venerdì 30 marzo 2018
Rare Futures - This is Your Brain on LIVE (2018)
Alla fine dello scorso anno i Rare Futures si sono impegnati ad allestire i Rancho Recordo Studios per registrare dal vivo alcune tracce tratte dal loro album This is Your Brain on Love. Un esperimento live in studio senza pubblico, simile alle sessioni Audiotree, che comunque mantiene la carica del groove rock che contraddistingue i Rare Futures e che ha dato modo al quartetto di ripescare Time e Up Late, due gemme dal passato quando ancora si chiamavano Happy Body Slow Brain. Il titolo scelto è coerentemente This is Your Brain on LIVE e alla tracklist si aggiunge anche la cover di No Ordinary Love di Sade, artista molto amata dal frontman Matt Fazzi, in origine contenuta nello split EP che i Rare Futures hanno condiviso con Gavin Castleton.
giovedì 29 marzo 2018
Mansun's Legacy: "Six" e il suo lascito a 20 anni dall'uscita
Ci vuole un certo grado di coraggio e di incoscienza per decidere con cognizione di lasciarsi precipitare dalla vetta più alta una volta che l’hai raggiunta. È praticamente ciò che fecero i Mansun con il loro secondo album Six pubblicato nel settembre 1998, dopo aver raggiunto il primo posto in classifica con l’esordio Attack of the Grey Lantern (1997). Sbocciati all’apice del Britpop, scena musicale molto indulgente nei confronti del talento dove la stampa inglese bollava come “next big thing” ogni vagito discografico, i Mansun sembravano destinati a confondersi tra mille altre proposte come Kula Shaker, Suede, Pulp ed Elastica. I quattro di Chester scelsero invece la gloria eterna suicidandosi commercialmente (parole di Paul Draper) con una mossa la quale, in modo parallelamente metaforico, li consegnò alla storia. A dire il vero il magnifico flop commerciale di Six non fu neanche colpa del pubblico, impreparato ad accogliere la portata di quella bomba ad orologeria, non comprendendo ciò che gli era capitato tra le mani. La “colpa”, se così vogliamo dire, era proprio tutta di Paul Draper e soci che si incaponirono in un’opera eclettica dai tratti schizofrenici e con una cover (a cura di Max Schindler) in pieno stile prog, carica di riferimenti letterari, veri o fittizi, che fungeva da preludio iconografico per gli argomenti trattati all'interno di ispiratissimi testi dal pessimismo adolescenziale ostentato (venivano citati il Marchese De Sade, Ron Hubbard, la serie TV "Il Prigioniero", Winnie the Pooh e molto altro).
Non è sbagliato affermare che i settanta minuti di Six siano il risultato di un attento taglia e cuci di idee solo abbozzate, oppure ultimate ma che avevano bisogno di maggior respiro. In tutto questo però si percepisce l’assoluta buona fede della band che non vuole propinarci un ambizioso e scriteriato zibaldone di motivi prog, ma una prova di maturità artistica dove il prog inteso come tale non fa mai capolino. La genuinità è preservata dal protagonismo delle chitarre che mantengono comunque un legame basico con il rock e prova ne è anche la direzione concettuale delle liriche, piene zeppe di linee memorabili che hanno la capacità in una sola battuta di cogliere l'essenza dell'argomento: All relationships are emptying and temporary / Nobody cares when you're gone (Legacy) - my life it's a series of compromises anyway (Six) - I'm emotionally raped by Jesus (Cancer) - I know you're purely Marxist/Your philosophy's so cool / With your tranquillisers, valium and gin / You talk of euthanasia/And your breakdown was so cool / Did Stanley Kubrick fake it with the moon? (Fallout).
