parte del leone la fanno brani come Playing with Guns, We Own Nothing e Alright. Ma, in effetti, non c'è una canzone debole in questo esordio, già maturo e ricco di promesse per il futuro.
Il quintetto di Albany si può accostare ad una versione molto più soft dei Circa Survive o HRVRD che si incontra con la delicatezza dei This Day and Age (la band che poi ha generato i The Reign of Kindo), riprendendo lo stesso gusto per dolci armonie presenti in quel piccolo gioiello che fu The Bell and The Hammer.
3. Exivious
Liminal
Era dai tempi di
Erotic Cakes di Guthire Govan che non apprezzavo così tanto un album strumentale di genere fusion. Gli olandesi Exivious - i cui 2/4 hanno collaborato con i Cynic e si sente - ci inseriscono un po' di tutto tra jazz, metal, djent e ambient, superando ampiamente i risultati dell'omonimo esordio del 2009. In questo mi sembra un proseguimento del discorso aperto dai DispersE con il loro sontuoso
Living Mirrors.
Liminal è anche un raro caso in cui tecnicismo non è sinonimo di freddezza, ma uno studio di dinamiche armoniche che sa emozionare.
2. DispersE
Living Mirrors
Con il loro secondo album, questi quattro giovani di Cracovia hanno creato una miscela pressoché perfetta di progressive metal, djent, ambient e fusion. Ma oltre a ciò, Living Mirrors riesce ad equilibrare benissimo momenti melodici, tecnicismi e poliritmie da capogiro. Dietro a tutto c'è il giovanissimo talento di Jakub Żytecki, davvero enfant prodige della chitarra che dimostra non solo di saper suonare, ma anche di comporre con gusto. Pezzi come
Enigma of Abode,
Touching the Golden Cloud,
AUM e
Message from Atlantis aprono nuovi squarci verso un prog metal mistico votato tanto alla meditazione zen quanto ai furori rock.
The Knells
Un chitarrista classico può ridefinire il rock moderno d'avanguardia? A quanto pare il compositore
Andrew Mckenna Lee c'è riuscito, regalandoci l'album più originale del 2013. Quello dei The Knells è una perfetta sublimazione tra musica classica e rock, nella miglior tradizione dell'avanguardia del Rock In Opposition. Questo è un album che è entrato in ritardo nella classifica, ma ho capito quasi immediatamente che si meritava il podio. L'ho conosciuto grazie ad una segnalazione del giornalista musicale Sid Smith e, dal primo momento che l'ho ascoltato, ho sentito l'esigenza di riprodurlo regolarmente tutti i giorni.
The Knells è un ibrido tra musica clsssica e rock, una sintesi perfetta di quello che potremmo definire avant-garde progressive rock. Azzarderei a dire che era dai tempi dei Mars Volta che non ascoltavo un album con un suond così unico e personale. Davvero notevole!