venerdì 26 febbraio 2021

Karmanjakah - A Book About Itself (2021)

Dopo un'ottima presentazione con l'omonimo EP risalente a fine 2016, gli svedesi Karmanjakah ci hanno fatto attendere quasi cinque anni per arrivare all'album d'esordio. Il motivo del lungo tempo trascorso è adesso tutto racchiuso nel risultato ottenuto con A Book About Itself. Se volessimo fare una presentazione molto lapidaria potremmo dire che i Karmanjakah affondano le proprie radici nel djent, ma è chiaro che la loro musica oltrepassa le facili e prevedibili impostazioni del tradizionale prog metal. I Karmanjakah, in sintesi, fanno tesoro di ciò che in passato hanno lasciato per strada altre imprescindibili band scandinave come VOLA, Agent Fresco e 22, ognuna a proprio modo all'avanguardia nell'intendere la progressione del djent verso un elaborato ma accessibile connubio tra pesantezza e melodia.

Le bordate di chitarra con le quali viene aperta Nautilus sono quasi immediatamente mitigate da tappeti di suoni eterei che si insinuano nel sottostrato sonoro, mentre Vårdkasar e Paper Boats sono ancora più esplicite nel combinare orecchiabilità e aggressività, caratteristiche sublimate nell'elettricità sedimentata della chitarra di Viggo Örsan e la voce accattivate di Jonas Lundquist, capace di destreggiarsi senza timore tra pop rock e vocalizzi thrash. Wild Horse è poi una vera e propria giostra di umori contrastanti, partendo come un assalto grindcore fino a raggiungere momenti di contrasto distensivi che strizzano l'occhio addirittura all'R&B. Di Unseen cattura subito l'attenzione il suono e l'arpeggio di chitarra in apertura che rimanda vagamente a Dance on a Volcano dei Genesis, ma è solo un flash poiché la canzone prosegue verso tutt'altri lidi, partendo molto eterea per poi svilupparsi come una ballad in crescendo, comprensiva di una sontuosa coda djent.

First Sun, che ha avuto il compito di essere scelto come primo singolo, è forse il brano più indicato per tratteggiare la transizione dall'EP al full length, inclusivo degli elementi caratteristici di entrambi, tra sottili spore di elettronica, improvvisi squarci mathcore e celestiali passaggi atmosferici compressi in abissi di metal ascetico. Julia e Naustá rappresentano infine le "epic tracks" dell'album, che sublimano il modo di intendere il prog djent da parte dei Karmanjakah: esprimere complessità senza eccedere, mantenendo sempre un filo contiguo con la melodia portante. In conclusione è valsa la pena attendere che il quartetto svedese mettesse a punto i dettagli di A Book About Itself, dato che siamo di fronte ad un esordio più che riuscito.

mercoledì 24 febbraio 2021

Glass Lungs - Impermanence (2018)


Ci sono gruppi che nel proprio sound sintetizzano più delle parole le caratteristiche di determinati tratti distintivi nei quali si è consolidata l'evoluzione di un genere. Uno di questi è senza dubbio il sestetto di Brooklyn Glass Lungs che, con il loro album d'esordio Impermanence risalente ormai al 2018, hanno racchiuso molto efficacemente gli stilemi di quello che potremmo identificare come post prog. Denominazione come sempre vaga, ma ormai, anche se usassimo la più specifica classificazione "experimental post hardcore", si rischierebbe di essere fraintesi per come suona Impermanence. Tutto questo preambolo su un argomento che a molti non piace (l'incasellamento) è comunque necessario e importante per far comprendere come ormai il genere in questione, tra le cui fila si possono citare Circa Survive, Hail the Sun, Artifex Pereo, Eidola ed Emarosa prima maniera, abbia raggiunto una tale maturità ed emancipazione in termini di peculiarità formali, che si è potuto declinare in differenti prospettive.

