martedì 23 marzo 2010
lunedì 22 marzo 2010
La copertina del mese
Come molti sapranno il nuovo album dei Pain of Salvation, Road Salt, sarà un doppio. Uscirà però in due parti nell'arco del 2010: la prima, Ivory (della quale potete vedere la copertina qui sopra), è prevista per il 19 maggio, la seconda, Ebony, slitterà a novembre.
A sentire la title-track, un po' moscia a dire il vero, non si fanno salti di gioia e se la strada molto più diretta e ammiccante intrapresa con Scarsick e, soprattutto, con l'EP Linoleum continuerà (il trucco simil-emo di Gildenlöw la dice lunga), avremo perso la miglior band di progressive metal.
domenica 21 marzo 2010
North Atlantic Oscillation - Grappling Hooks (2010)
Dai vari rumors positivi che si sentivano in rete e dopo aver ascoltato Drawing Maps from Memory nutrivo buone speranze per Grappling Hooks, cd di esordio di questo trio scozzese (da Edimburgo), ma nella sua interezza l'opera subisce qualche ridimensionamento e appare come un piccolo compitino di elettronica, rock alternativo e shoegaze. I North Atlantic Oscillation hanno condiviso il palco con Porcupine Tree, Explosions in the Sky e altri ancora e infatti il disco esce per l'etichetta Kscope, che in passato ospitò la band di Steven Wilson.
North Atlantic Oscillation - Drawing Maps from Memory (from Grappling Hooks) from Kscope on Vimeo.
mercoledì 17 marzo 2010
COHEED & CAMBRIA - Year of the Black Rainbow (2010)
E' davvero un peccato che la carriera dei Coheed & Cambria sia stata un fuoco di paglia, perché le premesse per diventare uno dei nomi di punta del progressive rock internazionale c'erano davvero. Come succede in questi casi, però, magari lo diverranno ugualmente (visto la loro crescente popolarità), ma, come per i Porcupine Tree*, per i motivi sbagliati.
E allora vediamoli questi motivi. Dopo aver intuito con grande abilità e lucida preveggenza quello che sarebbe stato il post-hardcore progressivo degli anni Zero, partendo dalle solide basi poste dagli At the Drive-In e avendo preceduto di un anno l'esordio dei Mars Volta, ciò che resta di valido dei Coheed & Cambria sono solo i primi due album. Testimonianza di una maturità precoce destinata a spegnersi gradualmente e forse per sempre. Dopo l'exploit iniziale, i Coheed & Cambria si sono infatti bruscamente frenati e adagiati su un hard rock fantascientifico, totalmente privo di varietà tematiche e trame complicate.
Con Year of the Black Rainbow - quinta opera del gruppo che torna indietro al primo capitolo della saga The Amory Wars - non si intravede nessun progresso musicale. Voglio dire, se la musica la si ascolta con attenzione e non come mero sottofondo, ad essa si chiederà di stupirci e intrattenerci con trovate per lo meno fuori dal coro dell'ovvietà. Da qualche anno a questa parte con i Co&Ca ciò non avviene e, specialmente con gli ultimi due album (questo compreso), le composizioni sono di una piattezza preoccupante. La band capitanata da Claudio Sanchez sta cioè producendo un anonimo hard-metal-pop tirato via e molto, molto ripetitivo, che di progressive ha ben poco, tanto che le canzoni ti scivolano via addosso come fanno quelle degli ultimi Rush.
Inoltre, ascoltando bene la maggior parte dei pezzi - come ad esempio The Broken**, When Skeletons Live, World of Lines o Here We Are Juggernaut - sembra che la musica dei Coheed & Cambria si sia involgarita, cioè abbia preso una piega negativa che ha spostato il suo target di pubblico in maniera brusca. In pratica questa è musica che, dai giovani alternativi americani, nerd, emo e compagnia, può passare benissimo il testimone ai camionisti che guidano attraverso le highways americane, al sottofondo per i bar frequentati da trucidi motociclisti e alle pubblictà per le evoluzioni dei wrestler. Musica muscolare e non cerebrale.
Inoltre, ascoltando bene la maggior parte dei pezzi - come ad esempio The Broken**, When Skeletons Live, World of Lines o Here We Are Juggernaut - sembra che la musica dei Coheed & Cambria si sia involgarita, cioè abbia preso una piega negativa che ha spostato il suo target di pubblico in maniera brusca. In pratica questa è musica che, dai giovani alternativi americani, nerd, emo e compagnia, può passare benissimo il testimone ai camionisti che guidano attraverso le highways americane, al sottofondo per i bar frequentati da trucidi motociclisti e alle pubblictà per le evoluzioni dei wrestler. Musica muscolare e non cerebrale.
www.coheedandcambria.com
* A questo punto mi viene un dubbio...che l'etichetta Roadrunner sia un Re Mida al contrario e che tutto ciò che tocca diventa m3£d@?
