http://mercurytree.net/
giovedì 31 marzo 2016
The Mercury Tree - Permutations (2016)
http://mercurytree.net/
martedì 29 marzo 2016
YUGEN - Death by Water (2016)
Stilisticamente diviso su due fronti, uno più aggressivo e l’altro più pacato, il disco ritorna ad una matrice rock da camera che ingloba le avanguardie classiche del Novecento. Ma questa volta, insieme a Stravinsky, Schoenberg, Univers Zero, tra coloro che hanno ispirato la direzione, in un certo senso estremista, di Zago va aggiunto il nome di Conlon Noncarrow e i suoi esperimenti compiuti sul ritmo e sull’autopiano ai limiti dell’abilità esecutiva. Si arriva quindi ad una concezione lacerante di atonalità e cacofonia su Cinacally Correct, Undermurmur e as-a-matter-of-breath dove ogni strumento sembra disgiunto dall’altro, creando però un’unita caotica e convulsa. Anche il lato quieto offre delle soluzioni mai scontate, andando oltre l’accessibilità che poteva trasparire da un brano come Cloudscape: l’astrattismo autunnale della title-track che non suggerisce temi, ma solamente dinamiche aleatorie, o la crepuscolare As It Was, cantata dalla Di Falco, che risplende di pallidi riflessi canterburiani. Come nota a margine un plauso anche all’altra cantante (termine riduttivo) coinvolta, la bravissima Dalila Kayros che con i suoi interventi sporadici ma incisivi, tra l’improvvisazione vocale e la ricerca timbrica, aggiunge a Der Schnee e Cinacally Correct una qualità trascendentale.
venerdì 25 marzo 2016
RARE FUTURES - This is Your Brain on Love (2016)
Deve essere davvero frustrante per un musicista avere un album pronto, o almeno quasi completato, e tenerlo in attesa per più di un anno. Non so proprio come abbia fatto Matt Fazzi ad aspettare così tanto tempo per deliziarci con This is Your Brain on Love. Un breve riassunto per chi non sapesse di cosa sto parlando: Matt Fazzi inizia a suonare più di dieci anni fa come chitarrista con i Facing New York ed in seguito con i Taking Back Sunday, per poi fondare la propria band dal nome Happy Body Slow Brain ed esordire nel 2010 con l'album Dreams of Water. Durante la preparazione del progettato secondo album di questi ultimi, iniziata nel 2011, si unirà ai A Great Big Pile of Leaves, impegnandosi anche in vari tour sempre in qualità di chitarrista con Atlas Genius, Into It. Over It., RX Bandits e The Dear Hunter.
Il tempo intanto passa e, all'inizio dell'anno scorso, il nuovo LP degli HBSB sembrava pronto per prendere la via del mondo, confermato da un annuncio ufficiale. Nonostante ciò, concluso il 2015 non c'era stata alcuna traccia degli Happy Body Slow Brain. Poi l'inaspettata sorpresa a inizio 2016 con il cambio di nome in Rare Futures, una line-up parzialmente rinnovata e l'album che ora finalmente potete ascoltare che contiene praticamente i brani che appartenevano già da molto tempo al repertorio live degli Happy Body Slow Brain e proseguono degnamente la linea tracciata da Dreams of Water.
This is Your Brain on Love rappresenta quindi, tecnicamente, la tanto attesa seconda prova degli Happy Body Slow Brain, ovvero un'altra collezione di groove rock d'eccellenza con Fazzi e compagni che giocano sulla linea sottile che si staglia tra l'accattivante melodia che ti si pianta nella testa e la trovata sperimentale, suggerendo riff e ritmiche contagiose mentre i tre procedono con perizie strumentali gustose ed eleganti. Fusion, soul e R&B fanno parte del DNA del gruppo in modo primario, caratteristiche trasmesse dal caldo piano elettrico di Worst Thing I've Ever Done, dal drum 'n' bass di Cool My Mind o le ricche armonie vocali tra Yes e Crosby, Stills & Nash di Reminding Me to Live. Matt Fazzi, che oltretutto possiede un timbro vocale perfetto per questo tipo di musica, lascia spesso che basso e batteria costituiscano l'impalcatura sulla quale cantare e aggiungere i suoi abbellimenti di tastiera o di chitarra.