I Glass Lungs, con l'apporto di tre chitarre che lavorano in sinergia, creano un tessuto sonoro elaborato, denso ed atmosferico che li avvicina alle soluzioni di math e post rock. Il sound di Impermanence, a tratti lisergico e malinconico, a tratti epicamente solenne, raccoglie molteplici influenze di ciò che è l'ala più soffice dell'emo prog hardcore, dato che si possono individuare paragoni con Tides of Man, HRVRD e Six Gallery. Non si può fare a meno di notare come gli strati strumentali nelle dinamiche dei Glass Lungs richiamino i parametri atmosferici del post rock, sopra i quali interviene la voce di Chad Henson. Alla fine Impermanence è un bel contenitore di soundscapes immaginifici con il bonus del canto e un ottimo esempio delle qualità espressive più sognanti scaturite e conseguite dall'experimantal post hardcore e, perchè no, anche dallo swan-core.

domenica 21 febbraio 2021

Cameron Graves - Seven (2021)

Ascoltando Seven, seconda opera del pianista jazz Cameron Graves, senza avere cognizione di chi sia il suo autore, si può rimanere stupiti e sorpresi per aver scoperto un nuovo prodigio nella sfera prog jazz. Ma se andiamo a controllare ci accorgiamo che il curriculum di Graves non è proprio da nuovo arrivato, anzi. Infatti egli non è altri che il pianista della band di Kamasi Washington, che oltretutto compare qui come ospite al sassofono in due brani, e che come il suo più illustre collega ha costruito una band di tutto rispetto - che comprende Max Gerl al basso, Mike Mitchell alla batteria (già negli Spirit Fingers di Greg Spero) e Colin Cook alla chitarra - per avventurarsi in un progetto solista guidato dalla sua passione per l'astrologia e dagli insegnamenti filosofico-religiosi del Libro di Urantia.

Il disco precedente che ha segnato l'esordio di Graves, il concept Planetary Prince (nel quale compariva anche Thundercat al basso) del 2017, era un'ambiziosa jazz opera sulla scia della visione orchestrale e universale di cui Washington aveva dato una magistrale interpretazione con The Epic. Seven affronta invece il jazz da un punto di vista che si potrebbe avvicinare alla veemenza del metal e se Planetary Prince si basava su lunghe suite che ne facevano un mistico viaggio di 78 minuti, di contro Seven contiene brani dalla durata molto contenuta e il minutaggio totale non supera i 33 minuti. Ovviamente la scelta si riflette sulla concezione delle composizioni, le quali circoscrivono in un perimetro limitato le classiche improvvisazioni jazz e le divagazioni soliste, per dar spazio alla furia e allo svolgimento tematico dei "riff" pianistici di Graves.

A tal proposito è interessante notare la differenza che i due album tracciano nel modo di accostarsi al jazz moderno. Da una parte Planetary Prince è segnato da una fusion prog immaginifica, debitrice senz'altro degli insegnamenti dell'appena scomparso Chick Corea, dall'altra Seven è un assalto jazz-core che risente sicuramente degli influssi contemporanei math rock, djent e post prog di The Mars Volta, Animals As Leaders e Agent Fresco. Lo stesso Graves definisce la musica del disco "thrash jazz", citando tra le sue fonti di ispirazione Pantera, Slipknot e Meshuggah. Naturalmente Seven non raggiunge tali livelli di devastazione sonora, ma senza dubbio l'approccio al materiale rimane aggressivo e deflagrante.

venerdì 19 febbraio 2021

Lyle Workman - Uncommon Measures (2021)


Se magari molti conoscono il nome di Lyle Workman come session man e turnista di lusso che può vantare in carriera centinaia di apparizioni prestigiose tra cui Sting, Todd Rundgren, Beck, Jellyfish, Kevin Gilbert oppure come prolifico autore di colonne sonore, il suo aspetto prettamente solista risulta forse meno illuminato dalle luci della ribalta.

