venerdì 13 settembre 2024

Sans Froid - Hello, Boil Brain (2024)


E' da ormai diversi anni che i Sans Froid sono insieme e si esibiscono nella scena underground britannica, avendo però prodotto nel giro di tutto questo tempo solo qualche singolo. Hello, Boil Brain è il loro vero e proprio debutto e può essere inserito facilmente in una categoria che taglia trasversalmente art rock, prog e math rock. Le evoluzioni vocali e pianistiche della front woman Aisling Rhiannon possono far venire alla mente le prime sperimentazioni dei Bent Knee, ma molto spesso il cervellotico ma accattivante impianto strumentale coadiuvato da Toby Green (batteria), Charlie Barnes (chitarra) and Ben Harris (basso), si inerpica in energiche e spigolose trame che ricordano gli A Formal Horse. Al di là dei paragoni si sarà capito che i Sans Froid offrono un songwriting avventuroso che non disdegna ammiccamenti al pop, anche se l'atmosfera generale trasmessa dalla musica è costantemente tesa e talvolta oscura.

mercoledì 4 settembre 2024

Marianas Trench - Haven (2024)


Nella loro carriera i Marianas Trench, guidati dall'ispirazione trascinante del cantante e autore Josh Ramsay, si sono cimentati in un emo power pop indirizzato verso connotazioni grandiose, magniloquenti e, quasi a legittimare tale indirizzo, per ogni album è stato scelto un concept o un tema portante che andasse a legare le varie canzoni. Haven, sesta opera in studio che segna una pausa di cinque anni dal precedente Phantoms, non fa eccezione ed è forse il picco creativo del gruppo canadese in questa continua ricerca della pomposità barocca applicata al pop, detto con tutta l'accezione positiva del caso. "Opera" è un termine scelto non a caso, visto che i Marianas Trench non hanno mai nascosto la propria volontà di creare una musica teatrale e altisonante che, a partire dal secondo album Masterpiece Theatre (2009), ha scavalcato i confini dell'originario emo pop presentato su Fix Me (2006). Da quel momento i Marianas Trench hanno allargato i propri orizzonti toccando power pop, synphonic rock, art pop e dance pop. Non a caso i loro punti di riferimento si possono rintracciare in Queen e Jellyfish

Su Haven c'è tutto questo e anche di più, ovvero si aggiunge una completa disamina di richiami al synth pop e new wave anni '80 ma infarciti di una episodica frenesia citazionista e un vortice di idee barocche da suonare maledettamente attuale. Anche per Haven Ramsay ha dichiarato che era alla ricerca di un tema conduttore e quando la scelta è caduta sul libro "L'Eroe dai Mille Volti" dello studioso di mitologia comparata Joseph Campbell (mmmh, mi ricorda qualcosa) è sembrata fatta apposta per sposarsi in musica con il carattere "cinematico" dell'album, amplificato dall' intervento della Vancouver Film Orchestra diretta da Hal Beckett. Rimane invariata anche la tipologia di struttura data alla tracklist, ovvero aprire e chiudere l'album con due epic tracks e sbizzarrirsi con canoni pop per il resto dello spazio. Direi però che questa volta la materia delle tracce in teoria più "frivole" si spinge spesso nella direzione avventurosa esposta nelle due mini suite. In più la sempre dotata vocalità di Ramsay si dimostra particolarmente in grande spolvero e si fa più ricorso alle abili armonizzazioni vocali di tutta la band. 

 A Normal Life dispone i tasselli per un esaltante viaggio, dando sfogo in sette minuti ad un caleidoscopio di arzigogoli prog, glam ed emocore in un connubio tra i Silverchair dell'era Diorama e i Biffy Clyro di ultima generazione, piuttosto votati al pop mainstream ma aggressivi quando serve. Anche nella successiva Lightning and Thunder si potrebbe intentare un paragone con il trio scozzese, con maggior riferimento al periodo centrale della loro carriera. Da qui in poi la grandiosità di A Normal Life lascia il passo ad un pop rock più immediato ma non privo di evoluzioni, salvo poi tornare occasionalmente. In special modo sui vertiginosi inserti orchestrali di Worlds Collide e sui mutevoli temi cha danno carica melodrammatica alla title-track, che nel finale si ricollega tematicamente alla prima traccia. In ogni caso, anche nelle canzoni spiccatamente accattivanti, i Marianas Trench giocano con le forme in un saliscendi contrastante che passa dal pop più complesso a quello più zuccheroso, evitando anche la trappola di apparire fastidiosi ogni volta che propongono un "signature sound" derivato dalle classiche hit anni '80. In questo caso, personalmente, riescono a farmi piacere delle cose che normalmente rigetterei, come alcune modulazioni verso il dance pop reminiscenti del loro album Ever After (2011). 

A ben vedere Haven mescola e somma tutti i mutamenti che i Marianas Trench hanno toccato nei loro album precedenti e li fa convivere con un tocco estroso ed eclettico che ha contribuito ad evolvere la musica fino a renderla più avventurosa (come il viaggio dell'Eroe di campbelliana memoria per altro). Forse è per questo che Haven è il loro lavoro migliore.

lunedì 2 settembre 2024

Zane Vickery - Interloper (2024)


Un album spesso diventa un diario a cuore aperto del proprio vissuto e, nel caso riguardi un evento drammatico, è molto probabile che la sua intensità vada a intensificare l'emotività della musica. Questo in pratica è, in due righe, il contenuto di Interloper, secondo album del cantautore Zane Vickery. Un disco che si rivela una bestia di 73 minuti, risultato di due anni di travagliato lavoro nei quali Vickery si è ripreso da un quasi mortale incidente stradale causato da un guidatore ubriaco che purtroppo non si è salvato dallo scontro. Interloper riguarda un profondo processo di introspezione con il quale Vickery ha reagito all'accaduto, sentendosi responsabile per il tragico destino dell'altro guidatore tanto da sentirsi in colpa per essere sopravvissuto, pur non essendo lui la causa dell'evento. E a questo punto si apre tutta una parentesi sul perdono, sulla provvidenza divina che ci dà segnali e ci guida verso scopi a noi ignoti, sul credere in qualcosa di superiore che ci fa vivere momenti difficili e corregge la nostra morale attraverso ciò che accade nella nostra vita. In una parola: la fede.

Vickery affronta tutto questo aprendosi completamente nelle liriche, aggiungendo all'esperienza del perdono anche il difficile rapporto col padre, l'amore per sua moglie e rispolverando con ancora più forza il suo credo cristiano che già aveva fatto capolino nel precedente Breezewood (2021) tramite i riferimenti allo scrittore C.S. Lewis e alla sua opera sul mondo di Narnia. Nella musica statunitense non è raro imbattersi in tematiche cristiane pur non ricadendo specificatamente nell'etichetta di "christian rock". Anche nella musica alternativa si possono trovare velati riferimenti alla religione o precisi contenuti sulla fede, a seconda che i testi lascino libera interpretazione o che non ne nascondono i riferimenti. Per fare degli esempi nel rock contemporaneo si pensi a Dustin Kensrue dei Thrice, a Jeremy Enigk, ai Valleyheart, agli Emery, agli Adjy e molti dei gruppi appartenenti all'etichetta Tooth & Nail. Detto questo, penso che si possa apprezzare la musica che ci viene offerta anche se si è agnostici.

E' raro al di fuori del progressive rock trovare un album così esteso, peraltro con una gran mole di canzoni (17 in tutto), che scorra senza stancare e che possegga un'ampia varietà di pezzi ad alto spessore. In più, per essere una produzione indipendente, c'è una qualità e un'attenzione nella costruzione sonora da poter competere con quelle di più alto profilo. Vickery usa l'alternative rock americano come punto di partenza e lo ammanta con arrangiamenti ricchi che di volta in volta pescano stratagemmi da post rock, dream pop, folk, prog, post hardcore e emo. Ovviamente questi riferimenti vanno contestualizzati nel quadro generale come sfumature che aiutano le canzoni a rendere meglio la carica emozionale che possiedono e a fargli spiccare il volo. Proprio per questo Interloper non è il classico alt rock album che si omologa alla moltitudine, ma si distingue nel cercare un sound personale, aiutato dalla notevole interpretazione vocale di Vickery.

