Una serie di coincidenze mi portano a scrivere questo "articolino" su un album uscito ormai da quasi un anno, ma l'argomento, come vedrete è un pochino più ampio. Le coincidenze sono che sto scrivendo in questi giorni una monografia su La Maschera di Cera che finirà sul prossimo numero di
Wonderous Stories. Poi, qualche giorno fa, mi è capitato di leggere una
dura lettera di Fabio Zuffanti (il bassita e leader del gruppo), della quale sono rimasto colpito, pubblicata nel sito web del giornale
La Repubblica Veneta. Infine le parole di Zuffanti mi hanno fatto ripensare a varie considerazione che già avevo fatto in passato, anche su questo blog.
In breve, l’assunto dell’amara e appassionata invettiva del bassista, è una lucida critica nei confronti di radio e TV che promuovono in modo esclusivo e continuo gli stessi artisti italiani, penalizzando e ignorando inevitabilmente una quantità enorme di altri musicisti nostrani altrettanto meritevoli. Logicamente, nello sfogo di Zuffanti, viene rivendicato che tutti questi artisti dovrebbero avere la possibilità di essere ascoltati, di modo che sia il pubblico a fare la propria scelta. Ma oltre a ciò che viene sostenuto, nella lettera si potrebbero cogliere dei riferimenti alle scelte intraprese da La Maschera di Cera con l’ultimo lavoro in studio (
Petali di Fuoco), dove il gruppo imposta le proprie composizioni su strutture meno complesse e più brevi del solito. Tale direzione magari non collimerà esattamente con l’idea comune di ciò che è da ritenere “radiofonico” (leggi “commerciale”), ma sicuramente passabile in radio visto il formato conciso.
Come osservazione personale aggiungerei che oggi il pubblico è assuefatto e passivo nei confronti di ciò che gli viene proposto dai media e quella curiosità che gli permetterebbe di ascoltare anche altro è andata persa nei gorghi dell’apatia che spesso trasmette la nostra società. Nell’articolo viene a galla un altro punto ribadito fugacemente da Zuffanti e cioè che progetti come quello de La Maschera di Cera, paradossalmente, riescono a riscuotere più successo e interesse all’estero che in patria. È incredibile come si siano rovesciate le cose, poiché negli anni ’70 sarebbe accaduto esattamente l’opposto.
Certo è che i media ci mettono del loro. Un altro esempio che mi viene in mente è quando RaiDue trasmetteva quei speciali di un'oretta sulla musica degli anni '60/'70 e magari pensavi: "dai che stavolta fanno qualcosa sui Pink Floyd, o fanno vedere qualche apparizione della PFM, o magari quella bella
intervista ai Gentle Giant realizzata dalla Rai quando ancora era una televisione seria". (quest'ultima opzione è chiedere troppo, lo so). E invece ti ritrovi a guardare il cinquantamillesimo documentario su quante volte sono andati in bagno i Beatles nel 1967. Basta, vi prego, con i Beatles! La gente ha il diritto di sapere che in quegli anni esistevano altri gruppi!
Sempre in tema di sovraesposizione mediatica vorrei anche aggiungere agli aneddoti di Zuffanti un altro caso di sfruttamento gratuito di un evento per farsi pubblicità. Si sa che in questo agonizzante mercato discografico bisogna sempre inventarsene una per promuovere il proprio lavoro. C'è chi modestamente si coltiva il suo orticello - fatto di passaparola, album scaricabili gratuitamente, internet e concerti a raffica - e lotta per sopravvivere. C'è invece chi, non contento/a di essere una pop star già affermata, si fa mettere incinta da qualcosa o qualcuno, rompe le balle per nove mesi con continui gossip sul nascituro (tipo l'appassionante quesito "chi sarà il padre?" Forse lo Spirito Santo?) e poi, per pura coincidenza, quando nasce il pargolo/a è pronto pure l'album che, guardacaso, puntualmente schizza primo in classifica. Ma guarda un po' te! Sicuramente non c'è dietro nulla di studiato a tavolino e sono io il cinico a pensar male (che si fa peccato, ma ci si indovina quasi sempre).
Tornando ai Maschera di Cera, c'è da dire che ci avevano abituati a imponenti suite con il sapore e le sonorità del progressive rock degli anni '70. Ora, non diciamo che
Petali di Fuoco sia l’album della svolta, ma presenta importanti novità. Come l’aggiunta della chitarra di Matteo Nahum e naturalmente quella decisa sterzata in direzione di una forma leggermente semplificata di cui parlavamo all’inizio. Ma possiamo stabilire che ciò comporta solo un cambio di prospettiva nella musica del gruppo, poiché le caratteristiche peculiari del suono rimangono invariate e l’intro di organo Hammond di
Fino all’Aurora è lì a dimostrarlo. Oppure valga anche il catalogo di tastiere de
Il Declino, dove Agostino Macor è l’indiscusso protagonista, cosa che prosegue nella successiva
Phoenix che ne sembra una sorta di coda strumentale.
Le reminiscenze progressive si colgono nelle melodie, come sempre nella tradizione dei gruppi seventies, ma soprattutto negli intermezzi strumentali. L’inganno, ad esempio, abbina un motivo che dall’inizio instaura un’atmosfera misteriosa grazie all’incedere minaccioso del basso di Zuffanti, ad una sezione strumentale con piano e flauto che va in crescendo con l’entrata della chitarra elettrica. Petali di Fuoco è quindi un lavoro ben equilibrato che dà spazio a tutti i musicisti e a tutte le sfaccettature della musica italiana, non diciamo limitatamente “progressive”, ma più ampiamente “pensante”.