Ho ritrovato questa mia vecchia intervista e ho deciso di pubblicarla. Fu rilasciata nel 2007 al collega di
Wonderous Stories Donato Zoppo in occasione dell'uscita del mio primo libro
The Lamb - Il percorso del "lamb" di Peter Gabriel e fu pubblicata nel
Sannio Quotidiano nell'approfondimento musicale settimanale de Le Vie della Musica.
Il giovane musicologo approfondisce il capolavoro dei Genesis in un interessante libro
Storie e segreti di ‘The Lamb’: lo studio di Lorenzo Barbagli
Di Donato Zoppo
La grande anomalia del rock progressivo. Un movimento davvero sui generis, senza le rockstar capricciose con stuoli di groupies alle calcagna, senza i quattro accordi in croce, gli strumenti distrutti sul palco o le gare a chi alza di più il volume. Un movimento che ha rinnovato il rock, aprendolo alla musica colta, al jazz, all’elettronica, travalicandone i confini; un movimento che ha fatto penetrare tematiche complesse, dalla fiaba alla filosofia, dalla riflessione esistenziale all’esoterismo, dal teatro alla science-fiction.
Con il progressive nasce la forma compositiva della suite, matura il concept-album, esplode la grande utopia dell’opera rock. Proprio come “The Lamb Lies Down On Broadway” (1974), il capolavoro dei Genesis, l’ultimo della formazione storica, prima che Peter Gabriel lasciasse la band per battezzare la propria fortunata carriera solista. Lorenzo Barbagli è un giovane musicologo che si è dedicato anima e corpo allo studio di quest’opera, cercando di carpirne i significati più reconditi, entrando in contatto con argomenti difficili: il Mito, la Qabbalah, la psicologia junghiana.
Il suo “The Lamb – Il percorso del “lamb” di Peter Gabriel” (Edizioni Segno) è appena uscito, con la prefazione del giornalista Mario Giammetti, uno scrittore ben noto ai lettori delle “Vie della Musica”. Incontriamo Lorenzo e cerchiamo insieme a lui di mettere a fuoco tutti gli aspetti di questo straordinario album.
Partiamo da alcuni dati storici. 1974. I Genesis hanno all’attivo 5 album in studio e un live, un successo crescente e una cifra stilistica sempre più definita. Come nasce “The Lamb”?Come hai ben sintetizzato in quegli anni i Genesis, oltre a vedere crescere la loro popolarità, erano arrivati ad una maturità artistica impressionante e ormai sentivano di dover affrontare un ulteriore passo avanti. Era arrivato il momento di realizzare un album doppio che fosse basato su un concept. Quindi, da parte della band, ci fu una scelta meditata, non casuale ed in un primo momento il filo conduttore della storia doveva essere il libro
Il Piccolo Principe proposto da Mike Rutherford. Ma, fortunatamente, la lungimiranza di Peter Gabriel portò a proporre una storia più vicina alla contemporaneità e adatta ai tempi che stavano cambiando, lasciando da parte l’impianto favolistico che fino ad allora aveva dominato la band ma anche il prog in generale. Così
The Lamb è divenuto una “favola moderna”.
Si dice sempre che questo disco sia un parto del solo Peter Gabriel: quanto è fondata questa affermazione?
Dipende dal punto di vista col quale prendiamo in considerazione l’opera: quello musicale o quello lirico. Se si considera quest’ultimo aspetto possiamo dire che, effettivamente, l’idea della storia, il suo dipanarsi e la conseguente scrittura dei testi è opera del solo Gabriel. Inoltre, il cantante lottò anche contro la volontà degli altri membri del gruppo riguardo la scelta del soggetto, dato che loro erano scettici al riguardo, ritenendo la storia incomprensibile e oscura.
Dal punto di vista musicale, invece, il contributo di Gabriel fu minimo in quanto impegnato nella stesura delle liriche. Ancora oggi molti hanno la tendenza a credere che Peter Gabriel fosse il factotum dei Genesis o per lo meno il principale compositore, invece questa cosa andrebbe sfatata. Dato che nei dischi dell’epoca i Genesis erano soliti firmare le canzoni come gruppo è difficile stabilire, musicalmente parlando, chi ha scritto cosa. Riguardo a
The Lamb si capisce che un lavoro molto importante lo deve aver fatto Tony Banks, poiché l’album è essenzialmente basato sulle sue tastiere. Andando più a fondo, si può confermare tutto ciò analizzando le parti per pianoforte che portano gli stilemi compositivi di Banks e cioè l’uso di progressioni di accordi e di fraseggi di note arpeggiate molto vicini tra loro, con salti di un tono o mezzo tono.
“The Lamb” è un’opera rock: un “sottogenere” che trova nei protagonisti del prog particolare fortuna. In cosa si differenzia rispetto a predecessori come “Tommy” degli Who e a successori come “The Wall” dei Pink Floyd?Per quello che mi riguarda giudico
The Lamb un’opera del tutto unica nel panorama dei concept. Se, ad esempio, prendiamo in esame gli album da te citati, possiamo dire che sono piuttosto coerenti con quanto questi gruppi avevano fatto in passato a livello musicale. Sono entrambi delle opere straordinarie, ma, in un certo modo, rimangono ancorate all’estetica dei loro autori e questo discorso credo si possa estendere anche ad altri gruppi.