La title-track che apre anche l'album è, nella sua lenta evoluzione in crescendo, un foreshadowing del mood con cui procederà il disco, a tratti malinconico a tratti epico. Ed infatti si parte subito in pompa magna con i grandi spazi avvolgenti di Whatever Light We Have che si spalanca in sonorità eteree post rock ed un andamento punteggiato da ritmiche chitarristiche post hardcore. L'essenza di Interpoler è un po' questa: mostrare delicatezza ma sostenerla con una forte carica elettrica. Anche nei brani più romantici o elegiaci come Demimonde o Hydrangea si fa strada un'energia insolita grazie a orchestrazioni, strati di voci in lontananza, riverberi elettroacustici. 

Non mancano parentesi folk e quasi country con The Best You Could e Honest, ma Vickery si mostra soprattutto un grande autore di pezzi che potrebbero fare concorrenza all'aristocrazia dell'art pop, su Greenhouse sembra rivisiti alla sua maniera Peter Gabriel, mentre su The Weight e Big Things Coming aggiunge la propria prospettiva rispettivamente sul rock radiofonico e AOR americano e sul post hardcore melodico dei primi anni 2000. Breathe & Affirm e The Gallery riprendono quella caratteristica a cui si accennava in proposito della title-track, partendo come delle ballad pacate per poi crescere in una  versione solenne di loro stesse. Ovviamente, nella sua lunga durata e varietà, l'album offre momenti che rilasciano la tensione e si dirigono su coordinate indie rock più leggere come Sad Dads Club o genuinamente aggressive come Y.D.W.M.A., ma che in fondo conservano una radice pop rock. Insomma, Interloper è un disco vario che ha molto da offrire e non poteva essere altrimenti, inoltre è uno spaccato di cantautorato americano di rara bellezza, di sicuro fuori dai canoni di ciò che tale definizione vorrebbe associata al mainstream, dato che flirta con generi che per loro stessa configurazione ne sono sempre stati lontano.


sabato 10 agosto 2024

Summer math rock roundup


Il trio di Seattle No Edits, che in origine si chiamava Fixtures, si ripresenta con un convincente e ruvido lavoro dal titolo We All End Up the Same. I No Edits con cognizione dicono di ispirarsi ai gruppi della label Dischord Records e infatti le loro dinamiche math rock che si sposano con accesi toni post hardcore si rifanno tanto ai Faraquet quanto ai Fugazi con un tocco di meticolosità esecutiva alla Shiner.


I Vower nascono come supergruppo formato da eccellenti ex provenienti da tre band molto apprezzate, ma che si sono sciolte troppo presto, della scena post hardcore, heavy prog inglese. Joe Gosney e Liam Kearley erano rispettivamente chitarrista e batterista dei Black Peaks, poi Rabea Massaad chitarrista nei Toska ed infine dai Palm Reader si aggiungono Rory McLean al basso e Josh McKeown alla voce. L'EP apricity non fa che amalgamare il meglio delle tre band in un continuo saliscendi di metal atmosferico e scariche di pesanti assalti post hardcore.


Altro supergruppo formato da Steve Choi (RX Bandits/The Sound of Animals Fighting) e Joe Vannucchi (From Indian Lakes) che negli Hard Chiller e nel loro EP di debutto, Heavy Cell, hanno coinvolto Casey Deitz (The Velvet Teen) alla batteria e Roger Camero (The Warriors, No Motiv) al basso. Lo stile si avvicina a quello degli ultimi From Indian Lakes ma è un dreamgaze con toni pesanti e suggestioni dark ma che non intaccano il potere guida di melodie sepolte sotto strati di distorsione eterea.



A dispetto della copertina lovecraftiana che può suggerire un metalcore esoterico, il gruppo di Los Angeles Classified Blind nel suo EP d'esordio Songs of the Silent Sea: Vol.1 suona un solare, frizzante e brioso math rock con grandissima attitudine ed esperienza.



I Seneca sono una band inglese che ancora deve farsi notare come si deve. Eppure il loro mix di punk, prog e math rock potrebbe essere apprezzato da chi negli ultimi i tempi si è interessato alla wave sperimentale proveniente dall'UK con gruppi come black midi, Squid e HMLTD.
 



 A cinque anni dall'esordio tornano i Quiet Lions con l'EP The Long Recovery che riparte da dove li avevamo lasciati con Absenteesism con il loro mix di hard math rock stemperato da melodie magniloquenti e sontuose.

sabato 3 agosto 2024

Introducing Winter Wayfarer


Winter Wayfarer è un progetto nato dalla volontà del polistrumentista Collin Hop e che ormai esiste almeno dal 2017, nel momento in cui è uscito il primo album Keep Close. In quel periodo Hop è l'unico referente della band e si fa aiutare da qualche amico per la strumentazione aggiuntiva, ma con il passare del tempo i Winter Wayfarer hanno assunto un profilo da gruppo vero e proprio.

Nel presentare stile e musica Hop fa esplicito riferimento al progressive rock e, a corredo del primo album, spiega: "Keep Close è il primo album completo dei Winter Wayfarer ed è l'inizio di una serie di concept album. Questo capitolo della storia si concentra sui primi anni di vita della protagonista, sul suo desiderio di comprendere il mondo che la circonda e sulle difficoltà intrinseche dei suoi genitori."

Se il concept vi suona familiare vuol dire che siete dei fan dei The Dear Hunter e in effetti anche la musica stessa dei Winter Wayfarer richiama le atmosfere degli Act di Casey Crescenzo, ma messe su un piano ancora più malinconico, in un misto da ballad per piano e chamber rock. Quanto detto è comunque valido per Keep Close, il quale rimane per ora il primo capitolo della saga, ma Hop e compagni tra il 2022 e il presente hanno pubblicato tre singoli che preannunciano un considerevole progresso indirizzato verso un eventuale secondo album. L'ultimo di questi in particolare "Marshal, You Have No Friends" si pone a metà strada tra il prog americano dei The Dear Hunter e le dinamiche del math rock orchestrale. Si prefigurano qui delle influenze più ampie altre a folk, ma anche un lontano sentore di post hardcore, jazz e classica.

domenica 21 luglio 2024

I migliori 12 album Emo Prog di tutti i tempi


Dato che in giro tra blog e siti musicali è molto in voga creare liste e Top 10 su svariati argomenti (come sempre opinabili e la presente non è da meno) mi sono cimentato anch'io a compilarne una, soprattutto dopo che Loudwire si è interessato di recente alla fusione tra prog ed emo nell'articolo "The 10 Best Emo-Prog Bands of All Time" ed io stesso ho provato a fare un sunto sul tema nel numero di maggio di Prog Italia. In passato qui sul blog mi sono già occupato della materia, molto poco e molto meno di quello che vorrei in realtà, poiché tale tipologia di ibrido sembra non susciti interesse o curiosità nei fan italiani del prog moderno, ma pure nei frequentatori di altprogcore. Può essere che risulti un connubio troppo azzardato e indigesto o forse proprio non è un genere che incontra i gusti musicali del pubblico europeo, abituato a contenere i paletti del prog moderno nei confini di band come Opeth, Porcupine Tree, Leprous, Big Big Train, ecc. che con il tempo producono album sempre meno interessanti ma che comunque si muovono in una sicura comfort zone dalla quale è difficile staccarsi.

Al contrario, in questi altri orizzonti prettamente statunitensi si trovano idee, intuizioni e sperimentazioni se non altro inedite e più stimolanti, magari anche perché a crearle sono artisti che non hanno avuto legami esclusivamente con il prog e che neanche sanno di cosa si parli quando ci si riferisce alla frangia sinfonica del genere. Come l'articolo di Loudwire testimonia, credo che siamo arrivati ad un punto in cui non si può ignorare il nuovo connubio tra prog ed emo, tanto che nel 2024 sono stati pubblicati nel giro di poco tempo dei lavori importanti per la sua affermazione da parte di band appartenenti alla cosiddetta "quinta onda emo", riuscendo a rafforzare tale unione grazie a creatività e voglia di sperimentare indirizzate nella giusta direzione.

