martedì 31 marzo 2020

Vast Robot Armies - Paper Crown Parade (2020)


I Vast Robot Armies nascono nel 2013 con l'album Goodnight Myopia come progetto del polistrumentista Jason Thomson di Toronto. Il lavoro attira l'attenzione del chitarrista Joe Agee, già membro dei Sundiver, ottima band space rock di base a Kansas City, il quale contatta Thomson per esprimere il proprio apprezzamento per l'album. A quel punto viene fuori che anche Thomson apprezza la musica dei Sundiver e quindi, abbattendo le distanze, i due si incontrano a Chicago nel 2014 per unire le proprie forze (inserendo in formazione anche il bassista dei Sundiver Joseph Wells) e registrare il secondo album dei Vast Robot Armies Little Creatures (2015), continuando il sodalizio con Dinner Music (2017).

Paper Crown Parade è il quarto album in studio dei Vast Robot Armies e forse anche quello che finora li rappresenta nella forma migliore. Il legame con lo space rock dei Sundiver è più evidente che mai e la presenza alla batteria come ospite di Kelli Scott dei Failure è quasi una dichiarazione di intenti in quella direzione. Il lavoro non è da intendere comunque in stretta linea con il genere, ma piuttosto come un contenitore di psichedelia pop compresa tra il presente ed il passato.

Il disco vibra infatti anche di melodie e armonie provenienti dagli anni 70, dando vita ad un rock al confine con l'AOR in More in Than Out e Little Detroit oppure infuso di prog su Life in the Hive e Off The Wheel. Le spezie pop invece sono equamente rivolte con lo sguardo sia nella direzione delle arie retro e beatlesiane di Industry of Cool e Gateway Drug, sia nel power pop di matrice americana di Said the Universe, non a caso con Ken Stringfellow dei The Posies a fare una comparsa tra le armonie vocali, come il suo gruppo ha dato sempre risalto nel valore estetico musicale. Da tutto ciò i Vast Robot Armies tirano fuori una bella miscela di rock non scontato.

domenica 29 marzo 2020

Logan Kane Nonet - Nope​,​science (2020)


Ascoltando Nope,science non si può rimanere che stupiti una volta scoperto che l'album è il frutto di un bassista appena ventitreenne. Logan Kane, di stanza a Los Angeles, allievo di Ambrose Akinmusire, Peter Erskine, Vince Mendozaè, nonché membro della punk funk band Thumpasaurus, è infatti responsabile di uno degli esordi jazz più interessanti dell'anno e lo possiamo affermare con sicurezza anche essendo solamente a marzo. Coadiuvato da un gruppo di musicisti altrettanto giovani tra cui David Binney (sassofoni), Dan Rosenboom (tromba e cornetta) e Katisse Buckingham (flauto), Kane compone sette tracce di lucido jazz sinfonico compreso tra la tarda scuola di Canterbury dei National Health e il Frank Zappa più orchestrale. Le rimanenti due sono un arrangiamento di Binney del brano Above and Below di Allan Holdsworth (tratto da The Sixteen Men of Tain) e la composizione Proximity 7 ancora di sua mano. 

Alla maniera di Kamasi Washington la missione di Nope​,​science è quella di attraversare un'area trasversale che non si ferma al jazz tradizionale con gli assoli strumentali esibiti dai vari membri, ma si espande al prog rock, alla musica classica e all'avant-garde, innescando delle vere e proprie suite con complessi contrappunti e arrangiamenti armonici degni di un'orchestra.  Ed è ciò che traspare dai primi due brani Cement e Dots and Specks, continuando su tale linea anche con la più swing Little Plant. Golf e Saigon sono due pezzi che prendono di petto il be-bop, ritmicamente sostenuti, quasi funk, dove Kane dispiega tutta la sua perizia bassistica, mentre Stray Cats accenna parametri free jazz nelle sue divagazioni solista. Un disco ricco di stimoli per un autore novizio che, nonostante la giovane età, maneggia le complesse partiture come fosse un veterano.

venerdì 27 marzo 2020

Azusa - Loop of Yesterdays (2020)