Al contrario,
The Lamb, è una specie di “anomalia” nella discografia dei Genesis, presenta delle caratteristiche che il gruppo ha sviluppato solo in questo lavoro: suoni pesantemente elettronici e sperimentali, poche chitarre, l’assenza di suite e la presenza di brani strutturalmente più regolari rispetto al passato, ma non certo delle pop songs. Se una persona apprezzasse questo album, non conoscendo nulla del gruppo, potrebbe paradossalmente rimanere delusa ascoltando in seguito, ad esempio,
Nursery Cryme o
A Trick of the Tail.
Negli ultimi tempi abbiamo molti esempi di opere rock (mi viene in mente la recente “Dracula” della PFM oppure “Herpes Temporis” dei campani Magni Animi Viri), tuttavia non sembrano molto distanti dal modello del “musical” di Broadway. Come giudichi il proliferare di queste produzioni?Nelle opere rock di oggi si tende a dare un respiro sinfonico e orchestrale alla musica, ma anche a dare molta importanza alla messa in scena teatrale in stile “musical” che credo sia mutuata dal successo che ultimamente stanno avendo queste iniziative. Si cerca cioè di pensare non tanto al disco come opera già compiuta e a sé stante, ma di vederlo inglobato in un più ampio progetto che prevede come fine ultimo la messa in scena con tanto di attori/cantanti. In questo modo si rischia di snaturare il lavoro del musicista, facendo prevalere lo spettacolo sulla musica. Occorrerebbe considerare l’album come un prodotto che possa funzionare anche se preso separatamente, poiché il suo destino è quello di sopravvivere alle varie repliche dello spettacolo. In tal senso preferisco la concezione delle performance del passato (si veda
The Wall o lo stesso
The Lamb) dove il gruppo stesso e la musica erano sempre i protagonisti e la messa in scena, per quanto poteva essere spettacolare o imperfetta, agiva su livelli differenti rispetto a quelli odierni.
Veniamo alla tua chiave di lettura: nell’analizzare l’opera ti sei servito di alcuni strumenti particolari, in primis le teorie di Joseph Campbell. Vuoi introdurle ai nostri lettori?Le teorie di Campbell sono estremamente affascinanti, soprattutto se ci chiediamo non solo se Dio esiste, ma anche perché l’uomo ha sempre avuto bisogno di crearsi degli Idoli. Nei suoi studi, Campbell, ha notato che i culti di molti popoli presentano delle similitudini e, con la teoria del "monomito", ha postulato dei punti fermi attraverso i quali si svolge “il viaggio dell’eroe” (che sia leggenda o parabola religiosa) e le sue conseguenti prove da affrontare per raggiungere uno scopo. Servendosi anche delle psicologia e della teoria sull’inconscio collettivo di Jung, Campbell sostiene che i miti sono delle metafore universali della nostra vita sulla Terra e della nostra concezione di “vita dopo la morte”.
Altro elemento centrale del tuo libro sono i riferimenti all’esoterismo, in particolare alla Qabbalah ebraica: vuoi introdurceli e spiegarci come sono penetrati nell’opera gabrieliana?
Il corpo centrale dei vari argomenti che confluiscono nella Qabbalah è costituito dall’albero delle Sefirot, una rappresentazione iconografica dell’operato divino. Esso è formato da 10 sfere che simbolizzano gli attributi di Dio, unite da 22 sentieri che rappresentano le lettere dell’alfabeto ebraico. Si arriva così alle 32 vie della sapienza attraverso le quali Dio avrebbe creato l’universo. Come si vede, la numerologia è molto importante quando si parla di Qabbalah e mi sono servito di queste speculazioni partendo dal brano
The Chamber of 32 Door. Analizzando i vari significati che può assumere metaforicamente l’albero delle Sefirot, si può interpretare la parabola di Rael (il protagonista della storia) come un’ascesa verso il divino o l’aldilà. Gabriel, nelle sue dichiarazioni, non ha mai fatto cenno esplicitamente all’influenza della Qabbalah per quanto riguarda
The Lamb, ma, visti i suoi precedenti, non è da escludere il riferimento a questa tradizione.
Già in “Foxtrot”, l’album genesisiano del 1972, alcuni riferimenti biblici e numerologici erano presenti: secondo te si trattava di pura casualità, di un capriccio gabrieliano oppure di un’impostazione meditata e sistematica?Queste relazioni non sono casuali, lo stesso Gabriel dichiarò all’epoca di aver fatto letture a carattere religioso. Lo testimonia anche il primo album dei Genesis dal titolo
From Genesis to Revelation, un concept che ha come tema la Creazione. Però non credo che ci sia da parte di Gabriel un vero e proprio coinvolgimento a livello personale, credo piuttosto fosse mosso verso queste tematiche dalla sua curiosità. Non lo vedo come una specie di predicatore da palcoscenico o un sostenitore del christian rock.
