domenica 21 ottobre 2018

Esperanza Spalding - 12 Little Spells (2018)


Dopo aver pubblicato Emily's D+Evolution due anni fa deve essere scattato qualcosa in Esperanza Spalding, dato che da allora si è impegnata in progetti sempre più ambiziosi e "a tema" per così dire, sempre più tesi alla ricerca di spingere le proprie possibilità e alla sperimentazione. La prima prova in un campo nuovo risale all'anno scorso quando la bassista si chiuse in studio per 77 ore filate, comprensive di diretta streaming, registrando quello che poi è diventato Exposure. Adesso con 12 Little Spells tenta qualcosa di analogo a livello di improvvisazione e che questa volta si estenda oltre la musica.

Ancora facendo affidamento sui numeri, i 12 incantesimi sono anche la quantità delle tracce incluse nel disco, ognuna delle quali si riferisce ad una parte ben precisa del corpo umano e alle proprietà spirituali, di potere ed energia, legate ad esse. Un lavoro che non si risolve solo sul piano musicale ma anche su quello visivo, dato che la Spalding per dare una dimensione totale all'opera ha collaborato con la visual artist Carmen Daneshmandi, il direttore teatrale Elkhanah Pulitzer e il videomaker Ethan Samuel Young, legando ad ogni canzone un video corrispondente che poi la musicista ha realizzato tramite il proprio sito ufficiale, uno alla volta, ogni giorno a partire dal 7 ottobre.

Ad ascoltare 12 Little Spells si ha la sensazione che la maggior parte del materiale sia stato improvvisato ed infatti la Spalding ha gettato le basi per l'album proprio in Italia all'interno di un castello con i suoi musicisti per poi registrare il risultato in due settimane a Brooklyn. L'ispirazione parte dalla pratica spirituale giapponese del Reiki che prende spunto dall'energia interiore del corpo per guarire le nostre emozioni negative, fino ad arrivare alla Psicomagia di Alejandro Jodorowsky che invece cerca di sanare i traumi psicologici tramite l'uso dei tarocchi.

Partendo dalla title-track che utilizza l'orchestra in modo suggestivo per aggiungere una parvenza di linearità, l'album si addentra ben presto in un sentiero di indeterminatezza formale, palesando la sua vera natura di aleatorietà musicale nel seguire più la parola cantata che una vera e propria struttura. L'opera si traduce così in una sorta di flusso di coscienza strumentale che funge da trampolino per quello che la Spalding ha da dire (o meglio da cantare), accentuando tali caratteristiche e divenendo sempre più ostico mano a mano che ci si avvia verso la parte finale. Sicuramente, nel mostrare le possibilità della sua idea di improvvisazione impressa su nastro, la Spalding dimostra in questa nuova incursione nell'art pop sperimentale, se possibile, ancora più coraggio che su Exposure. Il suo percorso di unire pop e jazz si fa quindi sempre più simile all'intellettualismo di Joni Mitchell, il cui spirito aleggiava già nelle canzoni di Emily's D+Evolution.

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