venerdì 30 aprile 2021

Origami Angel - Gami Gang (2021)


Il mondo dell'emo math pop è meraviglioso: appare come una dimensione parallela multicolorata dove splende sempre il sole, incontri solo amici per la pelle e anche chi ti è sconosciuto ha sempre tempo per aiutarti con gentilezza ed il sorriso stampato in faccia. E' questo il quadro idilliaco che viene in mente ascoltando gli Origami Angel, un duo di amiconi affiatati appunto, formato da Ryland Heagy (voce e chitarra) e Pat Doherty (batteria) che grazie allo sfavillante esordio Somewhere City (2019) si sono costriuiti un seguito affezionatissimo e fedelissimo di fan a cui il titolo del secondo (doppio) album è dedicato: la Gami Gang. Proprio questo particolare fa capire quanto sia fuori dal comune il forte affetto che lega gli Origami Angel al proprio pubblico e viceversa.

Un'altra particolarità è che nel mondo dell'emo pop punk la concezione che regola la normale durata di un album è molto diversa da quella che ci ha abituati il mercato. E così, proprio come abbiamo imparato dai Grand Beach, A.M. Overcast e Miles Paralysis, quello che per chiunque verrebbe percepito come un EP, in questa dimensione priva di regole, corrisponde ad un album, mentre nel caso specifico di Gami Gang, che nei suoi cinquanta minuti avrebbe tutto il diritto di essere considerato un singolo full length, nel magico universo emo si trasforma in un doppio dotato di venti tracce. Il segreto per ricalibrare i nostri parametri quindi non è insito nella forma ma nella sostanza. Per gli Origami Angel e i gruppi sopra citati è consuetudine infatti condensare in pochi minuti un brano con miriadi di idee, tanto che il suo minutaggio minimo arriva ad appagare alla stessa maniera di una normale canzone. Il rischio è che tutto questo accumulo ad un primo ascolto possa lasciare indifferenti, ma dopo ripetuti tentativi il divertimento è assicurato e si viene assorbiti dalla ricchezza nascosta che ogni singolo brano ha da offrire.

Naturalmente, anche il clima che si respira ai concerti degli Origami Angel ha contribuito ad incrementare il rapporto speciale con il pubblico e forse questo doppio album è come un regalo per ovviare allo stop forzato degli show e cercare di rendere meno indolore l'assenza forzata dai tour. Gli Origami Angel si sono quindi dedicati ad un doppio proprio per dar sfogo alla creatività e aggiungere qualche elemento in più al già strepitoso Somewhere City. Per una buona parte delle venti tracce Gami Gang si propone di seguire le orme dell'esordio con riff al fulmicotone, tapping imbizzarriti e ritmiche imprevedibili, in cui l'attitudine punk e hardcore vibra nella frenesia del suo dipanarsi. E allora ritorna tutta l'abilità di Heagy e Doherty nel filtrare attraverso una coloratissima ruota panoramica di melodie power pop irresistibili le elettrificazioni sature di Self-Destruct, l'accenno al metal djent nell'easycore di Möbius Chicken Strip, le pirotecniche trame di Noah Fence e Mach Bike, fino a raggiungere atmosfere anthemiche su Isopropyl Alchemy o il paradiso del pop punk con Neutrogena Spektor e Blanket Statement.

Nell'altra parte invece il duo si cimenta in numeri inediti per loro, tipo ad esempio imbracciare la chitarra acustica per la delicata ballad Greenbelt Station o per le atmosfere elettroacustiche di /trust e Footloose Cannonball Brothers, arrivando ad orientarsi verso insoliti lidi sudamericani con Bossa Nova Corps. Come al solito nei testi si citano tante cose che appassionano i due: videogames, fast food, Pokémon e molto altro, tutto messo in musica con la proverbiale spensieratezza che li caratterizza per un album che è un'iniezione di buon umore e positività dall'inizio alla fine. Inutile citare oltre la caleidoscopica altalena emozionale che può trasmettere ogni traccia, poiché la sensazione è che i cinquanta minuti di Gami Gang abbiano tanto da offrire in densità musicale quanto un album del doppio della sua durata.

mercoledì 28 aprile 2021

I Black Midi anticipano il nuovo album con una performance live


In attesa del loro secondo album Cavalcade, annunciato per il prossimo 28 maggio, i nuovi paladini del rock sperimentale Black Midi pubblicano una performance live dove anticipano buona parte del suo contenuto. Oltre ai singoli John L e Slow (quest'ultimo uscito proprio oggi) sono presenti i brani Dethroned, Hogwash And Balderdash, più un altro non inclusa nell'album dal titolo Sugar/Tzu. A giudicare dalla presentazione, e dalla presenza di una sezione di fiati, il gruppo ha incrementato il proprio sound verso un math rock intriso di jazz-core, il che li proietta verso una nuova fase ancor più ambiziosa rispetto al primo album Schlagenheim.