Ad ogni modo nel ’98 si intuiva già che il Britpop aveva i giorni contati, l’anno prima il successo di critica e pubblico di OK Computer aveva alzato l’asticella delle ambizioni e infuso coraggio ad altri artisti per percorrere strade meno scontate di un orecchiabile ritornello radiofonico. E allora ecco i Mansun che nella loro irrequietezza tentarono qualcosa di simile, ma con un approccio del tutto differente: Six è un disordinato collage post punk-pop-prog che disintegra la sicurezza formale e la restituisce in miriadi di pezzetti. Il pop c’è, il rock pure, ma sono dissezionati in così tante particelle da far venire il capogiro: un "Paranoid Android" elevato all'ennesima potenza che li rese dei Mida alla rovescia, parafrasando il titolo della intermissione per piano Inverse Midas. Ma Six ha un altro pregio nel suo osare, poiché se ritorniamo al paragone con Ok Computer e i suoi effetti si coglie una certa differenza tra “definire” e “prefigurare”. Se infatti quest’ultimo pose immediatamente delle direttive sulle quali in molti si sono poggiati successivamente, senza però progredire oltre quei parametri stilistici, a distanza di venti anni possiamo certificare che Six è stato il precursore involontario di elementi che hanno dato nuovo slancio a certi dettami prog come il prog hardcore dei The Mars Volta (le evoluzioni di Negative e Cancer), le attuali deviazioni disarticolate e multipartite del math rock (Shotgun, Being a Girl) o il jigsaw pop degli Everything Everything (Anti Everything),
Six ebbe il merito di anticipare in modo lucido - e anche un po’ audacemente autoindulgente - buona parte di ciò che sarebbe stato il prog alternativo del decennio successivo e, insieme a OK Computer, è stata l’opera prog pop più importante del rock inglese degli anni ’90. L’unico problema è che all’epoca, quel prendere di petto il progressive rock con collage schizoidi al posto di canzoni, spiazzò il pubblico al quale i Mansun in un primo momento si erano rivolti con Attack of the Grey Lantern. Eppure Six rimane un affresco coraggioso basato sull’accumulo che ha saputo prendersi i propri rischi e, ultimamente, anche un'inaspettata rivincita, dato che in molti lo stanno riscoprendo. Six era stato un incosciente quanto temerario sguardo nel futuro, tanto che nelle note biografiche della raccolta postuma Kleptomania, pubblicata nel 2004, il giornalista musicale inglese Mark Beaumont scrisse: “In pochi riuscirono a vedere Six per quello che era veramente – uno dei più ispirati, inventivi e decisamente migliori album degli anni ’90. I Radiohead lo riconobbero pubblicamente come ispirazione per i loro personali sforzi sperimentali e potete ascoltare i volteggi eclettici di Six nell’attuale lavoro di The Mars Volta e Muse”.
Paul Draper, da qualche tempo ritornato sulle scene musicali come solista, ne sta preparando un’edizione speciale per il suo ventennale e non c’è momento migliore per testarne la sua “Eredità". Anni dopo commentando Legacy, il singolo/simbolo dell'album che riflette sulla futilità della celebrità e della musica pop accompagnato efficacemente da un video allestito da marionette in stile Big Jim, Draper si chiedeva se era valsa la pena registrare un disco come Six e quale sarebbe stato il ricordo dei Mansun. Diciamo che in entrambi i casi la risposta è senza alcun dubbio positiva.
domenica 25 marzo 2018
Kawri's Whisper - Belle Epoque (2018)
Nati nel 2011 a San Pietroburgo, i Kawri's Whisper firmano il loro primo album con Belle Epoque dopo aver pubblicato due EP e alcuni singoli in passato. I nomi ai quali si sono affiancati come supporto nelle decine di concerti tenuti nel proprio Paese - 65daysofstatic, Tangled Hair, Tera Melos, Tides From Nebula - credo possano indicare più che sufficientemente in quale categoria vada ad inserirsi il gruppo. Comunque sia, in questo esordio post rock intriso di math rock, i Kawri's Whisper sanno essere originali, non ripetendo a vuoto gli insegnamenti dei colleghi ed evitando con cura tutti i luoghi comuni del genere sui quali si può inciampare.