Ad esempio il singolo The Pressure e Your Past si basano su dei pulsanti groove così densi ed efficacemente trascinanti che da soli basterebbero a sorregere la riuscita del brano. Poi, dall'altra parte, ci sono cose che ricordano l'elettrico funk prog dei Facing New York (Ride the Snake, Mercury [and Opposite Planets]) o esperimenti ibridi con ballate prog come You're An Island e Not Giving Up Yet dove il timbro orchestrale delle tastiere si fa più prominente, ma stabilmente calato in un contesto che si avvicina a stilemi da black music. Da questo punto di vista Hope (con ospite Gavin Castleton alla voce) sarebbe quasi un pezzo electro reggae rock alla maniera degli RX Bandits se non fosse per la coda fusion strumentale. Comunque la mettiate, Happy Body Slow Brain o Rare Futures, Fazzi ritrova qui l'energia sufficiente per una nuova partenza che lo slega dai canoni di qualsiasi altra alternative o indie rock band, plasmando un sound personale e del tutto riconoscibile e molto, molto coinvolgente.
domenica 20 marzo 2016
Magnifici riverberi dal passato: la consorteria dei Levitation
Che bella, magnifica ed esoterica macchina furono i Levitation. Comparsi come una meteora nella scena alternativa inglese con un nome preso in prestito da un album degli Hawkwind, bruciarono troppo in fretta e con un'intensità dal calore fievole che comunque abbagliò come un fuoco coloro che ne furono colpiti. Era il 1989 quando il chitarrista e cantante Terry Bikers per le sue intemperanze fu buttato fuori dagli The House of Love, la band che aveva contribuito a rendere il suo nome conosciuto dalla stampa. Gli umori musicali e le velleità artistiche di Bikers erano estremamente variabili e non si sentiva più a suo agio con gli House of Love (la medesima irrequietezza che poi gli fece abbandonare i Levitation) e quindi creò un gruppo tutto suo.
Seguendo la propria visione, si unì al batterista David Francolini conosciuto durante un tour comune con la band di quest'ultimo, i Something Pretty Beautiful. L'altro fondamentale incontro fu quello con Christian "Bic" Hayes che dal 1989 era diventato il chitarrista dei Cardiacs, il che valse ai Levitation l'importante supporto di Tim Smith come produttore di fiducia. La line-up fu completata dal bassista Laurence O'Keefe e dal tastierista Robert White, riuniti in un quintetto che Francolini definirà "una consorteria di hippie arrabbiati che la pensano allo stesso modo". Dopo aver certificato il loro status di nuovi idoli nella scena psichedelica inglese come uno degli act più brillanti e all'avanguardia, i Levitation implosero lentamente e prematuramente nel 1993 per l'improvviso abbandono di Bikers e con in cantiere un secondo album esplosivo che sicuramente li avrebbe consacrati a dovere, ma che ha visto la luce nella sua forma completa solo lo scorso ottobre e la cui storia ho già raccontato qui.
Lungimiranti quanto basta per attirare a sé l'autorevolezza necessaria per influenzare le successive generazioni di band che poi hanno avuto successo al loro posto, i Levitation rifuggirono gli schemi imposti dalle mode, riuscendo a schivare le etichette stilistiche ben definite, nonostante i continui tentativi della stampa nell'incasellarli in modo alterno all'interno dello shoegaze, nel gothic, nell'alternative o nella psichedelia, forse anche a causa della loro vicinanza a gruppi come All About Eve, Ride, Psychedelic Furs, Spiritualized, Mercury Rev, My Bloody Valentine, Swervedriver o per quelli che influenzarono successivamente come The Verve, Damon Albarn dei Blur e i Radiohead (che ad inizio carriera aprivano i loro concerti). Per essere più chiari Mike Smith, prima talent scout per la MCA e poi direttore generale della Columbia, affermò lapidariamente: "I Levitation sembravano arrivati in cinque minuti al punto in cui i Radiohead impiegarono dieci anni per arrivare." In pratica i Levitation avvicinarono per la prima volta ed in modo convincente il progressive psichedelico con l'alternative rock, anticipando in un certo senso anche l'arrivo del post rock, elemento di cui si ha parzialmente coscienza una volta ascoltato Meanwhile Gardens.