Ad essere precisi comunque questo sodalizio parte da lontano, ovvero da quando il post hardcore e il math rock ad inizio secolo hanno iniziato a comprendere tratti più ambiziosi, trame articolate e complesse sonorità molto allargate sul fronte dello stile. Poi c'è il versante più strettamente legato all'emo e alle sue "ondate" che, passo dopo passo, ha operato un progressivo avvicinamento a caratteri sfaccettati e innovativi che esulano da ciò che il mainstream ha fatto passare come idea estetica imperante nel momento in cui ci fu l'esplosione dell'emo pop (terza onda) all'inizio degli anni 2000 con gruppi come My Chemical Romance, Fall Out Boy, Panic! At the Disco e Paramore. A guardare bene quindi ne viene fuori uno scenario composito e diversificato del quale la "quinta onda emo" è solo una recente frazione che ha aiutato a solidificare tale connubio, sviluppando i canoni stilistici offerti dalle varie ondate - post rock, chiptune, jazz, bedroom pop, math rock - e servirsene per trasformarli in una nuova forma di Emo Prog. 

Qui di seguito ho cercato di compilare una esaustiva e rappresentativa lista di 12 album, in ordine rigorosamente cronologico, che spazia dagli albori di questo strano legame fino ad arrivare alla sua ultima e ancor più imprevedibile incarnazione.




1. Coheed & Cambria - In Keeping Secrets of Silent Heart:3 (2003)
I Coheed & Cambria vengono giustamente designati come pionieri nel coniugare post hardcore, emo e prog rock grazie all'album d'esordio The Second Stage Turbine Blade del 2002 (anche se un tentativo lo si poteva già riscontrare nel primo e unico disco dei Breaking Pangea con il brano Turning). Nonostante quel disco rappresenti un importante punto d'origine per la fusione dei generi, è con il suo successore In Keeping Secrets of Silent Earth:3 che la band di Claudio Sanchez raggiunge la piena forma prog, oltre che una maturità e varietà stilistica, mettendo in chiaro come un gruppo dalle origini emocore potesse puntare sulla perizia strumentale per sviluppare il proprio sound. Durante l'album si può oscillare dall'orecchiabilità contagiosa del singolo A Favor House Atlantic ai macchinosi e articolati riff in continua evoluzione di The Crowing, per arrivare infine alle conclusive simil-suite con flauti, synth e ricami chitarristici The Light & The Glass e 21:13, nelle quali i Co&Ca si avvicinano a tensioni e progressioni che giustificano i paragoni fatti più volte dalla stampa musicale con i Rush
 




2. The Velvet Teen - Elysium (2004) 
La critica non ha mai saputo in quale categoria esatta inquadrare i The Velvet Teen a causa della loro imprevedibilità stilistica. Il primo album Out of the Fierce Parade si attestava in una zona grigia tra indie rock ed emo influenzati dall'art pop aristocratico dei Radiohead. Il suo successore Elysium fu una spiazzante deviazione verso un'opera di baroque chamber rock che abbandonava per scelta le chitarre e le sostituiva con tastiere, piano e un'orchestra da camera con fiati e archi. I The Velvet Teen non erano esattamente emo, ma le loro sonate romantiche che si spingono oltre il limite condividevano la sensibilità con alcuni angoli della scena emo. Le tracce di Elysium sono un'apoteosi di crescendo emotivi sottolineati dalla vocalità melliflua ma altamente espressiva di Judah Nagler che prende il volo sulla crepuscolare amarezza di A Captive Audience e nel centro emotivo dell’album occupato dall’epico tour de force di tredici minuti di Chimera Obscurant che, dopo poche strofe accompagnate da accordi di piano con una ritmica jazz, si trasforma in un logorroico sfogo musicale. Un album che rispecchia l'introversione e la malinconia emo attraverso melodie notturne ma che celano potenza. Un vero capolavoro senza tempo e genere. 
 




3. The Receiving End of Sirens - Between the Heart and the Synapse (2005)
Nei primi anni in cui veniva a galla l'intreccio tra emo e post hardcore era piuttosto comune inserirvi delle band che fossero adiacenti ad entrambi i generi, dato che la categoria di appartenenza proveniva dalla stessa matrice punk. La linea che demarcava le peculiarità delle due categorie era sottolineata, da un lato, da una spiccata predisposizione per le melodie pop punk (l'emo) e, dall'altra, dalla forte componente aggressiva con ricorso a scream e harsh vocals (post hardcore). I The Receiving End of Sirens, forti di un arsenale di tre chitarre, tre voci principali che si alternano tra lead vocals e intrecci polifonici, mettono insieme il meglio dei due mondi e non solo, alzando l'asticella verso un'inedita visione da arena prog con grandiosi passaggi di interplay chitarristici, enfatiche e frastornanti parti vocali, architetture sonore sature sia nelle ritmiche che nei tappeti sonici elettrici. Le canzoni di Between the Heart and the Synapse sono monumenti al post hardcore più solenne e magniloquente. 
 




4. Gospel - The Moon is a Dead World (2005)
Lo status da culto ristretto di cui hanno goduto i Gospel non ha impedito a quella che per molti anni è stata la loro unica testimonianza discografica - The Moon is a Dead World - di acquisire con il tempo un'aura mitologica. Nati dalle ceneri del gruppo screamo Helen of Troy, i Gospel mantennero la traiettoria di questo sottogenere dell’emo che ne esasperava la parte caotica e sperimentale soprattutto dal punto di vista vocale, adottando costantemente un registro scream. Dall’altra parte i Gospel operarono un salto rilevante sul versante strumentale spostando la veemenza del post hardcore verso le complesse coordinate del progressive rock, lasciando una traccia importante per aver apportato nuovi parametri al genere. Come già sperimentato dai The Mars Volta, i Gospel si erano impegnati a rendere cerebrale il punk hardcore, ma con caratteristiche ancora più accese ed estreme. I synth, l’organo e le tastiere di Jon Pastir, fusi assieme alla chitarra di Adam Dooling e con la sezione ritmica guidata dalla batteria indomabile di Vincent Roseboom e dal basso massiccio di Sean Miller, formavano un requiem sinfonico incessante, contrappuntato dalla vocalità screamo di Dooling, per arrivare ad un punto di saturazione di ogni aspetto. 





5. The Dear Hunter - Act II: The Meaning of, and All Things Regarding Ms. Leading (2007)
Come per i Coheed & Cambria i The Dear Hunter vengono generalmente associati all'emo soprattutto in virtù dei loro primi due album. Il leader Casey Crescenzo se ne allontanerà progressivamente per abbracciare un prog più barocco e teatrale, ma agli albori dei The Dear Hunter era ancora fresco di fuoriuscita dai The Receiving End of Sirens, motivo per cui Act I e II beneficiano ancora di quell'influenza. Questo album in particolare è un magnum opus di 77 minuti che spazia tra il prog hardcore dei The Mars Volta al musical da operetta dei Queen, dal rock orchestrale al pop di Tin Pan Alley e che tramuta una molteplice parata di generi tra soul, blues, americana, rock opera e le trasfigura in chiave prog rock. E proprio in continuità con questo genere ne rispecchia una visione grandiosa e imponente, generando uno dei concept album più incisivi del prog moderno. 






6. The Brave Litlle Abacus - Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are (2009)
I The Brave Litlle Abacus, dopo gli American Football e Sunny Day Real Estate, sono forse i più influenti e citati alfieri dell'emo, avendo anticipato quasi involontariamente tutte le caratteristiche che hanno preso forma e abitudine nel genere dopo la quarta onda emo. Come gli American Football anche il loro catalogo è stato scoperto quando la band già non esisteva più e la sua importanza a livello ereditario non ha fatto che crescere nel tempo per ciò che riguarda l'importanza della sperimentazione. E' incredibile notare come nei Brave Little Abacus si possano rintracciare già tutti i prodromi musicali ricorrenti nel post emo in forma primordiale: il ricorso al lo-fi del bedroom pop e al chiptune contrapposti a strutture complesse con richiami math rock, l’uso distintivo di una strumentazione allargata con piano, fiati e percussioni programmate che concorrono ad architettare un hardcore barocco. Per i Brave Little Abacus l’esplorazione di nuove possibilità non si esauriva solo all’uso di strumenti eterogenei, ma anche nel dilatare i tempi di un brano in modo da accrescere il pathos delle variazioni offerte e così facendo anche del crescendo emotivo, come nell’avvio di I See It Too con quel suo indolente e reiterato riff iniziale. La musica cambia traghettata da un singolo accordo ad arpeggi con shredding e tapping alla chitarra acustica, da una sezione di fiati all’integrazione di tastiere atmosferiche. I The Brave Little Abacus non erano interessati all’edificazione in senso lato, ma piuttosto al continuo mutamento e con con i dieci minuti di Born Again So Many Times You Forget You Are si inventano la prima suite “midwest prog” della storia. Gli intricati arabeschi chitarristici e ritmici di Underground che rimettono continuamente in discussione lo svolgimento del pezzo in modo repentino e assolutamente disordinato fanno sembrare la band una versione avant-garde dell’emo, mentre gli oltre sette minuti di Untitled sembrano una mini odissea sonora per quel suo dischiudere una varietà di temi impressionante. Quando i brani si accorciano non sono da meno e il risultato finale è più vicino al prog sperimentale di quanto si pensi, ma purtroppo i The Brave Little Abacus erano troppo sconosciuti per attribuirgli l’invenzione di un nuovo sottogenere. 
   