Senza far passare molto tempo dal disco d'esordio Heavy Yoke, il supergruppo internazionale (Grecia, Norvegia, USA) Azusa si ripresenta con la seconda prova. I componenti Christer Espevoll, David Husvik, Liam Wilson e Eleni Zafiriadou si sono ritrovati ad Oslo nello studio di Husvik, ancor prima che Heavy Yoke fosse ufficialmente pubblicato, in una continuità di lavoro senza sosta rispetto a quanto già prodotto. Loop of Yesterdays sembra esprimere proprio questa fretta o urgenza creativa, ancor più secco, veloce e affilato del suo predecessore. Inevitabile che l'album segua le stesse coordinate estreme in un pressoché perfetto consolidamento di identità che non cede un passo alla frenetica marcia innescata da Heavy Yoke.

Dai primi singoli scelti per promuovere Loop of Yesterdays aleggiava il timore che gli Azusa si sarebbero ripetuti con poche rilevanti novità. Invece l'ascolto totale del disco assume tutt'altra forma, presentando un gruppo in grado di snocciolare una quantità di idee impressionante, non formali ma strumentali va precisato, anche nel succinto spazio di due minuti e mezzo. Le estremità che il suono raggiunge è un po' la cifra stilistica e un po' la volontà di stupire a tutti i costi dell'album: Memories Of An Old Emotion è un delirio avant-thrash dei più spietati che si alterna con la limpidità del dream pop dei Cocteau Twins. E se la voce della Zafiriadou è impeccabile nel sostenere due ruoli diametralmente opposti, il resto della band non è da meno. Espevoll in particolare si rivela l'orchestratore di un altalenante stile di chitarra, un momento feroce crogiolo di riff metal e l'altro esploratore di arpeggi avant-garde che viaggiano sul filo di rasoio tra melodia e dissonanza.

Con solo tre musicisti gli Azusa architettano una fitta ragnatela di intricate ritmiche e arpeggi destrutturati che si frammentano in tanti rivoli. Ed in questo caso torno a ribadire che le idee soniche e timbriche giacciono negli arrangiamenti e non nelle strutture, leggermente più ortodosse questa volta, dato che l'alternarsi tra "quiet" e "loud" si colloca in dei precisi punti dello svolgimento (tipo verse/chorus). La materia è tanto rauca ed abrasiva quanto mistica e psichedelica in pezzi come Seven Demons Mary, Rapture Boy e Golden Words. Dentro al carro armato di riff di Detach è presente come ospite Alex Skolnick (Testament) che si spende in un assolo infuocato. Sembra strano, ma nei suoi poli opposti ed estremi Loop of Yesterdays è quella scheggia impazzita mathcore che si ascolta senza alcuna repulsione anzi, è un puro divertimento che trova fascinazione nella complessità.




mercoledì 25 marzo 2020

I Gruvis Malt 15 anni dopo: la miglior band che non avete mai ascoltato


La prima volta che ho sentito nominare il nome dei Gruvis Malt è stato da parte di Tom Monda, chitarra dei Thank You Scientist, il che una volta ascoltati il riferimento mi è risultato piuttosto pertinente. Sì, perché nei Gruvis Malt si ritrova la stessa trasversalità di generi che attraversa la musica dei Thank You Scientist. Purtroppo i Gruvis Malt, pur essendo una band dalle notevoli capacità, non è riuscita mai ad arrivare molto lontano dai confini statunitensi per popolarità, anzi diciamo pure dai confini dello stato del Rhode Island e territori limitrofi, la zona dove il gruppo prese forma a partire dal 1995.

La formazione comprendeva fin dall'inizio Gavin Castleton (voce, tastiere e attualmente membro dei The Dear Hunter) e Brendan Bell (voce, percussioni) che insieme ad altri musicisti iniziarono la band durante il periodo delle scuole superiori, per arrivare alla line-up con Erik Nilsson (sassofono), Scott McPhail (batteria), Justin Abene (basso) e Steve Geuting (chitarra), diventando un vero e proprio culto in quegli anni come competenti musicisti di avanguardia jazz. Il gruppo espanse i propri orizzonti musicali includendo funk, hip hop, rap ed in seguito anche progressive rock. Con gli EP Breakfast All Day, Fetus e quella che viene considerata una compilation del primo periodo Cromagnetic (1998), i Gruvis Malt sperimentano i primi demo e registrazioni ancora non proprio professionali.

