venerdì 13 settembre 2024
Sans Froid - Hello, Boil Brain (2024)
mercoledì 4 settembre 2024
Marianas Trench - Haven (2024)
Nella loro carriera i Marianas Trench, guidati dall'ispirazione trascinante del cantante e autore Josh Ramsay, si sono cimentati in un emo power pop indirizzato verso connotazioni grandiose, magniloquenti e, quasi a legittimare tale indirizzo, per ogni album è stato scelto un concept o un tema portante che andasse a legare le varie canzoni. Haven, sesta opera in studio che segna una pausa di cinque anni dal precedente Phantoms, non fa eccezione ed è forse il picco creativo del gruppo canadese in questa continua ricerca della pomposità barocca applicata al pop, detto con tutta l'accezione positiva del caso. "Opera" è un termine scelto non a caso, visto che i Marianas Trench non hanno mai nascosto la propria volontà di creare una musica teatrale e altisonante che, a partire dal secondo album Masterpiece Theatre (2009), ha scavalcato i confini dell'originario emo pop presentato su Fix Me (2006). Da quel momento i Marianas Trench hanno allargato i propri orizzonti toccando power pop, synphonic rock, art pop e dance pop. Non a caso i loro punti di riferimento si possono rintracciare in Queen e Jellyfish.
lunedì 2 settembre 2024
Zane Vickery - Interloper (2024)
Un album spesso diventa un diario a cuore aperto del proprio vissuto e, nel caso riguardi un evento drammatico, è molto probabile che la sua intensità vada a intensificare l'emotività della musica. Questo in pratica è, in due righe, il contenuto di Interloper, secondo album del cantautore Zane Vickery. Un disco che si rivela una bestia di 73 minuti, risultato di due anni di travagliato lavoro nei quali Vickery si è ripreso da un quasi mortale incidente stradale causato da un guidatore ubriaco che purtroppo non si è salvato dallo scontro. Interloper riguarda un profondo processo di introspezione con il quale Vickery ha reagito all'accaduto, sentendosi responsabile per il tragico destino dell'altro guidatore tanto da sentirsi in colpa per essere sopravvissuto, pur non essendo lui la causa dell'evento. E a questo punto si apre tutta una parentesi sul perdono, sulla provvidenza divina che ci dà segnali e ci guida verso scopi a noi ignoti, sul credere in qualcosa di superiore che ci fa vivere momenti difficili e corregge la nostra morale attraverso ciò che accade nella nostra vita. In una parola: la fede.
Vickery affronta tutto questo aprendosi completamente nelle liriche, aggiungendo all'esperienza del perdono anche il difficile rapporto col padre, l'amore per sua moglie e rispolverando con ancora più forza il suo credo cristiano che già aveva fatto capolino nel precedente Breezewood (2021) tramite i riferimenti allo scrittore C.S. Lewis e alla sua opera sul mondo di Narnia. Nella musica statunitense non è raro imbattersi in tematiche cristiane pur non ricadendo specificatamente nell'etichetta di "christian rock". Anche nella musica alternativa si possono trovare velati riferimenti alla religione o precisi contenuti sulla fede, a seconda che i testi lascino libera interpretazione o che non ne nascondono i riferimenti. Per fare degli esempi nel rock contemporaneo si pensi a Dustin Kensrue dei Thrice, a Jeremy Enigk, ai Valleyheart, agli Emery, agli Adjy e molti dei gruppi appartenenti all'etichetta Tooth & Nail. Detto questo, penso che si possa apprezzare la musica che ci viene offerta anche se si è agnostici.
E' raro al di fuori del progressive rock trovare un album così esteso, peraltro con una gran mole di canzoni (17 in tutto), che scorra senza stancare e che possegga un'ampia varietà di pezzi ad alto spessore. In più, per essere una produzione indipendente, c'è una qualità e un'attenzione nella costruzione sonora da poter competere con quelle di più alto profilo. Vickery usa l'alternative rock americano come punto di partenza e lo ammanta con arrangiamenti ricchi che di volta in volta pescano stratagemmi da post rock, dream pop, folk, prog, post hardcore e emo. Ovviamente questi riferimenti vanno contestualizzati nel quadro generale come sfumature che aiutano le canzoni a rendere meglio la carica emozionale che possiedono e a fargli spiccare il volo. Proprio per questo Interloper non è il classico alt rock album che si omologa alla moltitudine, ma si distingue nel cercare un sound personale, aiutato dalla notevole interpretazione vocale di Vickery.
