venerdì 2 settembre 2022

First Signs Of Frost - Anthropocene (2022)


Dopo l'addio del cantante Daniel Tompkins, con il quale nel 2009 i First Signs of Frost produssero il seminale Atlantic, la band è stata in letargo fino al 2017 quando riemersero con l'EP The Shape of Things to Come presentandosi con il nuovo frontman Daniel Lawrence. Da allora sono passati altri cinque anni nei quali il duo di chitarristi composto da Owen Hughes-Holland e Adam Mason, unici sopravvissuti della formazione originale, hanno preparato il ritorno con un album (in pratica il secondo in carriera) che vede ancora un cambio di guardia al microfono, questa volta impugnato da Ronan Villiers.

La scelta di Villiers, che nella sua vocalità somiglia alquanto a Tompkins, risuona come una ricerca di legame indissolubile col passato in linea con una continuità che fa di Anthropocene più che un successore che segna la distanza temporale dal primo album, un sequel in cerca di preservare intatta la magia di quell'esordio. Quindi si potrà intuire che, essendo trascorsi tredici anni, l'effetto sorpresa di quella freschezza che segnava un originale connubio tra post hardcore, djent e metal è andata inevitabilmente perduta, ma Anthropocene rilancia tali elementi da un punto di vista ancor più accessibile di quanto non fossero già su Atlantic

Ad esempio il singolo Relics ha lo stesso tiro ed incedere di Through the Exterior, ma con l'ausilio di melodie e limpidezza di suono maggiormente accentuati, dove la chitarra di Hughes-Holland in particolare risplende di quel peculiare e riconoscibile sound scintillante, sia nel registro distorto che in quello pulito. Rispetto invece al precedente EP (dal quale comunque rispolvera e aggiorna le due tracce White Flag e Sharks), l'album riprende con maggior convinzione ed incisività anche il lato post hardcore sull'interpretazione selvaggia di Viking Blood ad esempio, che mette bene in contrasto riff metal, harsh vocals post hardcore e solenni chorus. 

In alcuni momenti più di altri Villeirs si dimostra un degno erede di Topkins nel disegno di linee melodiche vocali, tanto che pare proprio di ascoltare delle outtakes da Atlantic (Paradigm Ritual). L'attitudine di risaltare la parte accessibile e malinconica della band, dal lato compositivo viene sviscerata su Þingvellir, l'episodio elettroacustico più atmosferico e soft realizzato finora dai First Signs of Frost. Anthropocene, basato su un'epica nordica che riprende le intenzioni invernali e gelide proprie di quelle terre, da un lato estetico rispecchia la potenza e la solennità di un prog metal con tendenze molto aperte a sonorità atmosferiche ed eteree in linea con l'evoluzione del djent di ultima generazione rappresentato da Skyharbor e TesseracT, anche se i First Signs Of Frost in passato hanno avuto il merito di arrivarci prima. 

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