domenica 25 aprile 2021

BLACKSHAPE - BLACKSHAPE (2021)

Ogni volta che devo iniziare l'ascolto di un album post rock sono preso da scetticismo e pregiudizio. So benissimo che risulta un approccio sbagliato, ma è sempre più raro per me trovare all'interno di tale filone, o comunque affine, una band che mi sorprenda. L'omonimo esordio dei BLACKSHAPE ha compiuto questo miracolo. Loro sono un quartetto proveniente da Salt Lake City e composto da Scott Shepard e Joe Woit alle chitarre, Josh Dunn al basso e Perry Burton alla batteria. I BLACKSHAPE presentando l'album co-prodotto da Matt Goldman (The Chariot, Underoath), rivelano di non essere proprio alle prime armi, e si sente, poiché si conoscono tra loro da molto tempo, suonando insieme in altri progetti, fino a che il destino li ha riuniti in questo comune aggregatore di pesante post rock strumentale.

Difatti la peculiarità di BLACKSHAPE è quella di spingere l'acceleratore sulle complessità ritmiche e sulla furia elettrica delle chitarre. L'esplorazione timbrica di questo strumento è parte integrante e fondamentale del lavoro, insieme alla incendiaria sezione ritmica. Ne viene fuori un lavoro di mathcore lisergico concepito come un'unica suite di quarantaquattro minuti, dove le tracce vengono indicate con numeri romani come fossero parte di vari movimenti: una specie sinfonia metallica. In tutta la sua durata BLACKSHAPE non conosce un attimo di cedimento, il percorso lascia da parte bordoni e minimalismo, ma viene costellato di dinamiche che si rincorrono, talvolta in temi rielaborati in base alla potenza, oppure in convulsi riff saturi di riverberi, distorsione e feedback spaziali. In questo l'album non è da considerarsi post rock nel senso più generale del termine, in quanto non si hanno accenni a staticità su temi reiterati per poi costruire crescendo esplosivi. La deflagrazione in questo caso è continua e anche negli attimi di quiete si percepisce costantemente un senso di furia primigenia. 

I BLACKSHAPE affrontano il post rock con ardita sperimentazione e con l'urgenza di renderlo il più complesso, dinamico e galvanizzante possibile. La voglia di sorprendere del gruppo si palesa quasi alla fine del viaggio sulla traccia ITIIITIATIIHYLIHYL, quando meno te lo aspetti ecco arrivare delle linee vocali eteree che intonano un breve testo alla maniera angelica dei Sigur Rós, al che si comprende la potenzialità di questa band che potrebbe tranquillamente cimentarsi anche in epiche composizioni psichedeliche con tanto di cantato. Ma per ora BLACKSHAPE hanno scelto di stenderci con un monumento al mathcore strumentale. Un trip sonico impressionante, un tour de force da manuale.

 

sabato 24 aprile 2021

The Mars Volta - Landscape Tantrums (Unfinished Original Recordings Of De-Loused In The Comatorium) (2021)

 
 
Venti anni fa finivano di esistere gli At the Drive-In e nascevano i The Mars Volta. Nella seconda parte del 2001 Omar Rodriguez-Lopez e Cedric Bixler Zavala erano già in tour con la loro nuova band e già nell'anno successivo avevano in repertorio abbastanza materiale da riempire un doppio album. Il nuovo box set celebrativo appena uscito, La Realidad de los Sueños, che raccoglie in vinile tutti gli album in studio rimasterizzati del leggendario gruppo, tra le altre cose mette ordine al primo (e più creativo) periodo dei The Mars Volta. Oltre agli album ufficiali è contenuto infatti un volume aggiuntivo dal titolo Landscape Tantrums, che contiene le registrazioni iniziali dell'album d'esordio De-Loused In The Comatorium effettuate nell'estate 2002, prima che l'opera passasse attraverso il trattamento del produttore Rick Rubin e venisse pubblicato nel giugno 2003.

Tutto il contenuto di De-Loused In The Comatorium, se ancora qualcuno non ne fosse a conoscenza, è quindi da considerarsi coevo all'EP di tre tracce Tremulant, anch'esso contenuto nel box set, insieme poi ad un'altra traccia all'epoca scartata e rimasta inedita intitolata A Plague Upon Your Hissing Children. Preso tutto assieme, questo materiale forma un coerente quadro di continuità creativa che avrebbe potuto essere contenuto appunto in un doppio album. Anche le sessioni di registrazione di Landscape Tantrums appaiono più in linea con l'approccio punk ed essenziale di Tremulant, rispetto alla grandiosa e magniloquente veste sonora che in seguito gli è stata donata. Ufficialmente i nastri rimasterizzati, e riportati alla luce adesso da Rodriguez-Lopez, hanno giaciuto per venti anni nei suoi hard drive personali, ma i fan della prima ora dei The Mars Volta erano già a conoscenza ed in possesso di queste registrazioni. 