COTERIE
In un'epoca in cui il termine "progressive" pareva dimenticato, i Levitation non solo non rifiutavano tale appellativo, ma era Bikers stesso che suggeriva ai giornalisti "Noi siamo progressive. Abbiamo delle idee.", mentre Hayes si definiva un fan dei Gentle Giant. Terry Bikers, in una delle sue tante deliranti
dichiarazioni che gli valsero l'appellativo di "Bonkers Bikers" ("fuori di testa Bikers"),
fu in realtà il più lucido di tutti nel proclamare sinteticamente al Melody
Maker: "Non abbiate paura di quella parola. Le persone ne sono troppo spaventate. Io non ho imbarazzo a dirlo. Noi siamo una band progressive. Puoi essere progressive senza essere pomposo. Suona come un cliché ma non mi importa - noi siamo una band progressive e lo siamo qui e in questo momento."
La rivelazione arrivò nell'aprile del 1991 con l'EP Coppelia seguito in agosto da The After Ever EP, poi raccolti parzialmente con altri brani nella compilation Coterie (novembre 1991). In quest'ultima si poteva assaggiare anche un esempio delle performance lisergiche live della band con le ipnotiche versioni allungate di Rosemary Jones e Bedlam. In questa prima fase dei Levitation la psichedelia faceva la parte del leone, sia nel raga caleidoscopico Firefly (scelto come singolo) sia nelle fluide spirali pinkflydiane di Smile e It's Time. Ma la vera sorpresa era Squirrel che sottolineava l'estro poliedrico dei Levitation e mostrava virtualmente l'inafferrabilità del loro stile: un incedere da gothic rock alla All About Eve cantato con l'indolenza degli Smiths e con arpeggi di chitarra e tastiere che parevano ricalcare il neo prog dei Marillion, sottolineato ancora di più nel crescente assolo della sezione strumentale.
NEED FOR NOT
Purtroppo, a causa dello scioglimento, a parte i fortunati che assistettero agli ultimi concerti della band, non si fece in tempo a capire la vera natura dei Levitation, con una carriera troncata un secondo prima di toccare l'apice. Meanwhile Gardens - non nella sua versione rimaneggiata e uscita solo in Australia nel 1994 con il cantante Steve Ludwin (a rimpiazzo di Bikers) che conteneva anche brani trascurabili, ma in quella di un album che per la sua mole avrebbe dovuto essere diviso in due parti: Summer e Autumn (tre brani aggiuntivi sono stati pubblicati nell'EP Never Odd or Even) - si sarebbe spinto sonicamente molto oltre Need for Not, accennando ad uno stile personalissimo che si lanciava verso territori chitarristici ossessivi quanto impalpabili, fondando di fatto una nuova concezione per la psichedelia dal carattere prog. Non c'erano gli oceani di suono dello shoegaze, non c'era il dark del gothic rock e neanche l'acidità e i riverberi dello space rock o i colori ammiccanti del dream pop, ma una collisione alterata di tutto questo.
Meanwhile Gardens si collocava in un nuovo spazio proiettato in un universo parallelo, luogo dove sarebbe potuto nascere una nuova forma di post rock, un sentimento e ambizione che non a caso Bikers rimarcò dicendo: "Non ero dove volevo essere musicalmente. Io voglio essere nei Talk Talk." Nulla di questo però si concretizzò, Bikers formò nel 1996 con la sua nuova musa e compagna Caroline Tree i folk psichedelici Cradle, autori del solo Baba Yaga, mentre Hayes, Francolini e O'Keefe ci riprovarono con i Dark Star (ne parlo qui).