La title-track che apre anche l'album è, nella sua lenta evoluzione in crescendo, un foreshadowing del mood con cui procederà il disco, a tratti malinconico a tratti epico. Ed infatti si parte subito in pompa magna con i grandi spazi avvolgenti di Whatever Light We Have che si spalanca in sonorità eteree post rock ed un andamento punteggiato da ritmiche chitarristiche post hardcore. L'essenza di Interpoler è un po' questa: mostrare delicatezza ma sostenerla con una forte carica elettrica. Anche nei brani più romantici o elegiaci come Demimonde o Hydrangea si fa strada un'energia insolita grazie a orchestrazioni, strati di voci in lontananza, riverberi elettroacustici.
Non mancano parentesi folk e quasi country con The Best You Could e Honest, ma Vickery si mostra soprattutto un grande autore di pezzi che potrebbero fare concorrenza all'aristocrazia dell'art pop, su Greenhouse sembra rivisiti alla sua maniera Peter Gabriel, mentre su The Weight e Big Things Coming aggiunge la propria prospettiva rispettivamente sul rock radiofonico e AOR americano e sul post hardcore melodico dei primi anni 2000. Breathe & Affirm e The Gallery riprendono quella caratteristica a cui si accennava in proposito della title-track, partendo come delle ballad pacate per poi crescere in una versione solenne di loro stesse. Ovviamente, nella sua lunga durata e varietà, l'album offre momenti che rilasciano la tensione e si dirigono su coordinate indie rock più leggere come Sad Dads Club o genuinamente aggressive come Y.D.W.M.A., ma che in fondo conservano una radice pop rock. Insomma, Interloper è un disco vario che ha molto da offrire e non poteva essere altrimenti, inoltre è uno spaccato di cantautorato americano di rara bellezza, di sicuro fuori dai canoni di ciò che tale definizione vorrebbe associata al mainstream, dato che flirta con generi che per loro stessa configurazione ne sono sempre stati lontano.
sabato 10 agosto 2024
Summer math rock roundup
Il trio di Seattle No Edits, che in origine si chiamava Fixtures, si ripresenta con un convincente e ruvido lavoro dal titolo We All End Up the Same. I No Edits con cognizione dicono di ispirarsi ai gruppi della label Dischord Records e infatti le loro dinamiche math rock che si sposano con accesi toni post hardcore si rifanno tanto ai Faraquet quanto ai Fugazi con un tocco di meticolosità esecutiva alla Shiner.
I Vower nascono come supergruppo formato da eccellenti ex provenienti da tre band molto apprezzate, ma che si sono sciolte troppo presto, della scena post hardcore, heavy prog inglese. Joe Gosney e Liam Kearley erano rispettivamente chitarrista e batterista dei Black Peaks, poi Rabea Massaad chitarrista nei Toska ed infine dai Palm Reader si aggiungono Rory McLean al basso e Josh McKeown alla voce. L'EP apricity non fa che amalgamare il meglio delle tre band in un continuo saliscendi di metal atmosferico e scariche di pesanti assalti post hardcore.
sabato 3 agosto 2024
Introducing Winter Wayfarer
Winter Wayfarer è un progetto nato dalla volontà del polistrumentista Collin Hop e che ormai esiste almeno dal 2017, nel momento in cui è uscito il primo album Keep Close. In quel periodo Hop è l'unico referente della band e si fa aiutare da qualche amico per la strumentazione aggiuntiva, ma con il passare del tempo i Winter Wayfarer hanno assunto un profilo da gruppo vero e proprio.