7. The Felix Culpa - Sever Your Roots (2010)
Con Sever Your Roots i The Felix Culpa consegnano alla storia il capolavoro prog emocore definitivo, ignorato e dimenticato da tutti. Ogni cosa che lo riguarda assume i contorni di un'opera grandiosa, nella sua ora di durata le quattordici tracce che fanno parte del disco hanno modo di mettere in campo un ventaglio di espressioni che passano dalle dilatazioni del post rock, dalla convulsa articolazione del math rock fino alla quiete delle ballad struggenti. Il tutto viene condotto con improvvise svolte tematiche, leitmotiv che ritornano e si nascondono nel camaleontico scorrere da un brano all'altro con una consistenza sonora omogenea che non spezza mai la tensione. I The Felix Culpa conducono la dinamica dell'album come fosse un concept unitario, anche se a livello lirico si pone su interpretazioni aperte. Non è una rock opera punk ma ne ha alcune caratteristiche grazie all'aggiunta di piano e archi che ne arricchiscono la proporzione bombastica e quasi barocca. La tensione dinamica dei crescendo è condotta in modo magistrale, mentre l'aggressività non viene mai espressa in forma di rabbia cieca e veemente, ma si impone con visceralità, elementi che vanno a concorrere ad aumentare quel senso di experimental post hardcore da camera di un lavoro in cui l'emotività esecutiva è palpabile ad ogni secondo. 
 





8. Emery - You Were Never Alone (2015)
Nel caso degli Emery la tentazione di includere ...In Shallow Seas We Sail era forte, ma la scelta nel preferirgli You Were Never Alone è giustificata dal fatto che possiede dei tratti più accostabili a parametri prog. Questo la dice lunga sulla discografia degli Emery composta di album per lo più di  qualità eccellente. Nonostante ciò, difficilmente troverete il nome degli Emery citato in qualche lista emo o post hardcore, dato che lo stigma di "christian band" sembra avergli precluso qualsiasi considerazione da parte della critica. Raramente mi è capitato di scoprire un catalogo impeccabile come quello degli Emery e You Were Never Alone raggiunge forse l'apice della loro proposta. La tecnica di accostare le più limpide melodie emo pop con l'ausilio di ineccepibili armonie vocali e farle cozzare contro repentine svolte abrasive metalcore non ha eguali in altre band e in questo album il gruppo si concede il massimo della libertà e sperimentazione nell'oscillare tra i due umori in modo tecnicamente complesso ma accessibile. Thrash e la coda finale di What's Stopping You stanno lì a testimoniarlo dato che non potrebbero essere più estreme nella propria dicotomia. Mentre le vertiginose e imprevedibili progressioni di Salvatore Wryhta e Go Wrong Young Man rivaleggiano con la competenza dinamica ed esecutiva degli Ocenasize.





9. Adjy - The Idyll Opus (I-VI) (2021)
Gli Adjy mostrano il lato folk e chamber rock del midwest emo e The Idyll Opus (I-VI), al di là di essere un concept album in due parti, si sviluppa come un concerto per sei suite, con tanto di leitmotiv abbinati ai protagonisti della storia, nelle quali la band si destreggia come fosse un piccolo ensemble di musica neo folk americana con ampio uso di percussioni, fiati e banjo, eredi degli Anathallo quanto innovatori di un linguaggio progressive folk che parte dalle tradizioni musicali dei monti Appalachi, luoghi dove il disco è stato concepito. L'irruenza emo punk è presente nella gioiosità delle melodie che esplodono con gli stessi crescendo del post rock e le dilatazioni temporali dei brani ne cambiano di continuo la prospettiva durante il loro dipanarsi. Come gli Adjy attingono a piene mani dal folk, dal country, dal bluegrass, servendosi di quel genere musicale chiamato appunto “americana” per stigmatizzare stilemi che appartengono a quella tradizione, allo stesso modo li trasformano in qualcosa di trascendentale, trasfigurandoli attraverso la chiave moderna del chamber rock, delle dinamiche del midwest emo e della maestosità del progressive rock, in una tela intricata e ricca di timbri sonori.
   




10. The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die - Illusory Walls (2021)
Pionieri nel fondere le dinamiche dilatate del post rock con l'estetica math rock del midwest emo negli album Whenever, If Ever e Harmlessness, nel loro quarto lavoro Illusory Walls i TWIABP cercano di approdare ad un più alto livello sperimentazione e ambizione, bastassero come prova solo i lunghi trip stellari di Infinite Josh e Fewer Afraid per darne prova. Ma la band in più aggiunge una rilettura inedita dei tapping math rock nel momento in cui li accosta a sintetizzatori che creano spazi sonori che trasmettono inquietudine e a vortici metal oscuri e apocalittici.

 



11. Glass Beach - Plastic Death (2024)
Con il primo album nel 2019 i Glass Beach hanno creato un nuovo paradigma di emo quando, per la prima volta, si sono azzardati ad introdurre l'uso di accordi derivati dal jazz, assurde timbriche di tastiere a metà strada tra le colonne sonore per cartoni animati e il musical di Broadway, condite da un'estetica da bedroom pop figlia della comunità online, luogo virtuale dove la quinta onda ha proliferato. Plastic Death è ancora più complesso e ambizioso di The First Glass Beach Album. Quello della band è un gioco all’accumulo, stando però attenti a dosare bene gli ingredienti della musica moderna che si ciba principalmente di elettronica e avanguardia. E se in ambito rock questi due elementi si ricollegano quasi inevitabilmente ai Radiohead, complice la vocalità opaca e strascicata simile a Thom Yorke del leader J McClendon, i Glass Beach mantengono uno stralunato approccio per dare la sensazione di un costante senso di “weirdness” all’interno della musica, come una versione futurista del dadaismo patafisico dei Soft Machine di Volume 2. Questo lo si nota tanto nell’eccentrico patchwork di acquerelli swing pop di motions, guitar song, rare animal e cul-de-sac, quanto nei puzzle camaleontici e cervellotici di slip under the door, the CIA e commatose

 



12. Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)
Come si fa ad inventare un sound riconoscibile e peculiare nel 2024, quando tutte le strade musicali sembrano essere state battute? The Metaphysical Tech Support Hotline ci riesce partendo da un'idea massimalista del punk, basata sull'accumulo non solo architettonico ma anche stilistico. Il terzo album dei Topiary Creatures è una summa delle varie forme che ha assunto l'emo nelle sue cinque ondate ed in più le rilegge a proprio modo. Il prog è trasfigurato da synth ipercinetici che sembrano provenire da soundtracks per video games, la potenza del power pop si scontra con squarci metal e le ballate acustiche si fregiano di intarsi chitarristici math rock e midwest emo. La produzione viene ammantata da un'aura bedroom pop solo all'apparenza, dato che per contrasto l'accumulo di strumenti e sfumature timbriche suggerisce un lavoro di architettura sonora mastodontico. The Metaphysical Tech Support Hotline si espande in tante direzioni contemporaneamente ma non suona come niente là fuori, è davvero difficile trovare un termine di paragone. Una delle cose che non mi spiego è perché i Topiary Creatures, appartenendo a buon diritto alla quinta onda emo, non siano riusciti a beneficiare di quell'hype online che ha origine in siti come RateYourMusic o social come Discord e Reddit che da qualche anno si sono rivelati di grande aiuto per far emergere dall'anonimato i nomi di Parannoul e Glass Beach. Di sicuro sono il nome più rilevante che il genere ha da offrire ultimamente.

lunedì 1 luglio 2024

My Epic - Loriella (2024)