Sia A Plague Upon Your Hissing Children che Landscape Tantrums erano infatti trapelati all'epoca, quest'ultimo noto come Summer Demos, trafugati da una fonte due tracce senza mix, probabilmente da qualcuno vicino alla band, e messi in Rete favorendone lo scambio tra gli appassionati. E' ovvio che la qualità fosse quella di un bootleg, relegandoli al valore di un compendio per completisti. Ma adesso il box set rimedia con un mix ed una masterizzazione ufficiali che trasforma questi nastri in un tassello integrante nella discografia del gruppo.
 
Per l'ascoltatore occasionale alla fine dei conti Landscape Tantrums non rappresenta una reale novità, in quanto non si parla di vero e proprio materiale inedito, ma il suo valore è piuttosto storico e filologico, un documento che ci permette di andare ancora più a fondo nella genesi di quello che rimane senza mezzi termini un capolavoro ed una pietra miliare del prog rock di questo secolo. Al di là dei gusti soggettivi De-Loused In The Comatorium rappresenta oggettivamente un'opera, oggi come ieri, innovativa e rivoluzionaria, qualcosa di mai sentito, un punto di svolta nella linea temporale della storia del prog della stessa portata di In the Court of the Crimson King, dato che la sua influenza risuona ancora oggi su gran parte della musica alternativa e indipendente americana.

venerdì 23 aprile 2021

Monobody - Comma (2021)

 
Dispiace che dei musicisti della caratura dei Monobody, arrivati oggi al terzo album in studio, siano ancora per lo più relegati come popolarità ad un seguito di culto. Certo non si pretende che il quintetto dalla insolita formazione, che consta dei due bassisti Al Costis e Steve Marek con Collin Clauson (tastiere), Conor Mackey (chitarra) e Nnamdi Ogbonnaya (batteria), raggiunga chissà quale vetta di successo, ma che almeno arrivi a conseguire un degno numero di sostenitori anche tra le fila degli addetti ai lavori. Sul nuovo lavoro Comma consolidano oltretutto quell'insolito connubio tra jazz, math rock e post rock che la band ha affinato con sempre più abilità da Monobody (2015) e Raytracing (2018), permettendo di offrire a chi non li conoscesse un'ottima introduzione.
 
Il titolo Comma si riferisce al concept dell'album ispirato al nome tassonomico della farfalla al cui spettro di colori prende spunto anche la cover. E proprio come l'amalgama del dipinto originale ed il volo scoordinato del lepidottero, così la musica dei Monobody assorbe una molteplice quantità di sfumature e si muove in dinamiche costantemente imprevedibili. 
 
In passato i Monobody si sono resi capaci di innovare il linguaggio prog jazz, assimilando stilemi di nuove forme al confine con questi generi, come appunto tra gli altri il math rock. Non dovendo dimostrare più nulla a nessuno, il gruppo adesso utilizza le proprie capacità per includere metodologie compositive e sonore che rimandano al passato e allo stesso tempo omaggiano altri artisti, rimanendo su binari post moderni. In particolare è un piacere poter ritornare con un balzo di memoria alle terre canterburiane con Sylphina, che sembra una complessa magia uscita dalle agili e frizzanti atmosfere National Health, grazie anche al piano elettrico di Clauson, mentre in Mimic il solismo ed il timbro della chitarra di Mackey è un crocevia tra Phil Miller e Allan Holdsworth. 
 
Con le medesime premesse il gruppo si compatta in un insieme strumentale flessibile e armonioso in Eighty Eight e Atala, dove ognuno dei membri quasi interagisce l'uno con l'altro nel completare uno schema sonico che vede da una parte lo spettro sonoro degli strumenti a corda e dall'altra i vari registri di synth e tastiere di Clauson. Cloudless Sulphur e Harvester invece tentano qualcosa di più articolato e sperimentale a livello di prog elettrico, tra impressionismo e post rock. Phaon Crescent, infine, per progressioni e ricchezza armonica sembra quasi un omaggio alla fusion celestiale e cristallina di Pat Metheny e Lyle Mays. Comunque tutto questo rimando ad altri artisti non tragga in inganno per ciò che riguarda l'originalità, i Monobody conoscono benissimo come rendersi sempre un passo avanti nel modo di concepire ed interpretare il genere. Per chi ama il jazz ed il math rock, anche separatamente, non c'è nulla di paragonabile alla competenza strumentale dei Monobody, dei veri fuoriclasse.

domenica 18 aprile 2021

Kevin Gilbert - Call Me Kai (box set, 2021)


Come accennato in passato, una consistente mole di lavoro prodotta da Kevin Gilbert risalente agli anni '80 e che si colloca temporalmente tra la sua prima band NRG e i Giraffe è rimasta fino ad oggi negli archivi, ma comunque trapelata anni fa solo in forma non ufficiale e con qualità scadente da bootleg, con l'audio riversato su CD (chissà da chi) usando come fonte delle cassette dell'epoca. Finalmente, in quello che è stato definito l'ultimo capitolo di recupero di materiale d'archivio esistente di Kevin Gilbert, il team composto dal manager Jon Rubin, dall'archivista Wayne Perez e il solito John Cuniberti addetto alla rimasterizzazione, hanno prima dato alle stampe un box set dei Giraffe, contenente i due album della band The Power of Suggestion (1988) e The View From Here (1989) più un DVD con materiale video, ed infine ora arriva il più succoso Call Me Kai, un altro box set di quattro CD.