Il vero album d'esordio viene considerato dal gruppo Sound Soldiers (1999), in parte registrato dal vivo, che è un concentrato di musica funky e hip hop con progressioni jazz nella miglior tradizione black, come una combinazione di jam band che suonano con la stessa emotività e competenza di Spin Doctors e Prince. L'ampio spettro strumentale è completato da una sezione di fiati - che al sax di Nilsson affianca il trombone di Ethan Ruzzano e la tromba di Eric Bloom - ed anche il DJ Mr. Rourke chiamato ad occuparsi di "suonare" i piatti del giradischi, per aggiungere quel tocco di crossover alla Incubus.



Ed è proprio il DJ Chris Kilmore degli Incubus ad essere ospitato in due brani del secondo album ...With the Spirit of a Traffic Jam... (2002). Da qui iniziano veramente ad affiorare in modo preponderante vibrazioni prog, certificando il termine "futurerock" coniato dagli stessi Gruvis Malt per descrivere il loro eclettico metodo di scrittura. Come appare fin dall'introduttiva Malaise le trame strutturali si infittiscono, il piano di Castlelton si cimenta più spesso in rapsodie e fughe progressive, la sezione ritmica si adopera per aumentare le difficoltà temporali, mentre le colorature policromatiche di chitarra, fiati e archi si pongono in una terra di mezzo tra armonia e dissonanza, regalando anche momenti di pura avanguardia praticamente assenti da Sound Soldiers.



Se c'è un punto della discografia dei Gruvis Malt da dove iniziare quello è sicuramente Simon. Capolavoro senza compromessi o mezzi termini, l'abum è la quadratura del cerchio che finalmente assume una forma compatta nel diluire un solido amalgama di progressive rock, jazz, funk e hip hop. Nel senso che adesso gli strumenti come sax e tastiere non si limitano a sostenere groove funk e R&B, ma si innestano nel contrappunto rock del tessuto sonoro. Quelle di Simon sono canzoni rock dove il gruppo aumenta in modo esponenziale i trucchi strumentali e la difficoltà di percorso.



Nonostante degli intensi tour per promuovere gli album i Gruvis Malt abbandonarono l'attività live nel 2004 e si dedicarono solo alla registrazione del loro ultimo lavoro in studio che fu Maximum Unicorn (2005), considerato dai fan il disco definitivo dei Gruvis Malt, che si andava ad aggiungere ad una discografia assolutamente eterogenea. Maximum Unicorn rappresenta il lato sperimentale di Simon, quello meno accessibile e più avant-garde. Nel concludere la loro storia i Gruvis Malt producono l'album più estremo di cui sono capaci, non che non siano usciti altre volte dalla loro comfort zone, ma Maximum Unicorn è un epitaffio di una potenza unica. Dei sei elementi che componevano i Gruvis Malt, Castleton, Brendan Bell e Justin Abene andarono a formare un'altra band ancora più assurda di nome Ebu Gogo.



sabato 21 marzo 2020

Pure Reason Revolution - Eupnea (2020)


Chi se lo sarebbe mai aspettato di rivedere insieme i Pure Reason Revolution dopo che nel 2011, senza alcuna spiegazione ufficiale, si sciolsero all'improvviso. Eppure, dopo un altrettanto imprevedibile annuncio Jon Courtney e Chloë Alper sono tornati a lavorare insieme per un album di inediti, senza però prima riscaldare ed incuriosire il pubblico con la partecipazione al Midsummer Prog Festival in Olanda, tenutosi lo scorso giugno. Quindi, anche se ci troviamo in realtà di fronte ai 2/4 della formazione originale, Courtney e Alper già da quella performance hanno dato prova di un'importante dichiarazione di intenti sulla piega stilistica che avrebbe preso il corso della reunion. Suonando dal vivo per intero il primo album The Dark Third il segnale, poi confermato anche nelle dichiarazioni successive, era indirizzato verso un ritorno alle radici psichedelico-progressive di quel disco, senza però abbandonare in modo definitivo l'electro dance rock che emergeva dai successivi Amor Vincit Omnia e Hammer & Anvil.