Bonus Track:
Qui di seguito un estratto dall'ultimo concerto dei Levitation con Bikers nel maggio 1993 al Tufnell Park Dome, evento che fu l'anticamera dello scioglimento del gruppo, avvenuto poi definitivamente nel 1994. All'inizio del filmato potete sentire Bikers che dice "Levitation certainly are a lost cause as far as I can tell. We've completely lost it, haven't we? Haven't we?", le parole che segnarono il suo abbandono.
Titoli di coda
mercoledì 16 marzo 2016
Il ritorno dei Saosin con "Along the Shadow"
C'era una volta la band chiamata Saosin che fu la prima ad esporre al pubblico il nome di Anthony Green. Dopo l'EP d'esordio Translating the Name, pubblicato nel 2003 e che suscitò un discreto clamore nell'ambiente del post hardcore, Green e la band separarono le loro strade e lui come sappiamo andò a formare i Circa Survive. Nel frattempo i Saosin continuarono a incidere musica, producendo altri due album con il giovane cantante Cove Reber, che venne poi licenziato dalla band nel 2010 poiché gli altri non erano molto contenti delle sue abitudini tabagiste e delle performance vocali del ragazzo che stavano diminuendo di qualità per gli standard del gruppo.
Dopo anni passati a produrre demo e cercare un valido sostituto (ad un certo punto sembrava che fosse interessato anche Tilian Pearson ex Tides of Man e ora nei Dance Gavin Dance), il futuro dei Saosin sembrava incerto. Ma ecco che nel 2012, durante il bis di un concerto, Anthony Green venne raggiunto sul palco dai chitarristi Beau Burchell e Justin Shekosk, riaccendendo in loro la voglia di risuonare i vecchi pezzi insieme a partire dal classico Seven Years. E infatti nel 2014 Green si riunisce ai suoi vecchi compagni per un intero tour, annunciando anche la registrazione di un nuovo album. Ed ecco che oggi l'annuncio ufficiale è che Along the Shadow, terzo LP in studio del gruppo e il primo dopo 13 anni con Green alla voce, sarà pubblicato il 20 maggio, presentato dal singolo The Silver String del quale potete vedere il video qui sotto:
Along The Shadow track list:
1. The Silver String
2. Ideology is Theft
3. Racing Toward a Red Light
4. Second Guesses
5. Count Back from TEN
6. The Stutter Says A lot
7. Sore Distress
8. The Secret Meaning of Freedom
9. Old Friends
10. Illusion & Control
11. Control and The Urge to Pray
www.saosin.com
martedì 15 marzo 2016
Mirán - Mirán (2015)
Con le tante band che presento su altprogcore è difficile rimanere in costante aggiornamento riguardo i loro progressi, soprattutto se appartengono a scene locali e poco conosciute anche nei confini patri (il che, se ci pensate, è oggi un paradosso nell'epoca della globalizzazione della Rete, dove virtualmente ogni band è rintracciabile a livello mondiale). Comunque, ogni tanto è bene andare a controllare se c'è qualcosa di nuovo che bolle in pentola e nel caso dei norvegesi Mirán c'è addirittura un omonimo album di debutto, pubblicato lo scorso agosto, che arriva dopo l'assaggio dell'EP Karate che segnalai ormai quasi cinque anni fa.
I Mirán arrivano dalla scena musicale di Trondheim che, oltre ad essere la casa madre dei Motorpsycho, è anche il quartier generale dei 22, che infatti sono compagni e conoscenti del gruppo, tanto che il chitarrista Magnus Børmark ha dato una mano ai Mirán in fase di produzione. E forse questo impegno è uno tra i vari motivi, insieme al cambio di cantante, per il quale il tanto atteso secondo album dei 22 tarda ad arrivare.