Tralasciando le partecipazioni ai lavori altrui o quelli su commissione, Workman pubblica oggi il suo quarto album in proprio, che arriva a ben dodici anni di distanza dal precedente Harmonic Crusader (2009). Uncommon Measures è come un naturale sviluppo e progressione del cammino di Workman come autore e arrangiatore. I primi due album, Purple Passages (1996) e Tabula Rasa (2001), sondavano infatti le possibilità del suo versatile stile chitarristico ed erano ancora prodotti nell'ottica del rock fusion strumentale che si incontra con l'hard rock. Harmonic Crusader espandeva questo linguaggio verso strutture più aperte e quasi prog. Nel presente nuovo sforzo discografico, Workman si è servito di un'orchestra di 63 elementi registrata negli studi di Abbey Road con lo scopo di arricchire le proprie composizioni.

L'aggiunta dell'orchestra sembra quindi un passo quasi obbligato per un chitarrista che si cimenta da anni nell'ambito strumentale sia da solista che nelle colonne sonore. Il frutto più elaborato di tale connubio Workman ce lo propone immediatamente in apertura con North Star, una vera e propria elaborata suite sinfonica multipartita per rock band e orchestra. Se North Star appare avventurosa, All the Colors of the World lo è altrettanto, ma con il pregio di affrontare altre sfumature sonore, guardando più all'aspetto prog rock e nascondendo al suo interno qualche virtuosismo zappiano, così come accade in Noble Savage. Anche la lunga Arc of Life si dipana in ariosi passaggi sinfonici, molto narrativi e impressionisti. Ma nell'album coesistono dei brani in cui l'orchestra non è la principale attrattiva. Ad esempio Imaginary World dà ampio spazio ai fiati e si respira un'atmosfera fusion in stile Snarky Puppy, mentre Unsung Hero è trainato e guidato da un contagioso groove funk. Uncommon Measures vede Workman esporsi come compositore a tutto campo, esprimendo al massimo le proprie doti di performer e perfetto architetto di armonie.

 

domenica 7 febbraio 2021

prdr - How Did the Desert Bloom (2021)


L'Australia non finisce di dare alla luce nuove, interessantissime proposte di prog moderno. L'ultima ad arrivare è quella della band prdr, sigla dietro la quale si cela il compositore e chitarrista Peter Meere, coadiuvato da Rob Brens alla batteria (I Built The Sky, Mirrors), Matt Sky alla voce e Liam Horgan al basso. Il gruppo ha il primo EP in uscita il 23 febbraio e il tutto è stato mixato e masterizzato dal talentuoso bassista Simon Groove (Plini, Intervals, Protest The Hero). 
 
La qualità della prog fusion mostrata su How Did the Desert Bloom è a dir poco sorprendente e i prdr partono da uno standard compositivo e di produzione veramente alto. Purtroppo una volta terminato l'EP ci si rammarica che comprenda solo tre tracce, poiché l'intuito ci suggerisce che se fosse stato un full length ci saremmo trovati di fronte ad un vero lavoro di prima classe. Ma questo non vuol minimizzare la preziosa proposta che i prdr hanno condiviso, seppur breve. In compenso c'è da rilevare quanto siano dense di contenuti le composizioni. Vanguard, ad esempio, somiglia ad una piccola suite nei suoi fluenti e impercettibili cambi di prospettiva, mentre The Letting Go unisce umori diversi di metal e atmosferici passaggi di ambient pop alla Disperse. Speriamo sia un grande preludio a numerosi nuovi lavori stimolanti.
 
  

venerdì 5 febbraio 2021

Frontside - Closer to Closure (2021)

I Frontside sono una vecchia conoscenza di altprogcore, fin da quando nel 2013 esordirono con il nome di FS firmando l'EP del 2013 Cheers and Fears from the Past Year. Dopo l'album Essentially, Eventually (2018) il trio della North Carolina ha deciso di fare un passo indietro e riprendere cinque vecchie tracce risalenti all'era precedente al primo EP, ovvero le prime composizioni ad uscire dalla loro penna. Le hanno quindi rivisitate e dato nuova vita per raccoglierle in questo EP Closer to Closure che sarebbe dovuto uscire l'estate scorsa, ma che è stato rimandato e che ora vede finalmente la luce.