Courtney e Alper sono stati inoltre gli unici due membri dei Pure Reason Revolution a rimanere attivi artisticamente: il primo con i Bullet Height insieme alla cantante Sammi Doll, la seconda con i Tiny Giant affiancata al produttore Mat Collins. Naturalmente entrambi i progetti riprendevano alcuni aspetti della musica dei Pure Reason Revolution, anche se declinati con una metodologia differente, molto più indirizzata al mainstream. Courtney al riguardo dichiara: “Non ho fatto musica per sei mesi o più, e poi ho iniziato a pensare: "dove sono?", "chi sono?" era come un reset musicale o qualcosa del genere. Sono tornato di nuovo in studio e quello che stavo facendo era molto più prog. Ho pensato quindi che non si adattasse ai Bullet Height, ma era più simile ai Pure Reason Revolution. A quel punto ho preso il telefono per parlare con Chloë e chiedergli se c’era interesse da parte sua ... mi ha detto che le sembrava un'ottima idea. "

Courtney in seguito è riuscito a coinvolgere nel processo di scrittura anche Greg Jong (primo chitarrista originale dei PRR), collaborando con lui a tre delle sei tracce dell'album, per dare ad Eupnea quell’inconfondibile tocco alla The Dark Third: “Avevo fatto alcuni demo per queste nuove cose su cui stavo lavorando e ho detto a Greg se voleva venire a Berlino per lavorarci insieme. Con lui abbiamo prodotto i primi demo che portarono al contratto con la Sony, quindi sarebbero state tracce come Apprentice of the Universe, Nimos & Tambos, e The Bright Ambassadors of Morning.” In effetti Eupnea conserva l’aspetto avventuroso psych prog di The Dark Third, ma anche con questo sguardo al passato, si percepisce un certo cambio diregistro molto attento ad intercettare le nuove tendenze del melodismo pop alternativo.

I due pezzi che aprono l'album, New Obsession e Silent Genesis, sono anche quelli scelti per anticiparlo e rendono abbastanza chiaro il modo in cui Courtney e Alper hanno organizzato il lavoro. La prima è un trattato riassuntivo sul doppio volto della band assunto durante la parabola dei tre album: art rock psichedelico tra pop ed elettronica senza però toccare i livelli dance di Hammer & Anvil. La seconda vuole dispiegare al contrario il potenziale electro space rock, assomigliando più alla sofisticatezza patinata synthetica degli Alan Parsons Project piuttosto che ai genuini trip dei Pink Floyd, anche se il piano elettrico della parte strumentale farebbe pensare il contrario. Come pezzi sono entrambi abbastanza atmosferici nel loro utilizzo di stratificazioni tastieristiche e anche quando irrompono le chitarre elettriche non trascinano mai verso veri e propri sussulti.

Eupnea procede quindi in tale direzione, però migliorando a dire il vero, anche se non in modo eclatante, dividendosi equamente tra brani più dilatati e prog e altri più contenuti che rientrano nel reame della forma canzone, riveduta con alcuni accorgimenti barocchi. A quest'ultima linea appartengono Maelstrom e Beyond Our Bodies, essenzialmente due ballate rock che dispiegano un potere ammaliante utilizzando spaziose armonie vocali e incalzanti crescendo elettrici. L'impegno della collaborazione con Jong aleggia invece sulle maggiormente strutturate Ghosts & Typhoons, che con la sua atmosfera elegiaca pare una outtakes da The Dark Third, e soprattutto nella title-track. Come miglior traccia di tutto l'album, un po' dovuta alla sua durata di oltre tredici minuti, si prende il tempo per riappropriarsi degli anni perduti, fluttuando tra synth futuristici alla Blade Runner e il marchio di fabbrica dei Pure Reason Revolution edificato da muri di archi che sostengono riff acidi e fuzzati.  