Dal tuo libro si evince anche un altro elemento cruciale, quello psicanalitico: il sogno, l’inconscio, gli archetipi.Parlando di
The Lamb sarebbe un errore omettere tutti i riferimenti che rimandano alla nostra attività onirica, dato che la storia narrata da Gabriel trae ispirazione dalle suggestioni del subconscio.
The Lamb diviene così un perfetto connubio tra mito e sogno: come sostiene Campbell le similitudini rilevate analizzando i miti e le religioni di varie culture possono essere derivate dal nostro subconscio e specialmente dai sogni. Tutto questo ci porta ad intuire che la natura di queste storie, in qualche modo, è innata in noi. Campbell spiega ciò attraverso la psicologia e la psicoanalisi e conclude pertanto che mito e sogno sono strettamente legati, chiamando in causa anche la psicologia di Jung e la sua teoria dell’inconscio collettivo legata agli archetipi. Come Jung, anche Campbell si serve delle immagini archetipe sepolte dentro di noi per spiegare le origini del mito nella nostra società.
Grazie a queste letture hai affrontato il “plot” dell’opera con una rinnovata chiave di lettura: quali sono state le reazioni degli appassionati genesisiani, solitamente molto attenti all’esegesi dei loro beniamini?Quando ho affrontato la materia sapevo a quali rischi andavo incontro dato che i cultori dei Genesis sono molto attenti e preparati su tutto ciò che riguarda il gruppo. Sinceramente ancora non so di preciso cosa ne pensino del libro perché è passato poco tempo da quando è uscito nelle librerie. Comunque ho parlato con Mario Giammetti che mi ha confermato che sta ricevendo buoni consensi oltre che suscitare interesse.
Una domanda allo studioso del rock progressivo: come ti spieghi che ad un certo punto dell’evoluzione rock, gruppi come i Genesis abbiano cominciato a far entrare nella loro musica argomenti così particolari?
Credo che, molto semplicemente, anche la storia della musica rock non sfugga al destino dei grandi movimenti letterari o culturali che abbiamo avuto in passato. Banalmente si può dire che ad un’azione corrisponde una reazione: un movimento si sviluppa o va a sostituire quello precedente in contrapposizione ad esso e ciò che rappresenta, poiché è ritenuto inadatto ai tempi che cambiano. In questo è emblematica la nascita del punk come ribellione ai canoni del rock progressivo portando con sé un’estetica diametralmente opposta.
Le tematiche affrontate dal progressive nascono dalla volontà di andare oltre le classiche canzoni d’amore e di protesta o le bizzarre suggestioni dei trip di acido in voga negli anni ‘60. Tutto ciò si è sviluppato grazie a musicisti con una sensibilità e una curiosità più sviluppata rispetto agli altri, con degli studi alle spalle ed un notevole bagaglio culturale. I gruppi progressive non hanno fatto altro che dare voce ad una parte dei forti stimoli intellettuali che si percepivano alla fine degli anni ’60, sia che fossero l’interesse per racconti utopici alla Tolkien o dissertazioni filosofiche sul ruolo dell’uomo nella società.
Allo studioso della “popular music” chiediamo: pensi che sia proponibile l’epoca di un rock “curioso”, che guarda alle altre forme d’arte? Dobbiamo rassegnarci ad una musica sempre più “autoreferenziale”?
Anche in questo caso dipende dai punti di vista. Se consideriamo solo la musica ritenuta “di consumo” o comunque “di massa” allora ci sono poche speranze, dobbiamo rassegnarci. Viviamo in un’era tecnologica dove la musica si scarica dal web e la si ascolta in auto con sempre minor attenzione. Di conseguenza è naturale, purtroppo, che anche le tematiche siano disimpegnate. Un rock “curioso” richiede attenzione anche da parte dell’ascoltatore per essere apprezzato in pieno ed è per questo che oggi non si ha successo con proposte di questo genere.
Dall’altro lato, se anche il fruitore è a sua volta curioso non si sofferma di fronte a quello che gli propina la radio o MTV, ma inizia a ricercare gruppi meno noti e più inclini ad una visione più ampia della musica, lontana da mere logiche commerciali. Oggi la fonte primaria per queste ricerche è naturalmente Internet che ha permesso lo sviluppo di una vastissima scelta di musica. Attraverso la rete si possono trovare sempre interessanti proposte musicali che non raggiungono però vaste platee e, di conseguenza, il fenomeno rimane relegato a pochi sostenitori.
Nel tuo testo individui anche un altro gruppo che non disdegna riferimenti psicanalitici e qabbalistici: i Tool. Sono loro gli unici successori di questo “spirito” genesisiano o pensi ci siano altri gruppi inclini a questa forma di composizione rock?Premetto che i Tool sono stati fondamentali nel mio approfondimento della materia qabbalistica, studiando i loro testi ho iniziato ad interessarmi all’argomento.
I Tool, con le loro liriche mistiche ed intellettuali allo stesso tempo, hanno creato una poetica che si è sviluppata e si è approfondita nel corso dei loro album con una coerenza estranea ad altri gruppi. Quindi, in questo senso, penso che non solo siano dei successori, ma che abbiano portato il discorso verso territori sconosciuti alla musica moderna.