Al momento in cui è stato pubblicato l'EP The Indigo Child, leggendo un po' in giro, mi sono accorto che non ha mancato di generare qualche perplessità, confondendo chi non fosse del tutto a conoscenza del nuovo concept dei The Dear Hunter, tra chi pensava che quella fosse la veste definitiva del nuovo corso e chi ancora sperava che si trattasse di qualcosa legato agli Acts. Tutto questo succedeva un po' a causa della effettiva scarsa copertura mediatica di cui godono i The Dear Hunter, un po' per il carattere schivo e laconico del frontman e mastermind della band Casey Crescenzo, non sempre incline a scendere nei dettagli delle sue storie o progetti, a meno che non gli venga chiesto esplicitamente. In questo caso, in occasione dell'uscita di Antimai, è stato molto disponibile in un'intervista che gli ho fatto e che verrà pubblicata nel numero di questo mese di Prog Italia.
Tornando a The Indigo Child alla fine si è capito che andava esclusivamente considerato in funzione di colonna sonora dell'omonimo cortometraggio i quali, insieme, vogliono essere un preludio al mondo in cui è ambientato il nuovo racconto dei The Dear Hunter. Quindi dimenticate la ricostruzione storica degli Acts a cavallo tra fine '800 e inizio '900 e preparatevi ad immergervi in tutt'altro contesto: un mondo fantascientifico e alieno chiamato Antimai. Un'altra cosa da specificare è che al momento è troppo presto per parlare di "storia" poiché l'album Antimai non si occupa di sviluppare una trama o presentarci dei personaggi, ma è un gigantesco "world building" introduttivo, che ci descrive i vari settori / compartimenti / distretti o più semplicemente "anelli" nei quali Antimai è suddiviso. Ognuna delle otto tracce dell'album è dedicata ad un anello e il suo compito è di descriverci: come è organizzato socialmente e culturalmente, il tipo di cittadini che lo abitano, il loro modo di vivere e soprattutto farci conoscere la funzione religiosa che assume il culto dell'Indigo Child. A giudicare dai sottotitoli delle canzoni e dalla loro posizione in ordine decrescente nella tracklist è ovvio che ci troviamo di fronte ad un mondo suddiviso con un criterio molto simile a quello delle caste, ma ciò che fa la differenza sono i testi immaginifici di Crescenzo, basati su un background che nella sua testa è già completo nel dettaglio e per questo ancor più meritevole di essere esplorato.
La fantascienza per Crescenzo non è altro che un mezzo per una critica religiosa/sociale ambientata in un mondo futuristico e al tempo stesso grottesco, che quasi ambirebbe ad un connubio tra la bizzarra distopia di Brazil di Terry Gilliam e la saga epica Fondazione di Isaac Asimov. Naturalmente, proprio come accaduto per gli Acts, tutto ciò sarà sviscerato in più capitoli negli album successivi e, dato il carattere sci-fi del racconto, non si può non pensare ad un parallelismo con i Coheed & Cambria. Ma a questo punto arrivano le sorprese perché i The Dear Hunter si reinventano anche musicalmente, rimanendo di base prog, ma immergendo il genere in un contesto funk, R&B e fusion, dando un importante spazio alla sezione fiati (sassofoni e trombe) che è come fosse parte integrante della band.
Non so se sapete, ma Crescenzo negli ultimi anni ha dichiarato spesso di essere influenzato dagli Electric Light Orchestra, esprimendo il suo apprezzamento per il modo di comporre di Jeff Lynne. Ecco, Antimai non assomiglia proprio alle cose degli ELO, ma è come se quel gusto melodico pop barocco di Lynne che gli ha permesso di scrivere pezzi intramontabili si fosse associato al trascinante rock da big band dei Chicago, riletto con un'attitudine prog espressamente americana. Ma se di base le premesse sono queste, l'album in realtà vive immerso in una moltitudine di colori e timbri sonori che vanno a rispecchiare la sua natura episodica, dando ad ogni brano la propria identità. Antimai è tutto quello che ci si potrebbe aspettare dai The Dear Hunter e anche di più, mostrando ancora una volta l’eclettismo del gruppo nella maestria dell'arrangiamento che usufruisce di una gamma strumentale così ampia e densa da renderlo un corollario di studio per composizione musicale. In tale prospettiva si ricollega leggermente al concept da "esplorazione di generi" che fu The Color Spectrum.
Ring 8 - Poverty inizia come una sinfonia moderna per percussioni assortite, fiati e cori, tutti elementi che ritroveremo durante il percorso declinati nella più vivace e creativa soluzione che vi possa venire in mente. Il dipanarsi della canzone è un susseguirsi di dolci melodie in una versione pop prog dei primi Utopia di Todd Rundgren, rivisitata però in chiave moderna e futurista. Un po' lo stesso trattamento riservato a Ring 7 - Industry, tra groove di bassi synth, bassi elettrici e ritmica da discomusic anni 70, che ne fanno il pezzo più accessibile e ballabile di tutto il disco. Ring 6 - LoTown è il primo brano ad assumere le sembianze di un struttura prog, fatta di crescendo e deviazioni strofiche che conducono comunque ad un chorus che si ripete e dove l'elettronica dei synth è più presente. Ring 5 - Middle Class ritorna su quel vezzo di Crescenzo di adattare stili popolari americani (in questo caso il tex mex) ad un'estetica prog satura di polifonie vocali e armonie solari. Ma nei suoi oltre otto minuti Ring 5 si trasforma e si modifica, attraversando parentesi space pop con intermezzi rhythm and blues e gospel, in pratica un tripudio di versatilità della quale i The Dear Hunter più di una volta hanno dato prova.
Ring 4 - Patrol riprende la cellula tematica del breve strumentale Disruptor Shpere presente nell'EP The Indigo Child e ci tira fuori un funk a metà strada tra slapstick boogie e funk orchestrale. Ring 3 - Luxury è una mini suite che può essere suddivisa in due movimenti: la prima parte batte un territorio inconsueto per la band, presentandosi con un aggressivo e tribale spoken word che porta ad un chorus in piena modalità funk. Questa sezione si spegne lentamente e, come una cesura, la seconda parte ci introduce a percussioni caraibiche e un'atmosfera esotica e ballabile da sunshine pop anni 60, che a livello di approccio è la perfetta antitesi di quanto ascoltato prima. A parte il massiccio uso di fiati, del quale si è già accennato, altro elemento chiave del "nuovo" sound dei The Dear Hunter da segnalare sono le percussioni idiofone, come marimba e xilofono, che costellano tutto l'album, ma prendono un ruolo preponderante su Ring 2 - Nature la quale amplifica nel modo più gioioso e strumentalmente vivace gli elementi stilistici della seconda parte di Ring 3. Che dire infine di Ring 1 - Tower? Pezzo pazzesco nel quale il gruppo riversa tutta la propria competenza esecutiva e istinto musicale. L'impostazione è come un incrocio soul funk anni 70 condito con break di fiati mozzafiato, polifonie vocali, contrappunti prog e intermezzi space sinfonici. Alla fine non stupitevi per la brusca interruzione che conclude l'album perché è un trucco voluto che si collegherà direttamente al prossimo capitolo già in lavorazione e che forse uscirà il prossimo anno.
Avevo delle riserve su quello che sarebbe potuto essere Antimai, ma ancora una volta i The Dear Hunter hanno superato ampiamente le mie aspettative con un disco spettacolare sotto ogni aspetto. Penso che basti questo come sunto per descrivere il mio pensiero su Antimai, ci sono voluti sei anni per arrivarci ma alla fine l'attesa è stata ripagata.
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