I My Epic sono un nome relativamente nuovo per me e penso anche per la maggioranza di utenti musicali italiani (se non addirittura europei). Il fatto è che fanno parte di quella schiera di band (delle quali altprogcore parla da anni) che fanno fatica a farsi conoscere oltre i confini statunitensi. La circostanza per la quale, nonostante i loro quasi venti anni di attività, sono arrivati solo adesso alla mia attenzione è quella di essere entrati nella scuderia della Tooth & Nail Records per la pubblicazione del loro nuovo album Loriella

La Tooth & Nail è un'etichetta che con il tempo ho imparato ad apprezzare grazie alla sua oculata politica di "controllo qualità", visto che tante delle band che ascolto e che corrispondono al mio gusto in base a determinate caratteristiche sonore e timbriche - come Copeland, Valleyheart, Emery, Tigerwine, Mae, Acceptance - fanno tutte capo alla label di Seattle. Il fatto che sia catalogata come una casa discografica ad indirizzo "christian rock" è rilevante ma fino ad un certo punto, come in molti altri casi la musica passa in primo piano e il contesto che ne viene fuori non dà proprio l'idea di una collettività di band impegnate dentro a congregazioni religiose. In primo luogo la missione della Tooth & Nail è stata sempre quella di proporre musica post hardcore/emo di alta qualità.

Ma veniamo a Loriella. Ascoltando il sound atmosferico di chitarre stratificate post rock e shoegaze proposto dai My Epic mi sono fatto l'idea di una versione dark dei Valleyheart con l'aggiunta di un uso calibrato dell'elettronica alla maniera della più recente versione dei Thrice. La carriera dei My Epic negli ultimi anni ha avuto un andamento a singhiozzo, dato che la loro testimonianza discografica più recente risale al dittico di EP Ultraviolet (2018) e Violence (2019) il cui intento era di mostrare i due lati antitetici che pervadono la musica del gruppo, quello meditativo e atmosferico nel primo EP e quello più potente e massiccio nel secondo. Per trovare l'album in studio precedente a Loriella, Behold, si deve addirittura procedere a ritroso di undici anni. 

Loriella riesce nell'intento di essere allo stesso tempo il lavoro più accessibile e maturo dei My Epic. La scrittura delle canzoni viene valorizzata da una ricerca timbrica e sonora che dona loro spazialità ed emotività ed è questa forse la peculiarità che meglio emerge di questo album. Le chitarre, il sound design dei riverberi e delle distorsioni ricavati per dare un'identità ai brani non potrebbero sposarsi meglio negli slanci dinamici di Wildflowers e in quelli melodrammatici di Northstar, oppure quando arriva il momento dei riff oscuri che ricamano la spirale imponente di Red Hands o che tessono sottotraccia la fibra che infonde energia a Old Magic. Come i due EP anche Loriella mostra un duplice lato della musica dei My Epic, dato che non mancano episodi più distesi come Late Bloomer e Make Believe, i quali possono servirsi dell'elettronica al fine di trasmettere un senso di conforto e intimità o brani più apertamente malinconici e positivi come Heavy Heart ed eterei al modo dei From Indian Lakes (Phantom Limb, High Color).

Forse ci vorrà più di un ascolto per penetrare in pieno il lavoro sulla dimensione sonora che i My Epic hanno consolidato durante gli anni, e per questo credo che anche le passate pubblicazioni siano meritevoli di attenzione e scoperta, ma se già conoscete e apprezzate alcuni dei nomi sopra citati, sarete più facilitati ed inclini nel trovare una familiarità nella musica dei My Epic.

venerdì 28 giugno 2024

Bilmuri - AMERICAN MOTOR SPORTS (2024)


I Bilmuri ricadono in quella categoria di ibridazione estrema di generi che con gli Sleep Token l'anno scorso si è presa tanti insulti quante approvazioni. Non a caso i Bilmuri sono stati scelti come supporter degli Sleep Token per il loro prossimo tour europeo, ma il paragone tra le due band va comunque contestualizzato dato che il gruppo di Johnny Franck, oltre a non prendersi troppo sul serio, lavora su un piano estetico e musicale che si distacca considerevolmente da quello di Vessel e compagni. Qui un meme che spiega meglio di tante parole.

Ormai da otto anni il progetto del chitarrista e frontman Johnny Franck ha collezionato una considerevole lista di pubblicazioni (talvolta anche un paio all'anno), per la loro durata molto più simili ad EP che a veri e propri album, nei quali è stata subito chiara la sua fusione di djent metal diluito in un pop zuccheroso che utilizza tanto i mezzi dell'IDM, hip hop e synthwave, come nei Superlove, quanto i breakdown post hardcore in stile Dance Gavin Dance (con i quali Franck ha anche collaborato), intromettendosi nel contesto con un'attitudine cafona e quasi gratuita, ma che rispecchia la natura estrosa e smargiassa dell'autore. Anche se quest'ultimo aspetto è venuto meno con il passare del tempo i Bilmuri non hanno comunque perso l'appeal post hardcore ed emo che li caratterizzava all'inizio.

Se vogliamo allargare il campo dei paragoni, i Bilmuri cadono in un regno di mezzo che ultimamente ha preso campo nella generazione dei "chitarristi da camera da letto", comprendente il virtuosismo fusion da TikTok dei Polyphia e quello che si serve di RnB, funk ed elettronica portato ai massimi espressivi in modi differenti da gente come Jakub ŻyteckiOwane e Eternity Forever. In più c'è una componente estetica anni '80 che parte fin dalle cover e dalla metodologia di promozione, nella quale Franck adotta una voluta grafica dozzinale che sembra un prodotto da computer vintage (tipo Commodore 64) come una sorta di memetica retro-futurista proveniente dal passato che frulla anime, loghi metal e colori saturi, in un equivalente corto circuito temporale in stile steampunk.

L'ultimo album AMERICAN MOTOR SPORTS (scritto proprio così, con caratteri in Caps Lock) è il culmine del percorso intrapreso finora da Franck e racchiude tutti gli elementi elencati sinora. Un pugno di canzoni che non sbaglia un colpo, le quali potrebbero suonare con la stessa efficacia dentro una grande arena - e dare del filo da torcere a Taylor Swift - e allo stesso modo coinvolgere all'interno dei club con la medesima potenza contagiosa. Per dire che nei live la squadra messa in piedi da Franck è una macchina ben oliata, un concentrato che sprigiona energia pura e un grande senso della performance, con menzione particolare alla sassofonista e vocalist Gabi Rose, eccellente in entrambi i ruoli.

Se amate il pop intelligente e non monodimensionale, il repertorio di Bilmuri può nascondere un gran potenziale di contagiosità, ma anche se non siete dei bacchettoni metal duri e puri che storcono il naso di fronte agli Sleep Token, potrete apprezzare il "bedroom AOR" di ALL GAS, il caramelloso metal RnB di STRAIGHT THROUGH YOU, oppure cadere nella trappola dell'impossibilità di togliersi dalla testa i chorus delle power ballad BLINDSIDED e 2016 CAVALIERS (Ohio). In questo album Franck mette a frutto il suo amore per il midwest e per la musica di fattura americana, con riferimenti compositivi neanche troppo velati al country pop (ecco perché il riferimento alla Swift), ma sempre ammantati da una forte aura metal. Fatto sta che per quanto la musica dei Bilmuri possa raggiungere un alto grado di aggressività rimane costantemente, sotto ogni punto di vista, solare, positiva e con testi da cuori innamorati o infranti in pieno stile emo. 

mercoledì 26 giugno 2024

Strelitzia - Winter (2024)


Quello degli Strelitzia è un nome relativamente nuovo che si affaccia dal nulla nel panorama midwest emo/math rock con un album ambizioso, anche se in verità alle spalle hanno un EP già pubblicato nel 2017. Il fatto è che al qui presente disco d'esordio Winter ci sono voluti sette lunghi anni di lavoro affinché vedesse la luce, si capirà quindi che il periodo trascorso fa percepire il quartetto dell'Arizona  formato da Skylar Bankson (chitarra, voce, tromba), Jacob Howard (chitarra), Hunter Hankinson (basso) e Kyle Porter (batteria, piano) come una totale novità. Questa volta però le premesse che caratterizzano Winter sembrano fatte apposta per farsi finalmente notare e non poteva essere altrimenti vista la cura che gli è stata dedicata nella produzione.