Per chi conosce l'opera di Gilbert si tratta di un vero e proprio Sacro Graal per tutti i suoi fan, in quanto all'interno troviamo i tre album che il musicista registrò e donò in forma privata ad alcuni conoscenti. Una volta dismessi gli NRG, Gilbert continuò a lavorare negli studi di registrazione e fu proprio durante le sessioni degli NRG che il tecnico del suono, notando il perfezionismo e i suggerimenti del giovane Gilbert, gli lasciò libero spazio alla consolle per produrre anche altre band emergenti della zona, avendo in questo modo la possibilità di sperimentare e imparare le tecniche di registrazione. In cambio delle sue ore di lavoro gli fu permesso accesso illimitato allo studio, un privilegio che Gilbert sfruttò per registrare i suoi primi demo durante i momenti liberi. 

Immerso nella sua passione per lo studio Gilbert si diede la regola di registrare dieci canzoni all'anno, metterle su una cassetta da 45 minuti e darla in dono ai suoi familiari e amici come regalo di Natale. La cosa andò avanti per tre anni e il risultato furono gli album Decent Exposure (1985), Sometimes Why (1986) e Point Blank (1987). In quel periodo Gilbert adottò lo pseudonimo di Kai, con il quale lavorava a colonne sonore, varie produzioni della Bay Area e venne mantenuto anche quando fu scelto per andare in tour con Eddie Money nel ruolo di tastierista. Nel box set trova spazio anche un quarto CD antologico chiamato Mixed Bag, nel quale trovano spazio alcune tracce (anche strumentali) che coprono lo spazio che va dal 1984 al 1987.

Alcune canzoni presenti nei tre CD sono già note, in quanto Gilbert le ha rielaborate nel tempo ed inserite in altri progetti, sia da solista che nei Giraffe, come ad esempio Image Maker, Staring Into Nothing, Welcome Home, Tired Old Man ed è estremamente interessante ascoltare come si sono evolute nelle loro varie vesti, dato che ognuna apporta modifiche di arrangiamento, minime o radicali, sempre brillanti. Altre invece, tipo Shannon Elizabeth, Circling Winds, God's Been Tapping My Phone, furono scelte per essere comprese nelle due compilation Nuts e Bolts pubblicate nel 2009. Infine troviamo la versione di  Nightmares cantata da Gilbert, la quale in origine fu ufficialmente inclusa nella colonna sonora del film Night of the Creeps (da noi Dimensione Terrore) del 1986 e cantata da Martha Davis. Il brano nei titoli di coda compare a firma C-Spot Run, che era anche questo un nome fittizio adottato da Gilbert in collaborazione al chitarrista Stan Cotey e al batterista J. Scott Smith, ovvero i futuri Giraffe.

Le altre canzoni hanno un carattere cantautorale differente dal Gilbert art pop e progressive rock che abbiamo imparato conoscere negli anni. Ma ciò non toglie l'estremo fascino della sua capacità compositiva e di intuizione melodica, anche se i testi si mantenevano ancora su temi per lo più a carattere sentimentale e, a livello musicale, rispecchiavano il pop rock e la new wave in voga nella prima metà degli anni ‘80. Quest'ultimo fattore, però, oggi più che mai non può che risultare attuale con la riscoperta del sound di quella decade, facendo paradossalmente risultare attuale questo preziosissimo box set.

Per ora non si trovano audio ufficiali su internet, tranne un nastro caricato da Scott Smith che riporta quattro tracce estrapolate dalle cassette originali. Gli archivisti di Gilbert promettono che molto materiale sarà pubblicato e reperibile online in streaming entro la fine dell'anno (per ora è disponibile solo l'album degli NRG, Thud e Toy Matinee). Ricordo che se volete scoprire di più su questo geniale autore scomparso prematuramente è disponibile il mio libro The Best of Everything, nel quale ho cercato di ricostruire la sua straordinaria carriera.

