Che cosa ti puoi inventare ancora di più per stupire quando sei una progressive rock band con deviazioni funk fusion, composta da sette elementi che, con due album all'attivo, ha già prodotto un repertorio densissimo, complesso e accessibile in egual misura? La risposta dei Thank You Scientist è questo
Terraformer: un doppio album di 84 minuti che, alla già ricca trama di strumenti di cui la band si fregia, aggiunge una sezione di archi, strumenti etnici prelevati delle culture greca e cinese (shamisen, bouzouki, guzheng, erhu) e per la prima volta tastiere elettroniche, in uno scontro di tradizione e futurismo, un esperimento messo a frutto con efficacia nei dieci minuti di
Everyday Ghosts.
Questo, in poche lacunose parole, il sunto che può introdurre alla terza debordante opera del settetto del New Jersey, pubblicata ancora una volta dall'etichetta indipendente Evil Ink Records di Claudio Sanchez dei Coheed and Cambria.
Terraformer è anche il primo lavoro che vede la line-up dei Thank You
Scientist quasi completamente rinnovata con l'arrivo (da qualche tempo
ormai) di Joe Fadem (batteria), Sam Greenfield (sassofono) e Joe Gullace
(tromba), che vanno ad aggiungersi a Ben Kara
s (violino) e Cody
McCorry (basso), lasciando come membri originali solo il fondatore e
leader Tom Monda (chitarra) e Salvatore Marrano (voce).
La ricetta sonora che i Thank You Scientist portano avanti sin dal primo impressionante album è una delle più complesse, avventurose e pretenziose del panorama musicale contemporaneo, condensando una miriade di stili e sovrastrutture strumentali in brani che scambiano molto spesso la sperimentazione con l'accessibilità. Infatti, in questa selva di virtuosismi e architetture enfatiche, il gruppo rimane focalizzato sulla forza della melodia, parte della quale va sicuramente attribuita alla presenza vocale di Marrano, e ai groove infettati di soul, funk, latin e rock creati dai contrappunti di fiati e chitarra.
Per quanto possa essere paradossale i Thank You Scientist riescono in un'impresa forse senza precedenti e assolutamente impensabile nella prospettiva di tali latitudini musicali, ovvero firmare il loro album più articolato musicalmente e allo stesso tempo più accessibile per orecchie non abituate a tali vertigini. In più su
Terraformer si raggiunge quell'equilibrio di mix e produzione dei suoni dove ognuno dei numerosi strumenti possiede una voce chiara e pulita. Un elemento sicuramente da sottolineare quando si parla dei Thank You Scientist e che già all'epoca di
Maps of Non-Existent Places ci aveva fatto solo immaginare la mole di lavoro nel mixaggio per rendere giustizia ad un insieme sonoro così elaborato.
La paura principale che poteva far sorgere
Terraformer era il rischio di risultare indigesto, proprio a causa del carattere straripante della musica del gruppo posta in un contesto da album doppio. Invece, come dei bravi scienziati, Tom Monda e compagni hanno contenuto la natura di un materiale altamente instabile, musicalmente parlando. Interessante è notare a livello temporale come le mezze misure siano state eliminate: o si raggiungono durate estese oppure molto contenute. Ad esempio il primo CD è circoscritto tra due tracce strumentali che sviscerano una quantità di idee - sia nella breve (
Wrinkle) che nella lunga distanza (
Chromology) - di jazz zappiano e hardcore fusion orchestrale da rimanere storditi. In mezzo si trovano
FXMLDR (ovvero il codice fiscale di Fox Mulder),
Swarm e
Son of a Serpent, i primi a corrispondere in pieno a quella caratteristica appena descritta di brani avvincenti e orecchiabili, intrisi di assoli fusion e break progressivi.
Come accennato, oltre al violino di Karas, il gruppo aggiunge viola, violoncello e altri due violini utilizzati per dare corpo nei crescendo negli sviluppi di
Anchor e
Life of Vermin facenti parte del secondo CD nel quale si trovano brani più aderenti agli stratagemmi compositivi utilizzati nel primo e nel secondo album. Ma anche escursioni nel pop prog piuttosto disimpegnato (per loro) di
Geronimo e nel metal matematico della title-track, portata a casa da Monda con la difficoltosa chitarra fretless, che come per il primo CD aprono e chiudono in modo antitetico la seconda tranche dell'album.
Terraformer è un lavoro gigantesco nella forma e nella sostanza, però non è esagerato, eccessivo o ampolloso perché i Thank You Scientist vestono questa musica come fosse un completo elegante e naturale, rigettando la sensazione che possa invece trattarsi di un esercizio di stile forzato.