Gli Strelitzia hanno dato alla loro opera prima l'impostazione di un concept album (si narra di un amore tormentato in pieno stile emo) con canzoni che si dilatano temporalmente e imboccano percorsi che spesso deviano dall'emo e sconfinano nel post rock, nel prog e nello sperimentale. Uno dei primi termini di paragone a venire in mente ascoltando la prima traccia Decigic sono i Delta Sleep, per un brano che affronta il crescendo di dinamica tra delicata malinconia e improvvisa esplosione emocore, espediente che poi sarà anche alla base della cifra stilistica di molti episodi. Nel frizzante math rock di This Bed Ain't Big Enough Fer The Two of Us tali caratteristiche prendono la via di declinare il tutto in un viaggio di inaspettate svolte tematiche e ritmiche. 

Ma Winter per alcune scelte appare un album coraggioso, al di là se lo si apprezzi o meno, tipo quella di porre al centro della storia il monolite da undici minuti Sara, un continuo saliscendi di umori romantici e sussulti aspri, tradotti con il linguaggio di chitarre elettriche emo e timbriche clean con tapping math rock, che si vanno a diluire dentro una coda di suoni astratti tra ambient e post rock, oppure chiudere inaspettatamente facendo ricorso ad una nota quasi di anti-climax  per quell'uso minimale, ma struggente, solo di chitarra acustica e voce su Epilogue. Il pregio di Winter risiede infatti nella sua imprevedibilità, proprio per l'alternarsi di pezzi che non sai mai che piega prenderanno. 

Ci sono delizie midewest emo, come Digital Spliff (Bees?!) e Sben, piene di contrappunti chitarristici elettroacustici, accenni hardcore, numeri prog emo, gang vocals interpretati con il massimo del coinvolgimento catartico, quasi a ricordare la dedizione e lo sforzo con cui è stato prodotto il disco. Poi c'è la title-track che pare un racconto in musica per come l'atmosfera strumentale avanza e si ritira in modo etereo ed impressionista, come fosse una marea. In pratica Winter trasmette il trasporto e l'emotività con cui gli Strelitzia lo hanno concepito e realizzato, se non altro per avergli dato un'identità sperimentale che oltrepassa i classici confini dell'emo.

  



martedì 21 maggio 2024

Ghost Rhythms - Arcanes (2024)


Se c'è un uso che non sia fuori luogo del termine "monumentale" è associarlo al nuovo album dei Ghost Rhythms Arcanes: due ore di musica per 22 tracce, ognuna delle quali ispirata e legata ad una carta degli arcani maggiori dei tarocchi. Per chi non li conoscesse i Ghost Rhythms sono un collettivo di musicisti, che può variare il proprio numero, fondato nel 2005 dal batterista Xavier Gélard e dal pianista Camille Petit che rivesto i ruoli di leader. Nel tempo l'ensemble parigino è passato dalla Cuneiform Records, ma per lo più ha realizzato i propri lavori in modo indipendente, come tra l'altro è avvenuto per questo Arcanes.

Avendo nominato la Cuneiform si può intuire l'indirizzo musicale dei Ghost Rhythms, anche se la questione non è così scontata. Infatti l'ambito rock/avant-garde in cui operano è piuttosto ampio - e Arcanes grazie alla sua imponente capienza ne costituisce un ottimo corollario - e abbraccia una vasta area di quella che è la musica strumentale moderna: si va dal jazz alla classica contemporanea, dal Rock In Opposition allo zeuhl, dal progressive al post rock. 

Il concept che sta dietro ad Arcanes vede la luce nella sua totalità soltanto adesso, ma in realtà è un progetto che, partito da alcuni abbozzi musicali collezionati da Gélard a partire dal 2006, ha preso forma e si è sviluppato dal 2021. E' ovvio che nella sua vastità l'album necessita di una fruizione attenta e magari a più riprese, ma quello che si può rilevare è che, nonostante la sua natura estesa, Arcanes presenta un approccio alla materia piuttosto omogeneo nella resa di un'esecuzione da chamber rock con piglio orchestrale, anche quando lambisce sfumature che sfociano nel jazz e nel math rock.

sabato 18 maggio 2024

Ugly - Twice Around The Sun (2024)


Qualche volta il tempo che passa senza darti la possibilità di esprimerti nel momento che vorresti può essere non un nemico ma un saggio alleato. E' stato così per gli Ugly, nati nel 2016 e che arrivano solo ora all'esordio con Twice Around The Sun, nominativamente un EP, ma che con i suoi 36 minuti e il ricco contenuto non sarebbe sbagliato considerare un vero e proprio album. Provenienti da Cambridge, gli Ugly appartengono all'ultima scena indie inglese a cui piace prendersi delle libertà verso spazi più ampi - tra cui non manca il progressive - che tra i nomi più noti comprende HMLTD, black midi, Squid e per finire Black Country, New Road con i quali gli Ugly hanno condiviso concerti e, fino al 2020, pure il batterista Charlie Wayne.

Comunque in questi otto anni il lavoro per Twice Around The Sun è passato attraverso numerosi "stop and go", tra il blocco forzato della pandemia, una pausa imprevista, un cambio completo di formazione che ha visto l'arrivo del nuovo batterista Theo Guttenplan, l'aggiunta di Jasmine Miller-Sauchella alla voce e alla tromba e Tom Lane alle tastiere, gli Ugly si sono evoluti da un progetto per chitarra del solo membro fondatore Sam Goater ad un ben più strutturato sestetto prog-indie-folk che si serve di elaboratissime polifonie vocali. Talmente elaborate che il pezzo di punta, nonché di apertura di Twice Around The Sun, The Wheel è un degno gioco di contrappunti alla Gentle Giant, prima a cappella e poi con l'intervento di tutto il gruppo. L'impostazione da folk inglese non lascia quasi mai il cammino dell'EP, ma la sua messa in scena appartiene ad una visione dai connotati che si legano a quell'intellettualismo chamber rock o pop barocco di North Sea Radio Orchestra, XTC e Field Music, dove il prog fa capolino più per convenzione di necessità che per adesione al genere.

Il comparto vocale non è l'unico dove il gruppo dà prova della sua abilità, ma anche per ciò che riguarda la strumentazione gli Ugly si impongono sia come ottimi esecutori sia come inventivi arrangiatori nelle soluzioni di interplay, tra cui risalta il basso dal gusto jazz di Harry Shapiro, e nel mantenere una peculiare atmosfera sospesa tra il modernismo e la tradizione. I cambi di direzione inaspettati di Shepherd's Carol sembrano fatti apposta per stupire, dato che vengono amplificati dalla somma delle parti che si vengono a creare ne connubio di progressioni armoniche e polifonie vocali. Quando il gruppo non è impegnato in tali tour de force incanala la propria abilità nella costruzione dalle fondamenta di un brano fino a farlo crescere in modo corale (Icy Windy Sky e Hands of Man). Proprio per questo non c'è mai nulla di predefinito durante il percorso di Twice Around The Sun, gli Ugly sono degli ingegnosi architetti sonori e il bello è che questo EP rivela un potenziale che potrebbe crescere ancora.


 

mercoledì 1 maggio 2024

Topiary Creatures - The Metaphysical Tech Support Hotline (2024)


Si può parlare ancora di purismo nel 2024? Rimane ancora quel netto pregiudizio per cui se si è estimatori di un genere ben definito (in questo caso il progressive rock), si nega di definirlo tale nel momento in cui entra in gioco un qualsiasi tipo di contaminazione esterna che non si ritenga appartenere a quei precisi dettami? Anche se ognuno può rispondere alla domanda in base alla sua sensibilità, penso che con questa preclusione si perda l'occasione di scoprire un sacco di roba interessante e stimolante, perché la musica nel frattempo evolve e il purista rimane nella preistoria.

Personalmente dai tempi di De-Loised in the Comatorium ho sempre cercato un'opera che potesse abbattere i confini di due generi e poterla ritenere a pieno titolo appartenente alla sfera prog, pur partendo da influenze e stilemi che non le appartengono. In 20 anni di band e artisti ne sono passati e, proprio per il livello di emancipazione raggiunto da ogni genere, non contavo che potesse uscire un album con le stesse potenzialità di quello dei The Mars Volta, ovvero che affermasse con convinzione il proprio retaggio ad un genere e allo stesso tempo ritenerlo un tassello fondamentale per il prog, portando al suo interno elementi mai sperimentati prima e mai così ben contestualizzati ed equilibrati tra le due "fazioni". The Metaphysical Tech Support Hotline, terzo album in studio dei Topiary Creatures, risponde a queste caratteristiche ed è un punto di svolta nell'evoluzione che il genere post emo da un po' di tempo sta portando avanti. 