 

sabato 17 aprile 2021

Hail the Sun - New Age Filth (2021)


Nell'ultima recensione dedicata agli Hail the Sun lamentavo il fatto di quanto loro e il genere a cui appartengono, ovvero il prog hardcore o più specificatamente lo swancore, siano praticamente ignorati dal pubblico delle nostre parti. A distanza di tre anni e arrivati al quarto album in studio con New Age Filth, oltre ad un considerevole numero di EP, la situazione non è cambiata ed anche gli stessi Hail the Sun procedono spediti senza grandi cambiamenti sulle linee tracciate dal precedente Mental Knife

Donovan Melero e compagni popongono ancora un album breve ed essenziale, affilato come una lama appunto, efficace nella scelta di non dilatare troppo i tempi. Essenziale quindi inteso per ciò che riguarda la sua durata complessiva e quella di ogni singola traccia, non rispetto all'architettura sonora, anzi. Da questeo punto di vista New Age Filth è piuttosto una continua cornucopia di evoluzioni e dinamiche inaspettate, fitte trame che spesso si fratturano all'improvviso in sezioni concitate, saturo di riff post hardcore e frenetiche alternanze swancore tra quieta melodia e violenza punk.

Per quei pochi che capitano tra queste pagine da qualche anno, credo ormai sappiano cosa aspettarsi dagli Hail the Sun e New Age Filth non si discosta da quanto ha già fatto il gruppo in precedenza, ma ribadisce che la vena creativa continua sugli stessi livelli del passato. Per tutti gli altri che ancora non ne sono a conoscenza, quest'ultimo lavoro può essere un buon punto di partenza introduttivo in quanto racchiude tutte le peculiarità che fanno parte del bagaglio sonoro della band californiana.

mercoledì 14 aprile 2021

Valleyheart - Scenery (2021)


La scoperta dei Valleyheart è stata un po' come un'epifania, ovvero come riscoprire l'essenza di quanto possa essere coinvolgente il midwest emo congiunto al post hardcore. I Valleyheart suonano un emo sonicamente strutturato in possenti stratificazioni chitarristiche che vanno a formare un sound saturo di suggestioni emotive e riverberi lontani, fondendo la malinconia romantica dei Copeland alle eteree armonie dei primi From Indian Lakes ed infine aggiungendo qualche asprezza graffiante dei Brand New. Contando poi che il cantante e leader Kevin Klein ha un timbro vocale che ricorda i toni bassi di Jeremy Enigk, il gioco è fatto...ecco i nuovi campioni dell'emocore. Kerrang! ha addirittura incluso i Valleyheart in un nuovo sottogenere chiamato gazecore, riassumendo la definizione in poche efficaci parole: methodically complex, and melodically ethereal.

In realtà prendere come soggetto il nuovo EP Scenery, pubblicato da pochi giorni, è stata soltanto una scusa per fare un excursus più ampio che comprenda anche i due magistrali lavori precedenti: l'EP Nowadays del 2017 e l'album Everyone I’ve Ever Loved uscito nel dicembre 2018, senza far comunque torto a Scenery, in quanto stile e poetica che permeano i lavori dei Valleyheart rimangono saldi e incontrastati in tutta la loro ancora scarna discografia. Diciamo che i Valleyheart sono principalmente la ceratura di Klein, i quali hanno preso le mosse da delle sue composizioni in origine acustiche a cui poi tutta la band ha portato il proprio contributo, modellandole come degli inni emocore, in particolare nel primo EP Nowadays. In aggiunta c'è un filo sottile che lega le liriche di ogni lavoro in quanto, nella loro profondità e sensibilità, riflettono il viaggio personale e spirituale di Klein che si è trovato ad interrogarsi, con relativa introspezione, sulla propria fede cattolica ed i suoi ideali. Ovvio che non parliamo di "rock cristiano", non c'è bisogno di essere credenti per apprezzare i Valleyheart, poiché Klein mette in parole il proprio travaglio interiore e le sue riflessioni e frustrazioni, tra amicizia e identità, con grande padronanza letteraria (un'altra affinità con Enigk che si dichiarò "cristiano rinato" quando si sciolsero per la prima volta i Sunny Day Real Estate).

Everyone I’ve Ever Loved è l'album nel quale il frontman ha riversato la sua esperienza, la potenza emotiva ed evocativa musicale dei brani non fa altro che rendere più universale e coinvolgente la narrazione. L'opera si espande talvolta verso i confini post rock, ad esempio nei tappeti elettrici di Friends in the Foyer e nei riverberi di Dissolve ed in questo applica una ricerca di melodia e utilizzo della sezione ritmica ancor più approfondita e attenta di Nowadays, nonostante quell'EP risultasse già eccellente. Maryland si culla in un'atmosfera onirica da ballad per poi esplodere, sempre in modo moderato, come fanno anche altri brani. Drowned in Living Waters è ancor più palese nei suoi incanti elettroacustici ad allargare il confine tra ballata emo e crescendo post rock. Intangible Dream e Communion fanno tesoro di tutto il bagaglio emozionale di Klein e, come la marea che cresce e si ritira, traducono in musica un altalenarsi di movimenti passionali tra la quiete struggente, il maestoso e il riflessivo. Paradisum è la perfetta chiusura, un piano incerto e una voce filtrata rotta dal gelo invernale (registrata veramente in un freddo spazio aperto per catturare meglio la genuinità) rimettono in gioco e in discussione tutto ciò che abbiamo ascoltato, riportando il tutto all'essenza concettuale dell'album: l'esposizione in musica di un viaggio interiore. Sicuramente un gruppo a cui dedicare molta attenzione.

