Chi lo ha detto che il prog, il metal e la fusion, in quanto generi impegnativi, debbano anche essere per forza seriosi. Dieci anni fa, ad esempio, i Twelve Foot Ninja ci insegnarono con una buona dose di competenza musicale combinata ad ironia, che suonare metallo pesante e mischiarlo con altri generi poteva essere divertente quanto ascoltarlo e goderselo.
Gli Atomic Guava, con il loro esordio Peasants of the Future, provano a fare una cosa del genere. Dico subito che dentro ci ho trovato cose che per il mio gusto personale sono troppo estreme (Big Cat) o difficili da apprezzare perché troppo sopra le righe (il sea shanty We Stole a Ship), ma Peasants of the Future è un album oggettivamente così vario (pur nei suoi veloci 39 minuti) e pieno di energica inventiva che difficilmente non si potrà ammirare per il suo entusiasmo. Questo per dire che, anche se al suo interno incappate in qualcosa che non vi soddisfa o non vi convince del tutto, vale sicuramente la pena proseguire nell'ascolto perché non si sa mai dove ci possa portare.
Ovviamente, dai suoi connotati non stupisce che Peasants of the Future sia il frutto del lavoro e del talento di giovani studenti del Berklee College of Music di Boston ed in particolare del chitarrista Martin Gonzalez (attivo anche con gli OK Goodnight) e della cantante/tastierista Elizabeth Hull. A parte insomma qualche riserva dettata più che altro dal gusto personale, l'album ha una verve e un'esuberanza votata all'anarchia, grazie anche alla versatilità dell'esecuzione e alla voce prestante della Hull, completamente assente nella maggior parte dei gruppi prog metal.
La sensazione è di trovarsi dentro ad un jukebox impazzito che sputa fuori la metal fusion da nerd degli Arch Echo, gli intermezzi strumentali ultra tecnici dei Dream Theater, il synthpop degli anni 80 e le sigle dei cartoni animati giapponesi. Non si prenda però questa descrizione come se all'interno dei brani si incappasse in molteplici cambi, ma più che altro la percezione e la somma dei suddetti vari connotati si palesa nell'insieme della scelta estetica dei suoni, nella realizzazione di intromissioni e lievi variazioni nella trama dei brani, i quali tutto sommato rimangono fedeli ad una linea di struttura piuttosto classica. Peasants of the Future si ascolta con un sorriso compiaciuto e spegnendo tutta la seriosità che ci arriva del mondo esterno ed in questo adempie in pieno al suo dovere.
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