Eupnea si impegna ad accontentare entrambe le fazioni dei fan del gruppo, fortunatamente guardando più all'aspetto prog, ma questo è un perimetro che ormai conosciamo fin troppo bene e qualche sorpresa in più forse avrebbe giovato a questo atteso ritorno. Talvolta la nostalgia non va ricercata scavando a fondo nel passato, ma è più vicina di quanto si pensi.





giovedì 19 marzo 2020

Colin Phils - Trust/Fall (2020)


Una delle cose più particolari riguardo alla biografia dei Colin Phils è che i membri Ben Tiner (chitarra, voce), Ben Mauch (batteria, synth), Karyn Mauch (voce, synth) e Jon Howland (basso) sono statunitensi, ma hanno fondato il gruppo in Corea del Sud nel 2013, stazionando in oriente (soprattutto Cina e Hong Kong) per diversi anni anche per eseguire dei concerti. Ora ristabiliti definitivamente in USA a Richmond, Virginia, i Colin Phils danno alle stampe Trust/Fall, il loro quarto album in studio e per l'occasione si presentano come una band post rock, anche se in questa descrizione si trova molto, molto di più.

L'impostazione strumentale è abbastanza fedele a quel genere facendo leva su sintetizzatori ambientali, chitarre in loop e basso distorto. Ma l'addizione delle voci da parte di Tiner e della Mauch, che aiutano ad aggiungere armonia anche alle parti più intricate, ne fanno una esplorazione emo e math rock che talvolta sconfina nell'art pop o nel post hardcore. Possono ricordare una versione più psichedelica dei Delta Sleep oppure una svolta avant-garde dei Signals., però le pieghe sonore delle tracce contenute su Trust/Fall hanno un ché di corale nell'interagire su varie strutture di post rock e math rock, abbracciandone molti aspetti. Proprio per questo il disco risulta molto eterogeneo nella sua apparente omogeneità. Trust/Fall è in uscita domani, ma di seguito lo potete ascoltare in anteprima.



lunedì 16 marzo 2020

hubris. - Metempsychosis (2020)


C'è una nuova band da tenere d'occhio all'interno del filone post rock. Questa è il quartetto svizzero degli hubris. che in realtà è già attivo dal 2015, avendo realizzato già due album. Il nuovo Metempsychosis, con l'aiuto della promozione della sempre lanciatissima etichetta australiana Art As Catharsis, può veramente aprire nuovi orizzonti al gruppo elvetico, contando anche sulla qualità del prodotto portato in dote. La terza fatica degli hubris. infatti si piazza adeguatamente accanto a quanto finora da loro creato.

Metempsychosis è una sorta di concept album strumentale dove ogni traccia è ispirata e prende il titolo da personaggi della mitologia greca per richiamare la metafora di morte e resurrezione. Un programma che segue anche l'impostazione e lo sviluppo dei brani se si pensa ad Adonis, il quale nella prima parte è una tranquilla e fluttuante opera in divenire, che si sfoga in seguito nella veemenza elettrica della coda finale.

Negli ultimi tempi a sorgere come migliori episodi di post rock ci sono stati i lavori di Caspian e Tides of Man, con la traccia di apertura Hepius gli hubris. sembrano calcare quegli esempi attraverso un'incisiva presenza ritmica e connotazioni chitarristiche tese a tessere una trama di riverberi pittorici. Ed è proprio la suggestione visiva che la band cerca di stimolare: Dedalus è ancora un satellite nell'orbita di vorticose evoluzioni elettriche, mentre Heracles accenna ed esita su eventuali crescendo servendosi di arpeggi, intersezioni tra chitarre e lontani echi ambient che confluiscono in vasti muri distorti.

