giovedì 4 maggio 2017
At the Drive-In - in•ter a•li•a (2017)
Non credo di essere stato l'unico scettico leggendo la notizia di un nuovo album degli At the Drive-In a distanza di diciassette anni da Relationship of Command, eppure, devo ammettere, non hanno deluso le aspettative, almeno le mie. Da veri professionisti, gli At the Drive-In hanno sfornato un lavoro ineccepibile che riparte esattamente da dove eravamo rimasti, logicamente con il carico e l'esperienza di qualche anno in più. Perché non c'è delusione? Forse perché in•ter a•li•a è un album da non perdere? No. Molto semplicemente, è un album che ti dà ciò che vuoi sentire da una band come gli At the Drive-In. Puro e semplice. Curioso che a riprendere il discorso dove era stato interrotto siano stati gli stessi due membri che all'epoca vollero troncare ogni rapporto con quel gruppo (ossia Rodriguez Lopez e Bixler-Zavala), mentre chi avrebbe voluto continuare è oggi assente (Jim Ward, il quale si è persino astenuto da ogni commento, negandosi ad un'intervista del New York Times con tutta la band).
Per recensire in•ter a•li•a ribadisco quanto scritto a dicembre in occasione dell'uscita del primo singolo Governed by Contagions: "Tutto sembra avvolto da una gran voglia di preservare quello che è stato: l'ermetismo sociale e urbano evocato dal titolo e dai testi di Bixler-Zavala, la chitarra stridente di Rodriguez-Lopez e quell'atteggiamento post punk sottolineato dalle ritmiche e dalla metrica irregolare del cantato. Insomma, gli At the Drive-In sono tornati indietro al primo lustro degli anni Zero e sarà un piacere ascoltare con curiosità il loro nuovo imminente album, pubblicato via Rise Records e prodotto da Omar Rodriguez-Lopez e Rich Costey. La cosa che fa più male però, e si sente, è l'assenza di Jim Ward, dalla quale forse non mi riprenderò del tutto: una cosa è non vederlo sul palco accanto agli altri, un'altra è non averlo in studio durante il processo di composizione, in fase di registrazione e nel ruolo di voce comprimaria."
E' proprio così: tornano i gloriosi testi in formato criptico di Bixler-Zavala, questa volta influenzati dall'opera di Philp K. Dick poiché "la sua visione è la più paranoica e la più vicina alla realtà odierna", torna persino l'artista Damon Loks che si era occupato dell'artwork di Relationship of Command, manca solo Ward (al suo posto alla chitarra c'è Keeley Davis che aveva militato negli Sparta). E dire che la voce un po' acciaccata dagli anni di Bixler-Zavala avrebbe tratto giovamento da qualche attimo di pausa. Tutto è comunque ben preservato, anche la rabbia sembra genuina: gli At the Drive-In non sono più dei ragazzini punk che si dimenano febbrilmente come dei tossici tarantolati, ma degli adulti consapevolmente incazzati, dato che il mondo di oggi gliene dà motivo.
A dirla tutta No Wolf Like the Present non apre il disco nel modo epico che ci si aspetterebbe: è un veloce punk memore delle cose più semplici che Bixler-Zavala e Rodriguez-Lopez hanno realizzato nella parentesi Antemasque. A partire da Continuum comincia a farsi largo quella visceralità trasmessa dal cantato da comizio di Bixler-Zavala insieme alle chitarre contorte e deraglianti che poi ritornano su Call Broken Arrow e Pendulum in Peasant Dress. Arrivati a Tilting at the Univendor l'album imbocca il giusto indirizzo in quello che è di sicuro il pezzo più riuscito, insieme a Torrentially Cutshow, nel ricreare quel surrogato di hardcore melodico che si piazzava al confine tra In-Casino-Out e Vaya EP. Avendo questi due pezzi come termine di paragone si percepisce una certa atmosfera da esercizio di stile in altri episodi come Incurably Innocent, Hostage Stamps e Holttzclaw. Esercizio portato a termine a pieni voti, ben inteso: solo Bixler-Zavala e Rodriguez-Lopez, dopo aver rivoluzionato il progressive rock da indomiti guastatori con i The Mars Volta, sanno ancora come riportare a galla la loro natura hardcore delle origini.
L'unico appunto, che forse apparirà chiaro ad alcuni o negato e nascosto dal subconscio ad altri, è che gli At the Drive-In hanno spogliato in•ter a•li•a delle sperimentazione più ardite di Relationship of Command e lo hanno rivestito come una versione aggiornata di In-Casino-Out, ma senza quella sua immane drammaticità emotiva. Ne viene fuori un post hardcore prodotto benissimo, di nuovo senza sovranincisioni che ne camufferebbero l'urgenza genuina punk, ma impacchettato in una veste più presentabile e accattivante, come se fosse diventato improvvisamente popolare anche al di fuori della scena alternativa.
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