mercoledì 10 ottobre 2018

Coheed and Cambria - Vaxis – Act I: The Unheavenly Creatures (2018)


Chiusa e aperta in un batter d'occhio la parentesi di The Color Before the Sun, unico album nella discografia dei Coheed and Cambria slegato alla saga The Amory Wars, il gruppo guidato mente, chitarra e voce da Claudio Sanchez ritorna alla forma concept per quello che si appresta ad essere il primo capitolo di un'altra parte della storia ampiamente sviluppata (anche in una serie di fumetti) e già detentrice di una vastissima mitologia. Quindi, dopo la sbornia epico fantascientifica portata avanti per ben sette album, i Coheed and Cambria con l'ottavo The Color Before the Sun avevano deciso intenzionalmente di prendersi una pausa anche a livello musicale dalle complesse strutture epic metal, alleggerendo e allentando le arie da rock opera in favore di un alternative rock dai tratti quasi pop punk.

La decisione ha avuto vita brevissima poiché adesso The Unheavenly Creatures si spinge in una direzione opposta su tutti i fronti. Prima di tutto la durata: Vaxis è un album lungo (80 minuti!), troppo lungo. Una percezione amplificata dal fatto che il suo contenuto non aiuta affatto a farlo percepire scorrevole e "leggero". Certo la "leggerezza" è una cosa che non si può chiedere ai Coheed and Cambria e non mi riferisco alla musica, ma a quel senso di gravosa epicità che da sempre risiede intrinsecamente nelle loro composizioni. Il quartetto americano ha attraversato varie fasi, la cui progressione, tra alti e bassi, li ha portati a toccare varie sfumature stilistiche comprese tra prog emocore, epic metal, AOR, rock opera, rimanendo comunque sempre ben riconoscibili. Per dirlo in breve: è incredibile come nella loro carriera i Coheed and Cambria siano stati capaci di scrivere pezzi dalle caratteristiche che possono abbracciare umori metal agli antipodi, tanto oscuri e apocalittici un attimo prima, quanto zuccherosi e aperti al pop metal quello dopo.

E qui si arriva al secondo punto. Nella sua densità Vaxis – Act I: The Unheavenly Creatures riesce a comprendere tutto questo spettro estetico: dai riff doom di The Dark Sentecer fino ai coretti "nanananaaaa" di Old Flames. Nonostante ciò l'opera nona dei Coheed non è un viaggio esente da confusione e rischio di perdersi, anche dopo svariati ascolti. Questo perché l'abbondanza di materiale accentua la difficoltà di riconoscere dei nuovi classici o comunque qualche cosa che rimanga impressa. Tutto si risolve in una piattezza asettica che forse salva giusto le lodevoli Love Protocol e The Pavilion (con un bell'inserimento di orchestra), nelle quali si ritrova lo spirito dei Coheed più genuini. Quanto detto apparirà paradossale per un album che sembra essere l'equivalente di un ampio catalogo di inediti che riassume una carriera quindicennale, ma a The Unheavenly Creatures manca quell'eclettismo e la sana voglia di ricercare nuove sfumature che, ad esempio, avevano provato con più efficacia nei due volumi di The Afterman.



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