Nel presentare stile e musica Hop fa esplicito riferimento al progressive rock e, a corredo del primo album, spiega: "Keep Close è il primo album completo dei Winter Wayfarer ed è l'inizio di una serie di concept album. Questo capitolo della storia si concentra sui primi anni di vita della protagonista, sul suo desiderio di comprendere il mondo che la circonda e sulle difficoltà intrinseche dei suoi genitori."
Se il concept vi suona familiare vuol dire che siete dei fan dei The Dear Hunter e in effetti anche la musica stessa dei Winter Wayfarer richiama le atmosfere degli Act di Casey Crescenzo, ma messe su un piano ancora più malinconico, in un misto da ballad per piano e chamber rock. Quanto detto è comunque valido per Keep Close, il quale rimane per ora il primo capitolo della saga, ma Hop e compagni tra il 2022 e il presente hanno pubblicato tre singoli che preannunciano un considerevole progresso indirizzato verso un eventuale secondo album. L'ultimo di questi in particolare "Marshal, You Have No Friends" si pone a metà strada tra il prog americano dei The Dear Hunter e le dinamiche del math rock orchestrale. Si prefigurano qui delle influenze più ampie altre a folk, ma anche un lontano sentore di post hardcore, jazz e classica.
domenica 21 luglio 2024
I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi
Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.
Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.
Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog.
Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.
9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
lunedì 1 luglio 2024
My Epic - Loriella (2024)
I My Epic sono un nome relativamente nuovo per me e penso anche per la maggioranza di utenti musicali italiani (se non addirittura europei). Il fatto è che fanno parte di quella schiera di band (delle quali altprogcore parla da anni) che fanno fatica a farsi conoscere oltre i confini statunitensi. La circostanza per la quale, nonostante i loro quasi venti anni di attività, sono arrivati solo adesso alla mia attenzione è quella di essere entrati nella scuderia della Tooth & Nail Records per la pubblicazione del loro nuovo album Loriella.
Ma veniamo a Loriella. Ascoltando il sound atmosferico di chitarre stratificate post rock e shoegaze proposto dai My Epic mi sono fatto l'idea di una versione dark dei Valleyheart con l'aggiunta di un uso calibrato dell'elettronica alla maniera della più recente versione dei Thrice. La carriera dei My Epic negli ultimi anni ha avuto un andamento a singhiozzo, dato che la loro testimonianza discografica più recente risale al dittico di EP Ultraviolet (2018) e Violence (2019) il cui intento era di mostrare i due lati antitetici che pervadono la musica del gruppo, quello meditativo e atmosferico nel primo EP e quello più potente e massiccio nel secondo. Per trovare l'album in studio precedente a Loriella, Behold, si deve addirittura procedere a ritroso di undici anni.
Loriella riesce nell'intento di essere allo stesso tempo il lavoro più accessibile e maturo dei My Epic. La scrittura delle canzoni viene valorizzata da una ricerca timbrica e sonora che dona loro spazialità ed emotività ed è questa forse la peculiarità che meglio emerge di questo album. Le chitarre, il sound design dei riverberi e delle distorsioni ricavati per dare un'identità ai brani non potrebbero sposarsi meglio negli slanci dinamici di Wildflowers e in quelli melodrammatici di Northstar, oppure quando arriva il momento dei riff oscuri che ricamano la spirale imponente di Red Hands o che tessono sottotraccia la fibra che infonde energia a Old Magic. Come i due EP anche Loriella mostra un duplice lato della musica dei My Epic, dato che non mancano episodi più distesi come Late Bloomer e Make Believe, i quali possono servirsi dell'elettronica al fine di trasmettere un senso di conforto e intimità o brani più apertamente malinconici e positivi come Heavy Heart ed eterei al modo dei From Indian Lakes (Phantom Limb, High Color).
Forse ci vorrà più di un ascolto per penetrare in pieno il lavoro sulla dimensione sonora che i My Epic hanno consolidato durante gli anni, e per questo credo che anche le passate pubblicazioni siano meritevoli di attenzione e scoperta, ma se già conoscete e apprezzate alcuni dei nomi sopra citati, sarete più facilitati ed inclini nel trovare una familiarità nella musica dei My Epic.