Come per gli spagnoli Circadia anche i Kawri’s Whisper affrontano il post rock da un lato più energico e meno riflessivo, fattore decisamente messo in primo piano nelle composizioni che non si sviluppano su cellule minimali, insormontabili muri elettrici o impercettibili reiterazioni, ma sono in perpetuo movimento, uscendo dai canoni del genere stesso e abbracciando un più vasto prog rock jazz inclusivo di ritmiche elaborate e fraseggi chitarristici virtuosi, varrebbe anche la sola Vostok1, crimsoniana quanto basta, per rendersene conto.
Altra aggiunta che dona spessore e corpo al sound dei Kawri's Whisper è l'elettronica dei synth, la quale adorna You Hear Whales Here come fosse delle tessere di un mosaico inserite casualmente, e i vocalizzi femminili che schiudono Flaming Creatures Against Purple Cubes e Summer Waves a spazi quasi da alternative rock. La carica deflagrante di Girls Want to Be Found e Thundercloud-coloured, alternata a momenti di calma apparente e incursioni fusion, porta i Kawri's Whisper vicini alla new wave math rock statunitense degli Strawberry Girls. Tutto ciò per dire che Belle Epoque sa regalare un'emozione differente per ogni brano, eppure risultare fortemente compatto e omogeneo nella sua vitale e intricata varietà. Uno degli esordi più interessanti dell'anno.
giovedì 22 marzo 2018
Oh Malô - Pedaling Backwards (2018, single)
Il ritorno degli Oh Malô è stato anticipato alcune settimane fa con il singolo Don’t Look, Don’t Stare, preludio ad un nuovo EP in uscita a breve. Il quartetto, nato a Boston al Berklee College of Music e adesso residente a Brooklyn, aveva già nel 2016 pubblicato un album dalla bellezza ammaliante dal titolo As We Were e adesso con il nuovo singolo sembrano rimarcare quelle coordinate, aumentando la posta dell'espressività e della profondità. Pedaling Backwards è un capolavoro ultraterreno che si perde in magici riverberi e disorientanti ritmiche. Brandon Hafetz (chitarra, voce), Jack McLoughlin (chitarra, voce), Jordan Lagana (basso) e Isaac Wang (batteria, tastiere) presentano un brano che cresce poco a poco e un arrangiamento che punta tutto sull'edificazione di atmosfere eteree e sperimentali, non c'è un vero e proprio chorus, ma una sapiente amministrazione di dinamiche create da accordi impalpabili dove la soffice voce di Hafetz si posa con grazia ed eleganza. Gli Oh Malô si confermano una delle migliori band in circolazione attualmente e meritano di sicuro una maggiore attenzione.
https://ohmalo.bandcamp.com/
mercoledì 21 marzo 2018
JYOCHO - A Parallel Universe EP (2018)
Non è passato molto tempo dall'ultimo EP dei JYOCHO o meglio, come li definiscono loro, mini-album, ed oggi viene pubblicato Otagai No Uchu (A Parallel Universe) contenente quattro tracce inedite. Il nuovo materiale sembra una prosecuzione Days in the Bluish House e non avrebbe sfigurato all'interno di quel lavoro andando a formare idealmente un unico full length. Ma l'occasione per questa breve opera è legata al brano (e alla sua controparte acustica A Parallel Definition) che dà il titolo all'EP, il quale è stato pensato come pezzo di chiusura di Collection, una serie anime horror antologica scritta dell'autore Junji Ito.