** Comunque il suo video è molto bello (potete ammirarlo di seguito)
The Broken
coheed and cambria MySpace Music Videos
lunedì 8 marzo 2010
SIX GALLERY - Breakthroughs in Modern Art (2010)
Ecco un album che può riaprire il dibattito su come il moderno post-hardcore possa, lo si voglia o meno, inglobare in sé stilemi progressivi. La filosofia stessa di questo blog potrebbe essere rappresentata dall'opera prima dei Six Gallery. Se per progressive rock si intende esplorare nuove soluzioni formali e sonore, cambi tematici e sperimentazione, allora Breakthroughs in Modern Art soddisfa questi requisiti. Se invece si è legati ad una vecchia concezione nella quale si pensa che il prog deve comunque attenersi a certe regole estetiche come l'utilizzo di tastiere e sintetizzatori, il ricorso a mellotron e a testi immaginifici, lasciate perdere e andate a leggere (e ascoltare) qualcos'altro.
Breakthroughs in Modern Art applica alle sue composizioni trovate che stanno a metà strada tra il progressive e la fusion. Innanzitutto è fondamentale ricordare che i Six Gallery nascono come band strumentale e questo si intuisce benissimo dalla struttura fluida e in continuo sviluppo dei brani, ai quali solo in seguito sono stati aggiunti i testi cantati da Daniel Francis. Una peculiarità sono poi le chitarre di Will Vokac e Bernie Schreiber che insieme costruiscono insoliti fraseggi fondati esclusivamente sulla tecnica del tapping.
A questo proposito c'è da sottolineare e da chiarire che essa non è quella primitiva inaugurata da Eddie Van Halen - che dava sfogo a virtuosismi solisti da funambolo -, ma prende le mosse da quella ben più complessa, elegante e armonica, che utilizza tutte e dieci le dita delle mani, portata al suo massimo splendore da Stanley Jordan e ripresa in seguito magistralmente da Carlos Vamos. Certo è che Vokac e Schreiber possiedono una tecnica più elementare, ma le finalità di dare delle suggestioni psichedeliche e incantevoli sono ugualmente raggiunte. Impossibile citare o consigliare un brano in particolare dell'album tanto esso è coeso e ben costruito su un flusso continuo che va assaporato tutto d'un fiato. Per farsi un'idea dello stile del gruppo si possono citare Damiera e Circa Survive, anche se il mood generale è più rilassato e gentile, quasi riflessivo oserei dire, ma comunque sempre epico. Straconsigliato!
giovedì 4 marzo 2010
Minus The Bear - OMNI (2010)
Il nuovo album dei Minus the Bear, OMNI, uscirà il 4 maggio.
Di seguito la tracklist e due canzoni in anteprima.
Questo gruppo non mi ha mai fatto impazzire e dalle nuove tracce presentate si può presumere che i MTB non abbiano fatto dei repentini cambiamenti al loro sound, tuttavia il loro stile ha il pregio di risultare riconoscibile tra milioni di gruppi.
Tracklist:
1. "My Time"
2. "Summer Angel"
3. "Secret Country"
4. "Hold Me Down"
5. "Excuses"
6. "The Thief"
7. "Into The Mirror"
8. "Animal Backwards"
9. "Dayglow Vista Road"
10. "Fooled By The Night"
Bonus Tracks
"Broken China" - 5:39 (iTunes Exclusive Pre-Order Track)
martedì 2 marzo 2010
PORCUPINE TREE - The Incident (2009)
The Incident è una suite di cinquantacinque minuti (abbinata ad un EP dove trovano spazio quattro brani più brevi) suddivisa in quattordici movimenti e segna per la prima volta con precisione e chiarezza la nuova direzione musicale di Wilson. Come una versione più convinta di In Absentia, il brano, generalmente, si avvicenda ancora tra fragorose chitarre metalliche (The Blind House, Octane Twisted) e indolenti ballate (Drawing the Line, Kneel and Disconnect) con l’aggiunta di brevi intermezzi strumentali (The Yellow Windows of the Evening Train, Degree Zero of Liberty e Circle of Manias), quasi superflui nella loro banalità.
La psichedelia è ora pressoché abbandonata del tutto e gli interventi strumentali appaiono come degli omologati e patinati esercizi di stile. Time Flies ad esempio - una classica ballad malinconica con chitarra acustica con l'aggiunta di eterei ricami di chitarra elettrica e il miglior pezzo della band dai tempi di Lightbulb Sun - è rovinata da una parte centrale ricalcata sui riff gilmouriani di The Wall che spezza la continuità e francamente pleonastica. In pratica Time Flies dimostra che, se Wilson vuole scrivere ancora qualcosa di memorabile, deve incondizionatamente volgere lo sguardo ai Pink Floyd (in questo caso un po’ di Dogs, un po’ di Hey You e il finale di Sheep).
Encomiabile è lo sforzo di Wilson nell’ostinarsi ad inserire forzatamente farraginose parti metal che non appartengono ai Porcupine Tree, un elemento provato dal fatto che sostanzialmente le caratteristiche compositive della band sono rimaste immutate nell’arco di dieci anni. Wilson in sostanza mostra in questo album tutta la sua insicurezza e la sua ipocrisia, evidenziate da due sentimenti musicali contrastanti: il primo (e più pubblicizzato) che vorrebbe essere il predominante nel tentare nuove strade sonore (come nei virulenti suoni elettronici alla Nine Inch Nails di The Incident); il secondo che, al contrario, non ha il coraggio di osare tanto, ritornando puntualmente su binari sicuri e collaudati (I Drive the Hearse). Difficile fare peggio di Deadwing, ma ad ogni nuovo album Wilson ci sta provando con tutte le sue forze.
Iscriviti a:
Post (Atom)