Tornando ai Mirán non vi stupirete se suonano un math prog debitore proprio dei 22, anche se in modo più soft, quanto del pop barocco dei Mew e dei conterranei Rumble in Rhodos. Le strutture dei brani rispondono infatti a dei parametri classici che concedono poco alle variazioni impreviste, tuttavia è rimarcata la peculiarità delle chitarre dai riff sincopati abbinati alle solite ritmiche geometriche e alle voci ad alto registro. Mirán scorre anche piuttosto bene nella sua durata contenuta, non superando i trentacinque minuti, in questo più vicino ad un mini album che ad un full length, in modo da non rischiare un'overdose di prog pop intricato.
domenica 13 marzo 2016
Altprogcore March discoveries, part 2
In questa seconda parte che riguarda le nuove scoperte di questo mese presento tre gruppi dallo stile radicalmente diverso uno dall'altro. Che vi piaccia il pop jazz, il djent o il folk rock, penso che ce ne sia un po' per tutti: buon ascolto!
La scoperta degli Iris Lune è stata mutuata dai talentuosi Mals Totem, band che presentai qui un po' di tempo fa, dei quali due membri (il chitarrista e il batterista) sono confluiti in questo nuovo quartetto guidato dalla cantante Ella Joy Meir. L'omonimo EP d'esordio degli Iris Lune rispecchia un sofisticato electro pop jazz che ha bisogno della giusta decantazione per entrarci in piena sintonia. Nella spirale di brani che crescono d'intensità piuttosto che abbandonarsi al classico gioco di strofa-ritornello, gli Iris Lune non lasciano nulla alla prevedibilità, prendendo elementi da Bjork, Rebecka Tornqvist e in generale dal pop rock scandinavo. I ragazzi provengono dal Berklee College of Music e già questo li qualifica come affidabili.
I Cartoon Theory si auto-definiscono con l'etichetta di "electro ambidjent" ed è abbastanza calzante ad ascoltare questo esordio, Planet Geisha, che assomiglia ad un djent che ha subìto un trattamento futuristico con iniezioni di dance, ritmiche elettroniche e sintetizzatori. Il progetto Cartoon Theory appartiene a Maxime Lathière e Juan Carlos Briceño Sanchez (aka Breeze), ma più che altro è interessante notare la schiera di ospiti che ha preso parte all'album a partire da Travis Orbin alla batteria (Ex Periphery, Sky Eats Airplane, Darkest Hours), per proseguire con apparizioni di Plini, Luke Martin, David Maxim Micic, Mathieu Ricou, Zélie Tible e David Abad Segovia.
Il quartetto Seaons porta il secondo lavoro Aprilis nei territori di un concept album post apocalittico che però non opta per una musica oppressiva, ma rimane su un folk prog rock solare e melodico che richiama gli ampi spazi rurali americani dei dipinti di Albert Bierstadt - che i Seaons hanno utilizzato come cover per l'album - e le atmosfere elettroacustiche debitrici di Half Moon Run, From Indian Lakes, The Dear Hunter.
lunedì 7 marzo 2016
Implicazioni letterarie nel prog hardcore: Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski
Esattamente 16 anni fa, il 7 marzo 2000, veniva pubblicato negli Stati Uniti il romanzo d’esordio di Mark Z. Danielewski, House of Leaves. Precedentemente comparso a episodi e incompleto su Internet, il libro non era quello che si definisce una lettura convenzionale. Esso presentava vari piani narrativi contraddistinti da caratteri tipografici differenti, impaginato con una grafica unica che poteva contenere in modo contrastante poche righe, fitte note, una sola parola, frasi scritte obliquamente, capovolte o da leggere necessariamente con l’utilizzo di uno specchio. Questi espedienti non erano gratuiti, ma funzionali alla storia al fine di immergere ancora di più il lettore nell'atmosfera del libro che si apprestava a diventare un caposaldo della letteratura ergodica (termine coniato dallo studioso norvegese Espen J. Aarseth nel suo testo Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature) che sta a significare un apporto attivo da parte del lettore, uno sforzo affinché la lettura non si esaurisca solo in maniera passiva.
