Avendo già parlato diffusamente in passato della mitologia creata dagli Sleep Token (ricordo che altprogcore è stato tra i primissimi a presentare il gruppo, quando ancora era sconosciuto ai più), salterei direttamente i convenevoli e andrei subito ad occuparmi di Take Me Back to Eden, terzo album a quanto pare attesissimo. Sì, perché dal precedente This Place Will Become Your Tomb il culto Sleep Token si è allargato a dismisura fino a sfociare di recente ad un vero e proprio hype. Con una indovinatissima e fortunata campagna promozionale iniziata i primi giorni di gennaio con l'uscita in contemporanea dei singoli Chokehold e The Summoning, nel giro di dodici giorni la band inglese ha triplicato i suoi ascoltatori su Spotify e da quel momento la sua marcia non si è più fermata, incassando pure l'endorsement di Demi Lovato attraverso il suo profilo Instagram.
E' ovvio che, se si parla di Sleep Token, si parla di alt metal, djent e prog, generi non proprio per tutti i gusti, ma la natura peculiare del gruppo, improntata su uno stile trasversale e ibrido che spesso e volentieri filtra il suo messaggio servendosi di canoni appartenenti alla sfera pop, lo ha reso appetibile ad un pubblico più vasto. Take Me Back to Eden sembra l'album perfetto per mantenere questo status crescente di nuove superstar del metal alternativo. Se la prima opera Sundowning era la perfetta sintesi di questa estetica incastonata tra potenti groove djent e languidi passaggi da ballad r&b, la seconda This Place Will Become Your Tomb andava ad evidenziare i limiti di certi aspetti della loro proposta, perdendosi nell'inseguire una maggiore accessibilità pop poco convincente.
Con questo terzo capitolo gli Sleep Token si impegnano su un duplice fronte: consolidare con equilibrio i due aspetti di cui sopra e portarli entrambi allo stadio successivo dell'evoluzione accentuandone i connotati. Per conseguire tale compito la band si appoggia come sempre sui ricercatissimi arrangiamenti per caricare la parte emozionale e sulla produzione per aumentarne i dettagli, con sonorità che vogliono annullare sempre di più i confini tra metal e pop. Diciamo che questi aspetti erano presenti anche in passato, ma mai spinti al limite come adesso. Chokehold - con le sue bordate djent e quella inflessione hip hop nella cadenza ritmica che irrompono all'avvicinarsi del breakdown - rimane sostanzialmente una ballad soul trasfigurata da sonorità oppressive, sinistre e metalliche. The Summoning è allo stesso tempo un pezzo accattivante (per il suo chorus crescente) sia audace nella sua ardita multitematicità che non si risparmia nulla: intermezzi di feroce blackgaze, spaziosità ambient e repentina coda finale in odore di gospel.
Granite e Aqua Regia sono due episodi più contenuti che si prendono l'incarico di approfondire i legami con la black music, in particolare con il nu soul, l'r&b e l'hip hop. Naturalmente calati nelle dinamiche degli Sleep Token di questi stili ne vengono a galla solo le stigmate riconoscibili, come l'uso dei beat elettronici, le progressioni di accordi (specie su Aqua Regia) e l'inflessione nel cantato di Vessel. Già con queste prime quattro tracce Take Me Back to Eden si mostra come un album conflittuale nell'alternare velleità inclusive e sperimentali e aspirazioni neanche tanto velatamente mainstream. Il paradosso lo si raggiunge quando queste due strade vengono portate all'estremo, prima nel caos devastante di Vore, il pezzo più violento scritto dal gruppo nonostante smorzato da qualche guizzo melodico, ed in seguito con il pop minimale di DYWTYLM. Qui non si capisce bene cosa gli Sleep Token vogliano dimostrare se non spiazzare o provare a spingersi all'eccesso per testare le proprie capacità di scrivere possibili hit da classifica. Il problema è che DYWTYLM è un pezzo debole anche se giudicato nel suo ambito, sembra una canzone brutta dei The 1975 e calata in questo contesto, oltre che apparire fuori luogo, ottiene l'effetto di aumentare il cringe per una band di tizi mascherati che cantano di storie d'amore per adolescenti.
Dopo il paradosso il punto di rottura lo raggiunge Ascensionism, per il quale, nel momento in cui parte la sezione "rappata", avrei spaccato volentieri le cuffie in due. Con questo dettaglio penso di essere già stato abbastanza esplicito sul mio pensiero e un po' dispiace, perché nei suoi sette minuti la canzone offre anche qualche sprazzo di gusto, ma la versione gangsta di Vessel mi pare un passo troppo azzardato, anche per gli standard degli Sleep Token e qui viene sfiorato l'imbarazzante. Se la band vuole uscire per un momento dai propri modelli, in questo caso è più convincente nel pathos in crescendo che sa infondere a delle ballad canoniche come Are You Really Okay? e soprattutto Euclid, avvolta da luminosi accordi di piano, melodie solari ed emozionanti power chords da arena rock che irrompono nella idillica atmosfera per aggiungere solennità ad un pezzo giustamente posto in chiusura.
The Apparition è un compitino in sottrazione costruito sulla falsariga della formula collaudata degli Sleep Token - build up iniziale e breakdown a seguire - ma caratterizzata da una orrenda drum machine per rap di serie B e da una scrittura ed esecuzione svogliate. E' il momento dell'album in cui capisci che gli Sleep Token non sono immuni dallo scrivere un brano anonimo. Ad esempio anche Rain, seppur molto superiore a The Apparition, non possiede quella forza necessaria per essere abbastanza memorabile e rischia di cadere nella stessa categoria. La title-track si dipana per otto minuti ed è quella che nel disco assomiglia più alla forma di rituale molto cara agli Sleep Token, tanto melodrammatica nella costruzione dei suoi molteplici climax quanto vacua a livello strutturale e melodico.
In totale Take Me Back to Eden contiene alcune tra le cose migliori realizzate negli anni dagli Sleep Token, però in qualche misura anche le cose più deboli ed inconsistenti. Per queste falle non è quel capolavoro impeccabile di potenziale consacrazione che molti si aspettavano (anche se ormai credo la raggiungeranno), ma è di sicuro un deciso passo in ascesa rispetto a This Place Will Become Your Tomb pur non raggiungendo, per questa sua precarietà tra due fronti, la perfezione di Sundowning.
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