domenica 9 marzo 2025

Steven Wilson - The Overview (2025)


Facciamo un gioco. Proviamo ad immaginare che Steven Wilson dopo The Raven That Refused to Sing non si sia mai distaccato dal progressive rock, che non si sia mai fatto tentare dal pop con velleità sofisticate (To the Bone, The Future Bites) o da un solipsismo tracotante ed eclettico che ha generato cose più apprezzabili ma tuttavia che rasentano l'esercizio di stile (The Harmony Codex, Hand.Cannot.Erase). Per quanto un artista senta il bisogno di cambiare traiettoria, per quanto abbia tutto il diritto di sentirsi libero di cimentarsi in altri ambiti stilistici, ci sarà sempre un legame in cui si sente a proprio agio e gli permette di essere più ispirato, in pratica di "ritornare a casa". Il fine del gioco è realizzare definitivamente che, quando si parla di Steven Wilson, questa caratteristica venga più in evidenza e con The Overview ha preso di nuovo il sopravvento.

Non ho mai fatto mistero della mia personale "antipatia" per il corso intrapreso negli ultimi anni da Wilson e non perché ritengo che debba dedicarsi esclusivamente al progressive rock, solo che ho sempre avuto l'impressione che con altri stili non riesce a connettersi a dovere e produrre qualcosa di convincente. Il suo nuovo album presenta solo due lunghe suite, ispirate non tanto a un concept quanto all'idea dell' "effetto della veduta d'insieme" ("The Overview" appunto), ovvero una particolare condizione di cambiamento cognitivo riscontrato negli astronauti che, una volta nello spazio, realizzano come la Terra sia un piccolo e fragile pianeta dove tutto ciò che è stato nel tempo costituito dall'uomo (conflitti, confini, religioni, ecc.) diventa all'improvviso insignificante di fronte alla precarietà del nostro pianeta fluttuante nell'universo. Una variante del discorso sul "Pale Blue Dot" di Carl Sagan in pratica.

L'intrigante premessa tematica si riflette nella musica più ispirata creata da Wilson dai tempi di Grace for Drowning a questa parte. Finalmente si sente scorrere linfa nuova nell'uso della sua voce (con tutti i limiti che si porta dietro), nel ricorso a multistrati vocali sfruttati in modo creativo, così come inconsueti timbri di tastiere e chitarre elettriche i quali, è vero che richiamano le asprezze di Yes e King Crimson, ma assumono una personalità tutta propria nel contesto sonoro.

La prima parte - Object Outlive Us - mette in prima linea il piano acustico e i temi musicali vengono sviluppati e impiegati forse in modo ridondante, ma in generale piacevolmente. Insistenti cori marziali si scontrano con cadenze reiterate minimali, come nel pop dei Field Music, ma allo stesso tempo imponenti e psichedeliche come nei Knifeworld. La parte strumentale che inizia circa dopo 14 minuti dall'inizio è tra le cose più interessanti prodotte da Wilson negli ultimi anni, una jam in cui si insinuano chitarrismi alla Steve Howe e Robert Fripp, mentre il groove ritmico spinge senza sosta.

Sulla title-track ritorna l'amore per le ritmiche elettroniche breakbeat, retaggio dei primissimi Porcupine Tree degli anni '90, quando Wilson era affascinato dai suoni IDM dei The Orb e dei Future Sound of London. La parte che segue forse è l'unico punto debole di tutto l'album, modellata come una più che ordinaria ballata per chitarra e piano, svogliata come un pezzo di David Gilmour, dimenticabile come una b-side di british pop. Il resto è una costruzione di suoni e accordi di tastiere avvolgenti che sfiorano la muzak e la fusion, dove si respira veramente del prog accattivante, soprattutto nelle varianti degli assoli che si susseguono, tra chitarre, synth e tastiere. Il tutto si chiude con lunghe note ambient di tastiere che sembrano provenire dal progetto collaterale Bass Communion.

Con The Overview Steven Wilson sembra perseguire un proprio ideale su grande scala alla Mike Oldfield, dove a tratti compaiono stratificazioni strumentali e architetture sonore che lasciano da parte l'ambizione in favore di un'organizzazione strutturale focalizzata su un fluire coerente e ben collegato. Al di là di tutte le voglie di peregrinazione stilistica che si è potuto togliere Wilson come artista, in definitiva si sente che è questo che deve perseguire e che gli riesce meglio. Intendiamoci, The Overview non è un capolavoro, ma almeno in questo caso la componente sonica e timbrica funziona meglio che altrove e possiede un sapore nuovo, svolto in modo molto più efficace rispetto agli album precedenti, strombazzati dall'autore all'epoca quasi come produzioni che sondavano territori musicali inediti, quando in realtà, con il senno di poi, non hanno lasciato un granché.

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