IL LIBRO
Come si diceva, la trama di House of Leaves si dipana su tre livelli che legano i destini degli altrettanti protagonisti ad una misteriosa casa che diventerà il centro delle loro ossessioni. Il personaggio che funge da narratore e collegamento è Johnny Truant, un giovane di Los Angeles dall’infanzia difficile che lavora come apprendista tatuatore e conduce una vita piuttosto dissipata con l'amico Lude tra droghe, avventure sessuali occasionali, l’amore per una spogliarellista e varie paranoie. I fatti che seguiranno, con il ritrovamento di un manoscritto all’interno dell’appartamento nel quale si è appena trasferito, non faranno che amplificarne i deliri. L’altro personaggio chiave è Zampanò, il precedente inquilino (cieco) appena deceduto che aveva condotto e redatto un puntiglioso studio sul film-documentario The Navidson Record, un terrificante reportage sulla casa in questione che ha avuto un successo di culto ed è diventato un fenomeno socio-culturale. Quello che noi leggiamo non è altro che lo scritto di Zampanò messo in ordine da Truant che lo intervalla con note autobiografiche, aggiunte, correzioni e materiale tratto da opinioni e molteplici teorie sul film di altri registi, psicologi, filosofi e studiosi vari. Nella dissertazione di Zampanò scopriamo che The Navidson Record è stato altresì oggetto dei più minuziosi e dettagliati studi in qualsiasi campo accademico e culturale. Come l’ossessione per la casa risucchierà la vita di Truant in un incubo, già dall’introduzione egli ci anticipa che il tutto potrebbe essere frutto della follia di Zampanò perché niente di ciò che è stato scritto sembra avere riscontri nella realtà: nessuna traccia del film o dei numerosi volumi con articoli ad esso dedicati e i personaggi famosi citati all’interno di House of Leaves, interpellati da Truant, non hanno mai sentito parlare di Zampanò o di Will Navidson.
Tornati da un viaggio a Seattle, i Navidson scoprono che la casa non è più la stessa ed ha subìto dei cambiamenti interni con la comparsa di una porta, prima inesistente, al piano superiore nella stanza da letto principale "che però non dà sulla stanza dei bambini, bensì su uno spazio che somiglia a una cabina armadio". Inoltre, alcuni successivi rilievi condotti da Navidson svelano che le misure esterne della casa non coincidono con quelle interne che risultano più ampie. Dopo aver notato altre modifiche, Navidson continua a documentare il tutto con la sua videocamera, scoprendo all’interno della casa lunghi corridoi, interminabili scalinate a spirale in continua trasformazione e smisurate sale con il comune denominatore di sembrare ambienti anonimi, ma infiniti, molto freddi, bui e caratterizzati da un silenzio angosciante. L'unico rumore distinto percepito nelle varie esplorazioni fatte da Navidson è un sinistro ringhio di un non ben precisato animale che proviene dall'ignota oscurità dei labirintici luoghi. Ovviamente la famiglia è impaurita e Navidson decide di coinvolgere nella sua ricerca per capire cosa stia succedendo anche altre persone tra cui il fratello Tom, l’esperto esploratore Holloway Roberts e altri tre compagni tra cui un ingegnere amico di Will, Billy Reston, rimasto paralizzato dopo un incidente di lavoro in India.
LA MUSICA
L'influsso di Danielewski nel gruppo di Anthony Green è proseguito più avanti nell’immagine che richiama visivamente la sinistra e malvagia essenza della casa per accompagnare il singolo b-side The Most Dangerous Commercials del 2008 e creata da Esao Andrews, il pittore che collabora fin dagli esordi con i Circa Survive.
La follia che coglie i personaggi in questi anditi oscuri e gelidi si staglia tra le note della musica mathcore dei The Fall of Troy che in Doppelgänger, sempre nel 2005, dedicano più di un brano al romanzo di Danielewski. Ma, se si eccettuano i titoli, a differenza dei Circa Survive i testi di Thomas Erak si prestano a interpretazioni molto più libere, forse anche dissociate dai temi del libro. Tom Waits non è tanto un gioco di citazioni tra il trio di Seattle e il cantautore che nel suo repertorio ha proprio una canzone dal titolo The Fall of Troy, ma esattamente vuole riferirsi ad un capitolo ben preciso del libro quando Navidson, insieme a Reston, si avventura nella ricerca della squadra di Holloway dispersa tra i labirinti della casa, lasciando Tom da solo ad aspettare (appunto), accampato per tre giorni nella grande sala (o terra di nessuno) e comunicando via radio.