Alcuni attribuiscono ai Frontside un sound simile a Fall Out Boy, Coheed And Cambria e anche un po' di The Fall Of Troy, forse con qualche accorgimento pop in più. Fatto sta che le trame rimangono intricate come succede nel buon math rock quando si incontra con prog e post hardcore e Closer to Closure non fa che ribadire il talento istintivo del trio per i frenetici fraseggi chitarristici emocore e le melodie pop punk taglienti e affilate. 

 

mercoledì 3 febbraio 2021

Introducing Azure.


Relativamente giovane il quartetto degli Azure. composto da Christopher Sampson (voce e chitarra), Galen Stapley (chitarra), Alex Miles (basso) e Andrew Scott (batteria), ha esordito addirittura nel 2015 con l'EP (Dreaming of) Azure.

Con il primo album Wish for Spring del 2017 il gruppo si destreggia in un singolarissimo mix tra il prog metal moderno e il neo prog anni '80, una resa dovuta sia ad un'autoproduzione che mette in primo piano batterie programmate e synth vintage, sia agli episodi di durata più contenuta che puntano su chorus di pop elaborato. Anche se si deve rilevare che il gruppo non rinuncia a composizioni dalla vena più epica, come la molto fluente Azure (otto minuti), la romantica Larks That Were Never Really There // Dawn Chorus (dieci minuti) e l'ambiziosa suite conclusiva di quasi 19 minuti Fairy's Tale

A proposito di ciò, un'altra lunga composizione avrebbe dovuto essere scelta per chiudere l'ipotetico secondo album, ma il gruppo ha poi deciso diversamente. A quasi un anno e mezzo di distanza da Wish for Spring infatti gli Azure. hanno deciso di realizzare Redtail come stand-alone track, anche se la sua durata considerevole di venti minuti la equipara ad un EP.

Dopo tre anni di pausa il secondo album degli Azure. sembra essere più vicino alla realizzazione, dato che è appena stato pubblicato il nuovo singolo Mistress, che vede il quartetto di Brighton progredire verso un prog metal con venature fusion, mantenendo sempre alto il gusto per orecchiabilità e melodia.

lunedì 1 febbraio 2021

Altprogcore February discoveries


I Cellar Darling sono una band svizzera che si potrebbe definire prog folk metal, guidati dalla cantante Anna Murphy, flautista e ghirondista, che ha militato per dieci anni, fino al 2016, negli Eluveitie che erano sempre sulle stesse coordinate. L'ultimo album in studio dei Cellar Darling, The Spell, è del 2019, ma il trio ha da poco pubblicato un nuovo inedito di quasi 11 minuti dal titolo The Dance.

 

 

Tom Doncourt, che è stato l'ex tastierista della prog band Cathedral alla quale si sono molto ispirati gli  Änglagård, si è unito all'ex batterista di questi ultimi Mattias Olsson per un prog album dai toni dark e sperimentali.  

 

A distanza di nove anni dal primo album i Glass Kites producono un gradevole secondo lavoro, lontano dai dettami del prog sinfonico e con un'impostazione pop psichedelica personale e moderna.

 

The Machinery Of The Heavens, album del chitarrista John Irvine, è un pregevolissimo disco di prog fusion che si incontra con l'elettronica, potrà piacere agli amanti di Allan Holdsworth e a quella frangia di estimatori del tardo suono canterburiano di fine anni 70 sospeso tra UK e National Health.

 

Con i rationale. apriamo il capitolo emo/pop punk. Questa è la band dell'ex cantante dei Real Friends Dan Lambton, formata insieme a Joe Taylor e Ryan Rumchaks dei Knuckle Puck. Dopo un EP nel 2015 il trio è tornato a pieno regime con il secondo You Are Flawed, But You'll Be Fine. ed un singolo pubblicato a fine 2020.
 
 
 
I Really From, il cui nuovo album è previsto in uscita il 12 marzo, sono invece una band emo anomala, in quanto incorporano nel loro sound anche strumenti come tromba e piano, in genere utilizzati in questo ambito solo dagli American Football, ma i Real From ci aggiungono un alone di indie jazz ancora più predominante.