La band era inizialmente il frutto del solo Bryson Schmidt che, dopo tre anni di lavoro su alcuni demo, nel 2020 ha dato alle stampe Tangible Problems, primo album a nome Topiary Creatures prodotto da Chris Teti dei The World Is A Beautiful Place, per poi evolversi come band con l’ingresso di Nathaniel Edwards (basso, chitarra) e Elizabeth Harrington (voce, tastiere) nel successivo You Can Only Mourn Surprises (2022). Descritti da Schmidt come “punk rock massimalista”, i Topiary Creatures condensano al meglio ogni aspetto della quinta onda emo con l’aggiunta di un tocco sperimentale, la produzione è caleidoscopica ed estremamente curata nel presentarci una varietà strumentale stratificata, ma allo stesso tempo si percepisce quell'approccio artigianale e DIY tramandato dai The Brave Little Abacus

The Metaphysical Tech Support Hotline appare come un meraviglioso e copioso aggregato di idee con ambizioni eclettiche e multitematiche che ruotano attorno all’universo emo, ne raccoglie tutte le diramazioni (power pop, bedroom pop, metal, chiptune) e in questo senso è un perfetto esempio di come la combinazione tra generi differenti e apparentemente distanti può offrire risultati lungimiranti. A pochissima distanza dall’uscita di Plastic Death si può affermare che, operando nello stesso ambito, The Metaphysical Tech Support Hotline supera in originalità l’exploit dei Glass Beach in quanto riesce a non far trasparire così palesemente riferimenti e influenze di stilemi canonizzati da altre band (nel caso dei Glass Beach i Radiohead). I Topiary Creatures cioè creano una bolla propria che mantiene con determinazione l’impronta emo ma che allo stesso tempo si apre ad una moltitudine di contaminazioni integrate benissimo in quell’identità. Si può affermare così che The Metaphysical Tech Support Hotline acquista un’importanza decisiva per il suo modo di ridefinire il connubio tra emo e prog, un po’ come De-Loised in the Comatorium fece tra post hardcore e prog rock. 

The Metaphysical Tech Support Hotline allarga ancora di più la tavolozza degli elementi che fanno parte del bagaglio di sperimentazione del gruppo. Innanzitutto lo si può ritenere un concept album, non perché racconti una storia unitaria, ma piuttosto per il fatto che tutte le canzoni sono legate da un tema comune. Le tematiche fanno riferimento al libro ad esso abbinato che contiene una storia breve scritta e ideata dallo stesso Schmidt dal titolo “Field Notes”. Come l’artwork dell’album suggerisce l’ambientazione è un ufficio alieno del futuro, popolato da strani esseri, dove uno studente di ingegneria metafisica viene assunto per uno stage e “ciò che inizia come una semplice impresa accademica di debug di realtà simulata si trasforma rapidamente in una battaglia morale tra ambizioni filantropiche e forze burocratiche che inibiscono il cambiamento nel mondo.” 

Musicalmente il mix che propone The Metaphysical Tech Support Hotline è altrettanto strano: la batteria suonata da Schmidt ha uno stile dinamico, frenetico e con continui cambi ritmici, le tastiere assumono un timbro tipico dei videogame e synth pad, mentre le chitarre si frantumano tra riff emo e metal, arzigogoli psichedelici e arpeggi elettroacustici, la voce femminile della Harrington si alterna con quella di Schmidt accentuando le parti melodiche e delicate. Il risultato è un calderone fitto di strati sonori dove il disagio adolescenziale emo viene rivitalizzato con la forza del power pop e l’imprevedibile vivacità di frammenti prog. 

L’emblematica apertura introduttiva è affidata a Trader Joe’s Frosted Mini-Wheats che, con i suoi saliscendi atmosferici e le sue continue variazioni, attraversa una serie incontrollabile di temi tra esplosioni improvvise, fughe di tastiere che sembrano provenire da un parco giochi e istanti lirici supportati da bordoni. La geniale metafora di God is a Scared Kid at a Middle School Science Fair che ci presenta Dio come un ragazzino insicuro alle prese della costruzione del classico vulcano per la ricerca di scienze (“If you sit still you can feel the Earth collecting dust in the garage” canta la Harrington nella coda finale), è una mini opera prog che si apre con un overture per chitarra e synth articolata in due fasi. La batteria, incalzante e tribale, guida gli articolati e rapidi mutamenti che avvengono nel brano, possono durare lo spazio di un battito di ciglia o guidare ad un ritornello che ti si stampa in testa (“It’s just bad art. Or bad code.”!), ma è ciò che accade intorno a frastornarci, in senso positivo, con una quantità di strati sonori e armonie da rimanere spiazzati. 

Il disco continua su queste coordinate: ancora più scatenate e concitate sono Snakes on the Walls e Carsick on Inisherin, mentre la malinconica, ma irresistibile nel suo incedere, Michelangelo EDC – con il contagioso refrain ripetuto “the Medicis pay the bills. The Medicis pay the bills. The Medicis pay the bills” – è una disamina su dubbi e compromessi morali tra arte e denaro. Gli aspetti più sperimentali vengono toccati su Fairfield Calvary Chapel Abortion Clinic, critica al fondamentalismo religioso della destra cattolica americana, con accenni a riff sludge e un punteggiato intervento di chiptune nel ritornello, e poi su Cleaning Basil Out of the Pool che, con la sua selva di rumori e timbri di tastiera, diventa un compendio di folktronica, psichedelia e dream pop. The Metaphysical Tech Support Hotline è disseminato anche di pezzi brevi che fungono quasi da intermezzo e si assumono il compito di esempio estremo delle varie anime in cui è suddiviso l’album, come il thrash metal di Home to Any Possibility, la ballad simil lo-fi Dog, il celestiale dream pop di Sam & Another Kid "Run Away" From Fairhope. I Topiary Creatures a tratti sembrano una versione ipertrofica dei Crying, altre un gruppo progressive rock che ha deciso di fare colonne sonore per cartoons. La verità è che sono un caleidoscopio di continue invenzioni emo e prog che si pone al centro dei due mondi e li domina a proprio piacimento.

venerdì 19 aprile 2024

Uncanny - Shroomsday (2024)


Anche se all'attivo hanno già un omonimo EP uscito nell'ormai lontano 2016, penso che in pochi abbiano sentito parlare degli Uncanny. Loro sono un trio prog metal norvegese (di Oslo) formato da Andreas Oltedal (batteria), Torkil Rødvand (basso) e Rikard Sjånes (chitarra) i quali, a distanza di otto anni, tornano con il primo full length della loro carriera dal titolo Shroomsday pubblicato oggi. Con la consapevolezza che non è assolutamente facile presentarsi oggi con un ennesimo album prog metal strumentale, gli Uncanny riescono nel miracolo di rendere la materia interessante e incredibilmente fresca grazie alla sua natura cervellotica ma allo stesso tempo coinvolgente, in uno scontro tra affilati e colossali riff ispirati all'algida precisione matematica dei Meshuggah e la melodia decadente e malinconica del prog norvegese.  

L'apertura di Uncut è già una dichiarazione di intenti: un panzer di groove metal con bombardamenti cadenzati di basso che poi si espande in dinamiche ritmiche da math rock, una formula ribadita nella seguente Noobjax, questa volta con risvolti post rock e psichedelici. Sono ancora i tratti stilistici dei crescendo post rock a sorreggere l'impianto di Circadian Rhythm che, dopo una quieta introduzione acustica, si fa strada con moto lento, martellante e ben scandito. Music For The Faint Hearted è un progressivo viaggio nel caos aggressivo introdotto e alternato da un arpeggio etereo sul quale incombe un'aura minacciosa, mentre la title-track è un altro oscuro buco nero di suggestioni oniriche che, nel suo sviluppo, si spinge verso lidi metal-orchestrali accentuati dall'uso di strumenti a carattere baritonale (basso e chitarra) e dai fiati. 5 Mile è l'unico pezzo cantato, utilizzando un approccio scream post hardcore da parte di Oltedal, ma nei sui sette minuti e mezzo c'è spazio per un grande sfoggio di idee strumentali con svolte inattese e un crescendo in tensione nella seconda parte.