martedì 13 aprile 2021

Cestra - Portal (2020)


Kat Marsh è un'autrice e interprete attiva nella scena musicale inglese da ormai più di dieci anni. Il suo nome è stato sempre nascosto scegliendo pseudonimi o progetti che lavorano talvolta dietro le quinte di album piuttosto conosciuti. Ad esempio, con i suoi Choir Noir, oltre a realizzare arrangiamenti a cappella di brani noti (più sotto potete ammirare la loro versione di Arcarsenal degli At the Drive-In), ha partecipato ad album di artisti metal come Bring Me The Horizon e Architects, anche reinterpretando canzoni del repertorio di queste band. 

Oltre a ciò, per quello che riguarda le proprie produzioni, la Marsh da molto tempo collabora con il produttore Pete Miles, responsabile tra l'altro di quel capolavoro che è Hush Mortal Core di Martin Grech, il quale, guarda caso, ha fatto parte della prima band della cantautrice chiamata Lionface e portata a termine nel 2017. Se risaliamo infatti alle session dell'EP Battle del 2015 e Hush Mortal Core, registrato più o meno nello stesso periodo, scopriamo che nel team di produttori e musicisti ricorrono molto spesso gli stessi nomi. E i legami non finiscono qui dato che gli ottimi remix inclusi nell'EP sono a firma Martin Grech, Acle Kahney (TesseracT) e GUNSHIP (ai quali ha prestato la voce anche Grech).

Se nei Lionface lo stile della Marsh oscillava tra techno-metal, industrial e ampi sprazzi pop, con il suo nuovo moniker Cestra e il relativo primo album Portal continua ad amalgamare sonorità tra l'elettronica eterea, il metal orchestrale e l'art pop. Sia chiaro che per "orchestrale" non si intende la solita pomposa commistione con la musica classica, ma gli arrangiamenti degli archi, ad opera della stessa Marsh, vanno a completare e inserirsi nella fitta trama elettronica. Anche se questo non è l'elemento essenziale dell'album. Portal dà spazio a strumentazioni che creano una precisa estetica sonora e la Marsh, da cantante e interprete molto preparata, utilizza le stratificazioni di voci e synth per edificare una visione estremamente moderna e futurista del pop.

Brani come AlpHa, Monument e Meridian tendono ad un aspetto spirituale della scrittura ed anche a livello di prestazione vocale, ognuno viene impegnato a sondare un lato differente di una rappresentazione musicale tecnocratica basata su sonorità algide e artificiali. Twin Heart Beat, Aurelian e Reunion sono quasi delle loro contrapposizioni rivestite da un arrangiamento da camera, ancora una volta concentrate nel trasmettere sensazioni da contemplazione e impalpabilità. Dall'altro lato abbiamo gli imponenti droni sonori di Aeon, tra violini e synth, che aprono uno squarcio da pop futuristico alla Björk. Poi Deep Space ritorna a suoni industriali che nel chorus si scontrano con un innesto inusuale di polifonie vocali. Infine ci sono le ampie armonie da rock sinfonico di Blood Rites e Elision, dove per la prima volta si ascolta anche qualche chitarra elettrica. Il compito della Marsh è quello di riportare il tutto ad un piano umano e terreno con la sua notevole voce.

sabato 10 aprile 2021

Altprogcore April discoveries: speciale swancore


I più attenti nell'apprezzare le varie evoluzioni del prog hardcore, avranno sicuramente notato negli ultimi anni la modesta ascesa di un sottogenere chiamato swancore. Anche all'interno del presente blog sono comparsi in passato alcuni gruppi che fanno parte di questa particolare bolla musicale. Ma che cosa è lo swancore? Come riporta Urban Dictionary la sua definizione si può molto semplicemente riassumere così:

"A sub-genre of post-hardcore music that incorporates elements of math-rock, progressive-rock, and post-rock and high-pitched and/or scream vocals. Bands that fall under this category are usually, but not always, signed to Blue Swan Records." Se vogliamo fare qualche nome dei gruppi più rappresentativi essi sono: Dance Gavin Dance, Hail the Sun, Stolas, Sianvar, Adventurer, Eidola, Icarus the Owl.

