sabato 15 aprile 2023

HMLTD - The Worm (2023)


Curioso come un tempo qualsiasi cosa si avvicinasse anche lontanamente al progressive rock veniva massacrata e liquidata dalla critica come anacronistica spazzatura per nostalgici privi di gusto musicale. Oggi invece tutto è cambiato: basta che un artista si metta in testa di adornare il proprio retaggio (meglio se post punk) con espedienti barocchi, sperimentali o che, più in generale, lo portino fuori dagli schemi tradizionali ed il coro di consensi è quasi automatico. Questo tipo di "rivalutazione" fa molto piacere e ancor di più notare nelle recensioni il termine "progressive rock" associato a band che riescono ad uscire dai confini del mero culto e utilizzato senza la sua solita accezione negativa. Ma quanto di tutto ciò sia un fenomeno spontaneo o dovuto alla moda del momento è un mistero... o forse no.

Prendete ad esempio il secondo album dei londinesi HMLTD, The Worm: non ha fatto in tempo ad essere pubblicato una settimana fa che immediatamente ha raccolto unanimi giudizi positivi ed entusiasti. La parabola e il filone stilistico della band ricade in modo attiguo alla recente fioritura di quell'avanguardia inglese art rock e post prog già ampiamente documentata da Black Midi, Black Country New Road, Squid a cui piace flirtare con elettronica, math rock, jazz, neo classicismo.

L'ambito e la dinamica sui quali hanno operato gli HMLTD sono simili: partiti con un album d'esordio (West of Eden) che tendeva a sfoggiare un certo eclettismo tra post punk, new wave, glam rock conditi con un pizzico di teatralità e modernismo, adesso con The Worm il gruppo di Henry Spychalsky (frontman e autore) si distanzia considerevolmente da quei parametri e, dopo due anni di lavoro, rivolge la propria ambizione su un livello estetico differente. Gli HMLTD si presentano con un insolito concept album/rock opera riguardo l'allegoria di un verme gigante che imperversa in un medioevo inglese alternativo e distopico, cibandosi di tutto ciò in cui si imbatte. Un simbolismo che Spychalsky utilizza come metafora dei mali che consumano la società moderna, dalla depressione alla struttura politica autoritaria che opprime il popolo.  

Coinvolgendo una sezione archi di 16 elementi, un coro gospel e il piano di Seth Evans (dei Black Midi) entrato nella formazione nel 2021, il gruppo imposta l'atmosfera del racconto con un'interpretazione a metà strada tra la tragedia greca e il musical decadente. Il prologo è veramente promettente, servendosi di una breve introduzione a cappella (Worm's Dream) si è catapultati subito nel caos del free jazz sincopato di Wyrmlands, che ovviamente non può non ricordare i Black Midi, ma anche il David Bowie dark di Outside. Poi si insiste su una visione solenne e corale con il folk neo soul anarchico di The End is Now, ma con la ballad per piano Days l'album prende una piega più intima e autoriale, caratterizzato da velleità aristocratiche come il chamber art rock dei These New Puritans (Liverpool Street) e la sfarzosità operistica che prende il sopravvento sul rock per inseguire una sorta di Gesamtkunstwerk wagneriana (la title-track). 

Il nucleo centrale di The Worm si rivela quindi una narrazione in musica più vicina all'opera teatrale da camera che non ad un lavoro di avant-grade rock, anche nel modo in cui vengono affrontati il crescendo di Saddest Worm Ever, trasfigurato passando dal ritmato crooning ad un collettivo e disperato canto glam rock, e il veloce swing pianistico Past Life (Sinnerman's Song) ispirato a Nina Simone. Non che tutto questo costituisca un male, però riveste un tale aspetto nella messa in scena che la musica talvolta si ripiega nel peso della sua stessa pretenziosità. Dalle premesse mi aspettavo di ascoltare un nuovo capolavoro di prog rock moderno, molto più realisticamente The Worm è un'opera che tende a valorizzare in modo pronunciato tanto gli arrangiamenti che non la composizione in sé. Ma questa sua lodevole ricerca della complessità e dell'artificio, in qualche aspetto si rivela, nella resa finale, un'arma a doppio taglio.

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