Di Holloway verrà ritrovato solo un confuso nastro registrato che testimonia la sua tragica fine, anticipata da un crollo nervoso che lo porterà alla paranoia. Il caso vuole che nelle pagine del manoscritto dedicate al "nastro di Holloway" sia caduta “una specie di cenere, che in qualche punto ha lasciato dei forellini, in altri ha eroso grossi brani del testo.” È per questo che Truant trascrive e sostituisce le parti mancanti con le parentesi quadre [ ], tanto che quella sezione viene ribattezzata The Hol[]y Tape, titolo poi preso in prestito dai The Fall of Troy per un altro brano.
Terzo e ultimo tributo dei The Fall of Troy al libro di Danielewsky viene dall’esplicito titolo “You Got a Death Wish Johnny Truant?”. Nelle sue logorroiche e verbose note personali, Truant racconta spaccati della propria vita del tutto disgiunti da The Navidson Record e questa è una frase rivolta a lui, il che spiega l'uso delle virgolette.
Era quasi logico che il fascino dell’immaginario e claustrofobico documentario creato da Danielewski influenzasse il mondo musicale, creando poi i presupposti per un’altra relazione. Il frontman dei Biffy Clyro, Simon Neil, che è un altro appassionato di Casa di Foglie, prese in prestito il titolo del secondo romanzo di Danielewski, Only Revolutions (mai tradotto in Italia), per nominare il quinto album in studio della sua band. Lontano dal prog hardcore c’è comunque da ricordare che, quasi in concomitanza con il libro, la sorella di Danielewski, che non è altro che la cantautrice Poe, pubblicò il suo secondo album Haunted pensato e composto come un commento musicale al libro del fratello.
In fondo non stanno poi tanto male insieme... |
sabato 5 marzo 2016
Caspian live @ Audiotree (session #2)
venerdì 4 marzo 2016
Rob Crow's Gloomy Place - You're Doomed. Be Nice. (2016)
You're Doomed. Be Nice., in uscita oggi, è quello che si potrebbe definire un moderno esempio di prog pop contenente piccole canzoni d'autore elaborate con melodie oblique, intermezzi di chitarre acustiche ed elettriche che si intrecciano in arpeggi sincopati, improvvisi stop e ripartenze. Oh, the Sandmakers ne è un mirabile esempio nel costante cullarsi tra ballata singhiozzante e rasoiate elettriche, poi c'è This Distance con i suoi arpeggi sincopati, l'indie rock di Rest Your Soul e Unreliable Narrator nei quali si intrufolano ingerenze math pop. Ascoltando l'album, si ha la sensazione che non sfigurerebbe un'incursione nel noise o nel lo-fi alla maniera di Dinosaur Jr e Sebadoh, invece Crow ci regala dei gioielli ipnotici e psichedelici come What We've Been Up To While You've Been Away.
Come ha già provato a fare Jim O'Rourke, da un'angolazione differente, su Simple Songs, Crow si impegna a nobilitare la materia pop con intelligenti divagazioni in ambiti alternative e barocchi la cui formula per ingegnarsi in queste miniature prog è rimasta più o meno immutata rispetto alle sue produzioni soliste o con i Pinback, il che, se avete già esperienza con tali pubblicazioni, potete fidarvi ad occhi chiusi di You're Doomed. Be Nice.
giovedì 3 marzo 2016
Adjy - Prelude (.3333) (2016)
L'EP contiene quattro tracce molto promettenti come la tribale Praepositio, seguita dalla lunga maratona Another Flammarion Woodcut, ballata minimale che si trasforma in inno emo. Hyperthymesia pone l'enfasi tra la verbosità della declamazione e i cori vocali che fanno da contrappunto, mentre le vibrazioni boniveriane di Grammatology coronano il tutto con un'idea di emo orchestrale che è un po' la cifra stilistica del gruppo. Veramente una bella sorpresa e una conferma per la Triple Crown che si conferma tra le etichette indipendenti più interessanti nel mercato USA.