Non mancano quindi neanche accenni alla new age o all'ambient, che si palesino in modi più chiari nella narrazione sperimentale di Icarus, o più velati ma altrettanto incisivi su Dyonisus, un tour de force floydiano sotto steroidi nell'introduzione e un minimale gioco di accordi immediatamente dopo, alternativamente poi condotti  ad una grande onda amplificata. Alcuni gruppi post rock vogliono trasmettere la catarsi emotiva con imponenti droni elettrici, gli hubris. al contrario preferiscono affidarsi all'empatia delle dinamiche che uno strumento musicale può tirar fuori.


venerdì 13 marzo 2020

Orchards - Lovecore (2020)


L'amore è sempre nell'aria per gli Orchards, e dopo aver intitolato l'EP di debutto Losers/Lovers, il primo album arriva con un titolo che è in piena sintonia anche con questo blog: Lovecore. Che dire dell'album se non che riprende il discorso da dove lo avevamo lasciato con l'EP, ma il quartetto guidato dall'incantevole voce di Lucy Evers lo rinforza con ancor più spessore, utilizzando melodie incredibilmente orecchiabili, un interplay strumentale calibrato al millimetro per farvi battere i piedi in tempi dispari, incartato in un pacco regalo math pop dall'alto tasso infettivo (ok, scusate l'uso poco felice della parola). Lovecore è una collezione di brani dove gli Orchards non sbagliano un colpo, nel quale traspare una confidanza e una sicurezza nel mettere sul piatto elaborate parti strumentali a disposizione di solari, malinconiche e orecchiabili arie pop che tutto ne esce con naturalità e semplicità. Se siete amanti del math rock e dell'indie rock, o della buona musica in generale, Lovecore è un disco da non perdere, che vi farà passare minuti spensierati, ma anche riflettere, grazie alle liriche profonde e personali della Evers.


lunedì 9 marzo 2020

Jim Hart & Ivo Neame - Multiverse (2020)


Il coinvolgimento di Matt Calvert (chitarrista nei Three Trapped Tigers e negli Strobes) come produttore mi ha portato a conoscenza di questo album a firma di due importanti jazzisti come il pianista Ivo Neame e il vibrafonista e batterista Jim Hart. Calvert compare anche come ospite ai sintetizzatori e naturalmente la sua presenza, anche se come figura di contorno, avvicina Multiverse a quel math rock imparentato con il jazz in una linea di confine tra generi sempre più sottile e ormai quasi invisibile.

Come il suo titolo sta a suggerire, Multiverse attraversa una varietà di sfumature che vanno dal minimalismo di Steve Reich al complesso math rock degli Strobes. L'avant-garde delle composizioni si frattura in miniature di delicati e spigolosi contrasti di dissonanza e consonanza, messi a punto dall'impasto tra il vibrafono di Hart e i tanti registri pianistici di Neame nell'uso alternato di Fender Rhodes, Mellotron, organo Hammond e piano acustico. I due autori danno vita così, con gran maestria, ad un ottimo punto di incontro per chi ascolta jazz e ancora non sa cosa sia on non si è avvicinato al math rock e viceversa.

giovedì 5 marzo 2020

Casey Crescenzo & Brian Adam McCune - The Fox and The Hunt (2020)


L'interesse per il volto classico e orchestrale mostrato su Amour and Attrition continua ad affascinare Casey Crescenzo il quale, nel recente box set dedicato alle ristampe in vinile dei cinque album (Act I-V) dei The Dear Hunter, ha aggiunto in esclusiva uno speciale volume in doppio LP di 57 minuti dal titolo The Fox and The Hunt, oltre che una custodia vuota con tanto di artwork per l'eventuale aggiunta del vinile di Act VI.

The Fox and The Hunt è adesso disponibile presso i maggiori canali streaming, ma non va cercato sotto il nome dei The Dear Hunter, ma bensì sotto quello di Casey Crescenzo, dato che il frontman lo ha realizzato in collaborazione con il conduttore e arrangiatore Brian Adam McCune e la Awesöme Orchestra, presente anche su Act IV e Act V, proponendo delle versioni rivisitate in chiave orchestrale dei temi principali degli Acts (in partica come della "arie") e altri inediti.

lunedì 2 marzo 2020

Altprogcore March discoveries



Secondo album per i Satyr, band di prog post hardcore che piacerà ai fan di Dance Gavin Dance e A Lot Like Birds prima maniera.