Pur trattandosi di un trio gli Uncanny realizzano un album a tratti imponente con un sound granitico che comunque sa essere accessibile nella sua complessità. Un bilanciamento di elementi contrastanti - tra il progressive metal tecnico con connotati djent/sludge e la ponderazione del post rock - che è anche il punto vincente di Shroomsday.  

lunedì 8 aprile 2024

Annex Void - Will I Dream (2024)


Il quintetto di Detroit di recente formazione (2021) Annex Void, esordisce con l'EP Will I Dream nel quale esplora i confini stilistici del progressive metal. Utilizzando elementi atmosferici ambient, progressioni jazz eteree mutuate da Allan Holdsworth, complesse strutture ritmiche tipiche del djent primordiale dei Meshuggah e l'elettricità nebulosa dello shoegaze dei Loathe, gli Annex Void realizzano un biglietto da visita impressionante, quasi da rimpiangere che non sia un album intero per quanto sia valido il contenuto. 

L'amalgama portato in dote dagli Annex Void sembra essere la nuova frontiera del progressive metal, spingendo ai due estremi - soft/melodico vs. heaay/brutale - alla maniera di Cynic e The Contortionist, un connubio quindi che in passato abbiamo già avuto modo di ascoltare, ma forse mai contestualizzato così efficacemente. Come prima prova Will I Dream convince e consolida la trasversalità stilistica che ancora oggi può mantenere vivo e far progredire il genere.

sabato 6 aprile 2024

Amskray - Die Happy (2024)


Come sempre, se uno vuole ascoltare un tipo di prog fresco, innovativo e che abbia un sapore contemporaneo, deve rivolgersi necessariamente agli Stati Uniti. E' ormai da qui che arrivano le band che hanno davvero qualcosa da dire nell'ambito di questo genere. Gli Amskray, dal New Jersey, sono l'ennesima prova che se si vuole veramente cercare un nuovo orizzonte e nuovi sbocchi per il prog è bene mettersi il cuore in pace e accantonare in modo definitivo le influenze degli anni '70. 

Il loro album di debutto Die Happy pulsa di tutto ciò che dovrebbe ambire oggi il prog contemporaneo: brani non eccessivamente lunghi, ma che al loro interno si permettono di spaziare tra math rock, impulsi indie e jazz, post hardcore, emo e sperimentazioni esotiche, che guardano indistintamente a varcare i confini di ogni genere. In pratica se siete in cerca di un album dall'ispirazione brillante, vivace e che stimoli i vostri sensi prog più sensibili e sviluppati Die Happy sarà una bella cavalcata nei meandri più originali del genere.

domenica 10 marzo 2024

Oltre la quinta onda emo, parte 2


E' davvero un peccato che il termine "emo" si sia impiantato nella nostra cultura di massa come una stigma predeterminata che descrive molto precisamente un modo di atteggiarsi, vestirsi, comportarsi e ascoltare musica, il più delle volte in modo piuttosto semplificato e caratterizzato da un determinato cliché. Parlando in modo specifico del genere in sé appare invece come uno dei più elusivi e soggetto a cambiamenti e contaminazioni così imprevedibili da aver attraversato, fino ad ora, cinque fasi.

La cosiddetta "quinta onda emo" è quella che in questa sede ci interessa particolarmente e sulla quale avevo in passato già speso qualche parola. Come due anni fa in quell'articolo succede adesso che in questo inizio di 2024 siano usciti almeno tre album appartenenti al suddetto genere tutti di pregevole fattura e che alzano ancora di più l'asticella nei confronti della sperimentazione e nel portare dentro stilemi provenienti dal prog.

Il primo in ordine di tempo è stato Plastic Death dei Glass Beach, ancora più complesso e ambizioso del precedente The First Glass Beach Album, poi abbiamo Ferried Away degli Stay Inside ed infine The Metaphysical Tech Support Hotline dei Topiary Creatures, terza opera che segna un'evoluzione in divenire veramente stimolante per la band, portandola a raggiungere una maturità sorprendente, nonostante il già buon risultato ottenuto con il precedente You Can Only Mourn Surprises.

In particolare la parabola dei Glass Beach e dei Topiary Creatures appare molto simile nel suo appartenere ad un modus operandi in sintonia con la pratica DIY. Entrambi generati da un progetto di un'unica persona accanto alla quale si è poi costituita una band, con un iniziale ricorso ad un approccio casalingo o da "bedroom pop" lo-fi, però con velleità massimaliste portate al pieno potenziale album dopo album, l'uso dei più disparati generi, anche lontani tra loro, toccati in modalità flash rock (metal, jazz, chiptune, ambient, noise, art rock ecc.), citazioni da videogame e un contatto molto profondo con la cultura dei social attraverso Reddit, Discord e concerti virtuali su Minecraft. 

E' così che Plastic Death e The Metaphysical Tech Support Hotline sono due opere piene zeppe di idee, completamente imprevedibili, che si compiacciono del loro eclettismo fuori controllo e sicuramente molto più originali e "forward-thinking" del prog che oggi siamo abituati ad ascoltare. Paragonato a questi due, l'album degli Stay Inside appare quasi più ordinario, ma anch'esso si fregia di brani di grande impatto e spessore, a partire dalla decisione di collegare quasi tutte le tracce come fossero un lungo tour de force. L'origine degli Stay Inside è in realtà più legata al post hardcore che all'emo, ma su Ferried Away anche loro operano una dissoluzione di confini e mostrano cosa significa far maturare un genere all'apparenza basico fino a renderlo complesso e articolato.



sabato 2 marzo 2024

Professor Caffeine & the Insecurities - Professor Caffeine & the Insecurities (2024)


In una selva di sottogeneri prog dove molto spesso gli schemi e le formule si ripetono, è sempre più raro trovare una band con le caratteristiche dei Professor Caffeine & the Insecurities, che almeno tenta di percorrere strade alternative facendo della trasversalità il proprio manifesto programmatico. Loro sono un quintetto di "nerdastri" di Boston che si diletta nel proporre un mix di prog, math rock, fusion, midwest emo e solo raramente qualche incursione su toni più accesi che definire metal sarebbe un azzardo. Per fare paragoni, dal punto di vista strumentale propongono una soluzione molto simile alla virtuosa fusione di stili dei Monobody. Se invece si aggiunge l'insieme cangiante della melodiosità del cantato (a cura del bassista Dan Smith) e la natura imprevedibile delle progressioni armoniche, si ha l'impressione di una versione più leggera di Thank You Scientist e Coheed and Cambria.

La musica dei Professor Caffeine & the Insecurities nella sua complessità esecutiva si poggia comunque costantemente su riverberi pop e funk, che le donano un tocco di accessibilità, poi elaborati negli intermezzi dei brani attraverso l'ausilio di vivaci e intricati passaggi. Per questo l'impianto compositivo del quintetto possiede continui richiami a sapori jazz e timbriche elettroacustiche, dove Dope Shades si presenta come una perfetta sintesi di entrambi i mondi, armoniosità power pop immersa in un solare funk jazz.

A volte il lato pop viene messo maggiormente in risalto su pezzi come Spirit Bomb, Unreal Big Fish e Astronaut, che possiedono chiaramente un'elaborazione della struttura formale più diretta. Ma il quintetto non è mai avaro nel mostrare la propria abilità nell'arte del contrappunto e in ciò una particolare menzione va all'uso del piano acustico da parte di Derek Tanch, in sintonia con le chitarre di Anthony Puliafico e Jay Driscoll, che aggiunge all'impianto una peculiare timbrica da band fusion. A giovare di tale espediente sono le dinamiche che si innescano nei fraseggi di The Spintz e Make Like A Tree (And Leave), un po' come avviene negli Aviations, senza lesinare poi l'uso accoppiato con le tastiere e synth su That's A Chunky e nella strumentale Oat Roper per rendere il tutto più avventuroso. Appena ho ascoltato i Professor Caffeine & the Insecurities ho capito che era doveroso segnalarli perché è una di quelle band che rappresentano più di altre lo spirito e la filosofia perseguite fin dall'inizio da altprogcore, quindi è il primo must di quest'anno.