mercoledì 2 marzo 2016
La trilogia art pop di Jane Siberry
In una vecchia intervista di Kevin Gibert, alla classica domanda su quale artista prediligesse in quel periodo (parliamo della prima metà degli anni '90) o comunque che lo avesse particolarmente impressionato, la risposta fu Jane Siberry ed in particolare gli album No Borders Here e The Speckless Sky. Una cosa che ribadì poi anche in un'altra occasione e rimarcata da una sua magistrale interpretazione di Taxi Ride tratta da The Speckless Sky. Ammirando con devozione il corpus artistico di Gilbert, fu logico per me andare a ripescare quei lavori ai quali aggiungerei anche il seguito di The Specklesse Sky, The Walking.
Fino ad allora conoscevo la canadese Siberry come penso la maggior parte del pubblico europeo, ovvero quando ebbe un attimo di esigua notorietà nel 1991, partecipando alla colonna sonora del film di Wim Wenders Fino alla Fine del Mondo con il brano Calling All Angels in duetto con KD Lang. Pubblicati tra il 1983 e il 1988, i tre album in questione hanno il raro fascino di un oggetto moderno, ma estremamente vintage. L'equilibrio tra avanguardia sperimentale e adesione ai dettami del pop rock e new romantics in voga all'epoca, fanno di No Borders Here, The Speckless Sky e The Walking tre lavori senza tempo, anche se da essi traspare benissimo il periodo in cui sono stati prodotti. Senza paura di confrontarsi con canzoni dalla durata estesa come The White Tent The Raft, Mimi on the Beach e The Empty City, mi piace pensare alla Siberry come ad una versione femminile di Peter Gabriel. Molto spesso i brani si dipanano come un flusso di coscienza dove spicca l'incredibile lavoro chitarristico di Ken Myhr e i synth da new wave pop che si uniscono alla maniera della trilogia anni '80 dei King Crimson.
Da lì in avanti la produzione artistica della Siberry ha avuto alti e bassi, ha sempre cambiato costantemente e coraggiosamente direzione con esiti alterni, ma senza lasciare da parte il ruolo della sperimentazione in equilibrio tra folk, chamber pop e jazz. Un fattore che si può ritrovare anche nell'ultimo album appena pubblicato Ulysses' Purse, che rappresenta l'ultima parte della cosiddetta "Three Queens Trilogy". Dato che alcuni album nella discografia della Siberry (tra cui i suddetti tre) sono stati per molto tempo di difficile reperibilità è un bene che ora si possano ritrovare su Bandcamp.
martedì 1 marzo 2016
Altprogcore March discoveries
Dopo aver ascoltato la voce di Joey Lancaster ospite nel brano Gospel, forse il mio preferito tratto da American Graffiti degli Strawberry Girls, mi sono messo a cercare la sua band di origine che ha il nome di Belle Noire. E' venuto fuori che i Belle Noire hanno affiancato recentemente altri gruppi in tour e in questi casi è un assunto non secondario il fatto che, quasi sempre, le band che condividono il palco nella stessa serata abbiano stili musicali simili. Da tale associazione ho controllato quindi cosa avevano da offrire anche The Body Rampant, Articles (che ora si chiamano ARTCLS), Where; With All, ovvero i suddetti compagni di tour .
Oltre allo stile ad accomunarli - che mette insieme le peculiarità dei moderni post hardcore, emocore e pop punk nella tradizione di gruppi come Emarosa, Envy on the Coast e Dance Gavin Dance - ognuno di loro ha in cantiere un nuovo album in uscita proprio quest'anno ed ecco allora che vale la pena segnalarli per farsi un'idea su quale di questi riporre la nostra attenzione. Infatti non è detto che tutti e quattro possano trovare il vostro favore, ma nel frattempo, se volete, potete comunque dare un ascolto alla produzione passata di The Body Rampant, ARTCLS, Where; With All e Belle Noire.