Da Montreal, Canada, arriva il quintetto math pop dei Fer Sher. Step Siblings è il primo EP che la band pubblicherà quest'anno con un altro (Identical Triplets) previsto per la primavera. Se sentite la mancanza dei Signals. e non vi bastano gli Orchards per colmare il vuoto, i Fer Sher sapranno accontentarvi.



Mind Index è il nuovo album del musicista Joseph A. Peragine al quale molti anni fa, dopo aver tentato il suicidio, è stata diagnosticata la patologia di schizofrenia paranoide. Peragine riflette la sua condizione in musica facendosi aiutare dalla batteria psicotica di Chris Pennie (ex Dillinger Escape Plan) in un viaggio che ti fa esplodere il cervello per 52 convulsi minuti.



Space, acid, stoner prog, è ciò che mettono in atto in Mysteries of Time gli Hypermortal o, come dicono loro stessi: "From Canterbury prog to krautrock to post-punk to sludge, from QOTSA to Cocteau Twins to Opeth to Melvins".



Modern Bison è stata la prima band in cui hanno militato Jonathan Higgs e Jeremy Pritchard degli Everything Everything. L'unico album da loro prodotto (un misto di math rock e post hardcore) è stato di recente dissotterrato dall'oblio.

domenica 1 marzo 2020

The Mars Volta - I 15 anni di "Frances the Mute"


Per comprendere la genesi di FRANCES THE MUTE si deve risalire al tour che accompagnò DE-LOUSED IN THE COMATORIUM. I The Mars Volta con quel capolavoro avevano lasciato intendere una propensione verso i trip psichedelici strumentali ed infatti i brani dal vivo erano dilatati all’inverosimile, dando libero spazio a improvvisazioni, tanto che la sola Cicatriz ESP poteva toccare più volte i quaranta minuti di durata. Dai bootleg di quei concerti, ma anche dal successivo live ufficiale SCABDATES (novembre 2005), è possibile rendersi conto di come gran parte del materiale finito poi su FRANCES THE MUTE sia stato estrapolato dalle improvvisazioni strumentali suonate dal vivo (ad esempio la parte centrale di Cygnus...Vismund Cygnus veniva inserita all’interno di Drunkship of Lanterns).

Il processo di produzione di FRANCES THE MUTE, del quale Omar Rodriguez-Lopez si assunse tutta la responsabilità, fu alquanto elaborato, registrato tra il gennaio e l’ottobre 2004 in otto studi sparsi tra Australia, Porto Rico e Stati Uniti. Ogni strumentista provò e registrò le proprie parti isolato dagli altri membri del gruppo, ascoltando il risultato di ogni brano completo solo a prodotto finito. Questa metodologia di lavoro, che in un certo modo si ispirava a quella utilizzata anche da Miles Davis, non fu presa in considerazione invece per il lungo tronco strumentale di Cassandra Gemini che era essenzialmente una jam editata in studio. Ancora una volta nell’album comparivano come ospiti Lenny Castro, John Frusciante, Flea (che suona la tromba su The Widow e Miranda That Ghost Just isn’t Holy Anymore), già presenti nel precedente, con l’aggiunta di Adrián Terrazas-González (ai fiati), poi reclutato come membro effettivo del gruppo. Rodriguez-Lopez riuscì ad invitare persino il pianista salsero Larry Harlow, da lui molto ammirato, che suonò su L’ Via L’ Viaquez e Cassandra Gemini. L’immagine della copertina era di nuovo opera di Storm Thorgerson (così come tutte le foto interne) e prendeva vagamente spunto dal dipinto “Gli Amanti” di René Magritte.