La motivazione di questo piccolo speciale è nata quando ho scoperto gli ottimi Resilia, una band che si serve di guest vocalist provenienti da altre band, il che mi ha portato a sua volta ad una connessione che mi ha fatto scoprire un sottobosco di nuove band appartenenti al genere. Al che mi sono interrogato se si può già parlare di "seconda onda" (o addirittura "terza"...non saprei) dello swancore. Ad ogni modo qui di seguito c'è una breve selezione che può rendere l'idea.







martedì 6 aprile 2021

Collider - -><- (2019)


Nel loro album d'esordio, cripticamente intitolato -><-, il quartetto danese Collider si lancia senza inibizioni in modo spregiudicato, e anche un po' ambizioso, a rappresentare la nuova frontiera dello shoegaze. Però attenzione, diciamolo subito, i paragoni che possono essere fatti con i più autoritari esponenti del genere, vedi i My Bloody Valentine, costituiscono solo una minima percentuale di quanto questa band ha da offrire. -><- è infatti una folle esplosione di suoni provenienti dai più disparati ambienti sperimentali come il prog rock, il math rock, il noise e l'avant-garde combinati in un unico contenitore. Basta dare un'occhiata alla varietà di strumenti suonati dai quattro giovani musicisti per rendersi conto di trovarsi di fronte ad un album dal sound molto intricato e vertiginosamente stratificato.

E così Johan Polder (basso, synth, glockenspiel, xilofono), Marie Nyhus Janssen (voce, sax, flauto, synth), Mikkel Fink (batteria, chitarra, voce, percussioni, synthpad) e Troels Damgaard-Christensen (voce, chitarra elettrica e acustica, batteria, piano) assomigliano ad un piccolo ensemble di noise rock da camera, giocando sonicamente con il lo-fi pop e il prog rock più elaborato, che poi sono i due poli concettualmente tra loro più distanti tra i tanti toccati dai Collider.

Il prototipo della loro concezione di canzone pop è tanto stralunata quanto complessa e si presenta fin da subito attraverso Daisy e Just Start It, con voci e strumenti che si accavallano apparentemente senza criterio, formano un caos controllato. L'affastellarsi dei suoni però non è l'unico elemento a stordire l'ascoltatore, ma anche la quantità di trame presente in ogni brano, le quali vanno a svilupparsi e diramarsi in una ricognizione di altrettanti stilemi musicali. E' ciò che succede ad esempio su Inept, Oblivion e Bruno, gli unici tre brani del disco che si permettono di superare i sei minuti, ma al loro interno succedono tante di quelle cose e la materia strutturale è così volubile che sembrano avere il doppio della loro durata. E' vero che dentro ci sono i MBV, ma ci troviamo anche il gusto del pop retrò degli Stereolab, le chitarre miscelate e dissonanti dei Sonic Youth e soprattutto molto amore per l'alternative e indie degli anni '90. Insomma, da quanti spunti è composto -><-, ognuno può sentirci ciò che vuole. 

Glockster, per tornare di nuovo all'imprevedibile, è una sciarada formata da frammenti di post punk, jangle pop, dance e psichedelia, sempre in tensione e pronta a cambiare direzione improvvisamente e inaspettatamente. Anche Sniper punta sull'aggressività con un'attitudine punk e post hardcore, smorzata a tratti da intermezzi lisergici. Axis, dopo un'introduzione space rock, si trasforma in una canzoncina pop impazzita, breve ma anch'essa ricca di sorprese lungo il percorso mai prevedibile. DG ritorna al caos non solo strutturale ma anche sonoro, con voci filtrate, chitarre sbilenche, ritmiche che vanno dal tribale al math rock che ne fanno la traccia più sperimentale e ardita della collezione, per un insieme di vertiginosa cacofonia avant-prog. -><- è un album dentro cui perdersi per la sua quantità di spunti e sottostrati dei quali si compone, che affascina sia per la sua sofisticata interpretazione dello shogaze, sia per l'attitudine a destrutturarlo rivolgendosi a dettami progressive rock.

lunedì 5 aprile 2021

Five Eyes - Shirley Bassey Lungs (2021)

C'era una volta una band math rock/post prog chiamata Cyril Snear attiva fino al 2015 e il cui secondo e ultimo album del 2013, The Riot of Colour, ricordo non fosse male. Ad ogni modo, il frontamn Mike McKnight è adesso il fondatore dei Five Eyes, nuovo progetto nel quale ha convogliato le sue velleità electro prog sperimentali, associate questa volta ad una vena più accessibile. McKnight ha coinvolto nei Five Eyes musicisti di sua conoscenza tra cui un altro ex Cyril Snear, Nicholas Mark Roe alla batteria e il suo socio negli Sphelm, Tim Powell, alla chitarra. Shirley Bassey Lungs è l'EP d'esordio dei Five Eyes, prodotto da Ben Ward, e colleziona quattro tracce di synth rock elettronico con un'attitudine rivolta tanto all'accessibilità quanto alla sperimentazione.

giovedì 1 aprile 2021

Altprogcore April discoveries


Per chi si chiedesse che fine hanno fatto Carla Kihlstedt e Matthias Bossi degli Sleepytime Gorilla Museum, sono attivi da diversi anni con il progetto art rock Rabbit Rabbit Radio e Volume 4 - The Animal I Am è l'album che hanno pubblicato da poco. Atmosfere oscure e crepuscolari si affiancano ad un rock spigoloso e sperimentale che in questo lavoro trova una buona ispirazione.
 