FRANCES THE MUTE era, ancora una volta, un concept album legato ad una vicenda capitata a Jeremy Michael Ward. Prima di fare il musicista, Ward, lavorando come recuperatore (repo-man), trovò un diario nel sedile posteriore di una macchina. L’autore, essendo stato adottato, raccontava la propria storia personale alla ricerca dei suoi veri genitori biologici. Ward, che era stato a sua volta adottato, fu spinto a tenere quel diario, trovando molti punti in comune con l’ignoto autore. Questo curioso episodio divenne il fulcro attorno al quale ruota FRANCES THE MUTE e dove i nomi citati nei titoli dei brani ritraggono dei veri personaggi. Quindi non era neanche del tutto esatto parlare di concept album delimitato da un inizio ed una fine, ma ci veniva piuttosto mostrata una serie di vignette o quadri, ognuna con la propria storia. A fare da minimo comune denominatore la figura della madre (i nomi femminili sono quelli più ricorrenti nei titoli), vista come origine della vita. Per l’album Cedric Bixler-Zavala usò per la prima volta liriche in inglese e spagnolo combinate insieme. Essendo nato e cresciuto in una città al confine con il Messico (El Paso) era quasi una cosa naturale in quel posto parlare due lingue; inoltre suo padre era un insegnante di educazione bilingue e anche sua madre era solita parlare sia l’inglese che lo spagnolo. Già ai tempi della scuola Bixler-Zavala e Rodriguez-Lopez si esprimevano tra di loro in una sorta di “spanglish” quasi come una forma di codice segreto.

Bixler-Zavala spiegò così l’origine del concept: “Jeremy un giorno trovò questo diario. A mano a mano che procedeva nella lettura, scopriva molti tratti comuni tra lui e l’autore. Alla fine ha deciso che potevamo leggerlo anche noi e ricostruire storie da quelle storie. Noi abbiamo preso i nomi all’interno del diario e creato i titoli delle canzoni che, a loro volta, sono diventate titoli di capitoli immaginari”. Come seconda prova si può teorizzare che FRANCES THE MUTE, pubblicato il primo marzo 2005, fu per i The Mars Volta l’equivalente artistico di IN THE WAKE OF POSEIDON per i King Crimson. Alcune idee musicali erano ricalcate dal primo album, ma tutto era portato a livelli estetici smisurati: nei suoi settantasette minuti di durata si espandevano cinque tracce di rock ipercinetico, ambient abissale, jazz-core, sperimentazione psichedelica, musiche latine, mariachi e western (da ricordare che nel tour di DE-LOUSED IN THE COMATORIUM i The Mars Volta utilizzavano come introduzione il tema principale del film “Per un Pugno di Dollari” scritto da Ennio Morricone). In particolare, la dolente ballata dall’impronta floydiana Miranda That Ghost Just isn’t Holy Anymore – che prende avvio dopo quattro minuti di rumore – e The Widow erano le dirette interessate per quel che riguarda l’influenza latino americana, mentre l’apoteosi veniva raggiunta su L’ Via L’ Viaquez, un potente rock-salsa che marcava ancora di più il proprio esotismo grazie al cantato in spagnolo di Bixler-Zavala.

La furia punk hardcore dei The Mars Volta si attaccava questa volta ai groove space rock di Cygnus…Vismund Cygnus e alle dilatazioni da caos primigenio di Cassandra Gemini. La batteria di Theodore ritornava alle sue ritmiche spasmodiche e la chitarra di Rodriguez-Lopez si inerpicava nelle abituali contorsioni sonore come un Robert Fripp intento a suonare salsa psichedelica. Per dare maggior risalto alla mezz’ora di epica drammaticità di Cassandra Gemini, i The Mars Volta utilizzarono per la prima volta anche una sezione di fiati e una di archi. Nella sua lunga durata però FRANCES THE MUTE difettava paradossalmente in varietà, non offrendo la ricchezza di spunti tematici presente su DE-LOUSED IN THE COMATORIUM. Ogni brano era allungato da intro e outro ambientali con loop, rumori e suoni manipolati e, fondamentalmente, aggiungendo intermezzi strumentali a strutture tematiche abbastanza convenzionali formate da strofa e ritornello. Il brano che dava il titolo all’album, che inizialmente avrebbe dovuto comparire in apertura, fu in seguito lasciato fuori di proposito e realizzato sotto forma di lato B del singolo The Widow. Come il booklet scritto per DE-LOUSED IN THE COMATORIUM, esso doveva servire, a detta della band, come “decoder track”, in altre parole come un’appendice per interpretare il concept trattato su FRANCES THE MUTE. Nei suoi quattordici minuti e mezzo rappresentava uno dei brani più riusciti partorito dalle sessioni per il secondo album.