 
 
Gli australiani Hemina suonano un potente prog metal con qualche riferimento alla synthwave, alla fusion e all'hair metal degli anni '80.
 
 
 
Magical Thinking, terzo album in dieci anni per la band finlandese Minutian, si distingue nella loro discografia per essere il più maturo e ben calibrato nel rendere un prog metal dark, ma con ampi spiragli melodici, tra rock alternativo ed evoluzioni chitarristiche dure alla maniera di Tool e Karnivool.   
 
 
 
I Framing Skeletons sono un trio di prog metal formato da Jeremy Burke (chitarra), Bryan Holub (batteria) e Ethan Berry (basso). Anche se sono nati nel 2019, Luminescence è già il loro terzo album e rappresenta un continuo al precedente Osmium (2020), come suggerito anche dalla simile cover speculare. Solo che questa volta il gruppo lascia da parte gli aspetti più aggressivi (anche vocali) del proprio sound e si dedica ad atmosfere elegiache e dark, toccando da lontano il djent e il post prog. 
 
 
 
 
Shapeless è l'EP di tre tracce che segna l'esordio del trio strumentale St. Barbe. Il gruppo londinese è formato da James Maltby, chitarrista e compositore dei brani, Edwin Ireland al basso e Floyer Sydenham alla batteria. I St. Barbe offrono una prog fusion meticolosa e cerebrale, non disdegnando improvvisazione e polirtimie che rendono i pezzi in continua trasformazione.
 
 
 
The Elephant in the Room è il progetto solista del chitarrista di Minneapolis Brian Bass e anche il titolo del suo album d'esordio. Il disco si attesta nella categoria prog fusion strumentale e se aggiungiamo che comprende molti ospiti, tra i quali gli Arch Echo al completo e il virtuoso chitarrista Wes Thrailkill, sarà più semplice capire di cosa si tratta.
 
 
 
Talentuosa band israeliana di fusion che vede alla batteria Yogev Gabay (Distorted Harmony, Anakdota, HAGO), reintepretano alcuni classici jazz in chiave prog rock.  
 
 
 
Gli Origami Angel sono i nuovi campioni di emo pop punk, capaci di raccogliere in un brano molteplici idee e apparire solari e malinconici allo stesso tempo. Somewhere City è stato il loro album d'esordio del 2019, ma sono già pronti con il seguito Gami Gang in uscita il 30 aprile che sarà addirittura un doppio.

    
 
 
Nel vero spirito del midwest emo Everything Just Happens, esordio dei texani No Place Like Home, coniuga malinconiche arie jazz e rock emo.  
 
 
 
All Good Man è il secondo EP del chitarrista che si presenta con il nome di Mollywhollop e si dedica a composizioni math rock inidirizzate ad atmosfere eteree che presentano cenni di elettronica, ambient e world music. Tra le parti di Jakub Żytecki e Six Gallery.
 
 
 
Altra variante math rock da parte dei Fighting Jazz con un omonimo EP d'esordio che, come accenna il nome della band, si destreggia tra midwest emo e jazz. 
 
 
 
 
Interessante proposta musicale questa del quartetto francese BRUIT ≤ i quali, con l'album The Machine is Burning and Now Everyone Knows It Could Happen Again, si fanno portavoce di un post rock da camera, a volte acustico a volte sonicamente devastante.
 
 
 
Nel loro quarto album in studio Sleeptalk i Dayseeker spingono il loro post hardcore su versanti più melodici, aiutandosi con sonorità elettroniche tra la synthwave e l'R&B. Diciamo che tale ibrido era presente anche nel loro metalcore del passato, ma in questo contesto la componenete si è alleggerita dando spazio anche a sprazzi più orecchiabili.

 

Gli Embracer si impongono con un suono altamente riverberato e sognante che fa uso di elementi shoegaze e post rock applicati all'emo pop.

 

L'album To See the Next Part of the Dream dei sudcoreani 파란노을 (Parannoul) è diventato quasi un'anomalia di Bandcamp. Per la sua natura indipendente e casalinga poteva rimanere relegato ad un culto riservato a pochi all'interno del mare magnum del sito di streaming. Invece il passaparola di apprezzamenti nella comunità shoegaze e un bell'8.0 su Pitchfork ne hanno generato un caso, diventando l'album del momento. Si parla sempre però nel contesto della sfera dream pop, shoegaze, post rock e emo, ovvero gli stili che questa band artigianale (o one-man-band, le informazioni non sono moltissime) va a toccare. Per ciò che mi riguarda è un lavoro rudimentale, a tratti inascoltabile, anche per via di una registrazione ed un mix ai limiti delle "loudness war", suono bombastico e fastidioso anche per un prodotto lo-fi. Comunque, a quanto pare, può esserci chi apprezzerà e ve lo lascio qui.