Se si pensa alle origini dei JYOCHO come prosecutori morali e artistici del math rock degli Uchu Conbini del chitarrista Daijiro Nakagawa, adesso lo stile si sta sempre di più spostando verso un raffinato J-pop che si lascia tentare da chorus cantabili e malinconici. La cristallina bellezza degli altri due inediti Euclid e Pure Circle, ad esempio, appartiene anch'essa a quella categoria stilistica di sigle da anime malinconico che in Giappone solitamente viene affidata a professionisti dall'altissima qualità e quindi non svalutato come mero contorno commerciale per un prodotto di massa.
martedì 20 marzo 2018
COAST - COAST (2018)
Come sempre il fiuto della lanciatissima label australiana Art As Catharsis si dimostra attento a pescare all'interno di una scena musicale che ha ancora tante sorprese da regalare. La nuova offerta che ci propone l'etichetta è l'esordio di quattro giovani jazzisti riuniti sotto la semplice sigla di COAST, i quali non temono di presentarsi con un'opera ambiziosa nella sua ricercatezza e già profondamente matura nel fondere un jazz classico ad una fusion funk (come nei brani Dance 35 e Or Not) senza tralasciare elementi sperimentali. Paul Derricott (batteria), Shannon Stitt (tastiere), Peter Koopman (chitarra) e Michael Avgenicos (sassofono) affrontano le partiture con una certa ruvidità e spigolosità rock su Blackline e White Water, completando in tal modo il quadro delle interazioni tra generi e facendo riferimento ai recenti apprezzati crocevia segnati da gente come Kneebody, Mark Guiliana Quartet e Donny McCaslin, ai quali i COAST ammettono di ispirarsi. Quando su Tide e Obin i suoni vengono avvolti da sfumature più delicate e prettamente prog jazz si vaga tra le parti di Canterbury e dell'improvvisazione, questo per dire che comunque COAST sa offrire molti punti di vista all'approccio sonoro, variabili brano per brano, per soddisfare i gusti più vari.
venerdì 16 marzo 2018
Spirit Fingers (Greg Spero) - Spirit Fingers (2018)
Qualche mese fa parlai del talentuoso pianista jazz Greg Spero e del suo progetto Polyrhythmic in procinto di pubblicare l'album di debutto. Il momento è giunto poiché la data fissata per l'uscita è oggi 16 marzo, ma nel frattempo sono accadute alcune cose. I Polyrhythmic hanno cambiato nome in Spirit Fingres e, mentre il bassista Hadrien Feraud e il batterista Mike Mitchell sono rimasti al proprio posto, adesso alla chitarra abbiamo l'italiano Dario Chiazzolino. Per chi aveva ascoltato l'album dal vivo registrato a Los Angeles a nome Polyrhythmic (quando ancora i brani erano identificati con numeri) la prima cosa che risalta su Spirit Fingers è la loro minor durata anche se rimangono le mirabolanti intersezioni soliste di ogni membro.
In questo Spero si dimostra un leader generoso con i suoi compagni d'avventura, ponendosi più nelle vesti di direttore piuttosto che di virtuoso solista onnipresente. Molto spesso egli guida, sostiene e ritma con il suo piano gli interventi del basso e della chitarra, accompagnati dalla straripante batteria di Mitchell. Gli incontenibili unisoni, sia ritmici che melodici, sono un altro tratto distintivo del quartetto ed in questo caso si sfiora talvolta il reame della musica classica. Credo che Spirit Fingers dovrebbe essere visto come un importante tassello del nuovo jazz contemporaneo: contiene tutto ciò che hanno offerto sinora nomi celebrati che lo affrontano su differenti prospettive come Tigran Hamasyan o GoGo Penguin e anche di più. Nel senso che non si rileva con chiarezza il pianocentrismo del primo né il minimalismo dei secondi, ma una combinazione acuta degli elementi sviluppati ultimamente dal jazz moderno.
Greg Spero si è focalizzato sul progetto Spirit Fingers dopo aver dato l'addio alla pop singer Halsey con la quale tre anni fa aveva iniziato a collaborare scrivendo e suonando con lei, conseguendo inoltre un crescente successo dai primi piccoli concerti a Los Angeles fino a quelli nelle grandi arene intorno al mondo. Oltre a questo, Spero ha da pochissimo iniziato a curare un canale YouTube dedicato alla sua serie Tiny Room dove, con altri musicisti, presenta riletture e nuovi arrangiamenti jazz di canzoni pop contemporanee. I primi a partecipare sono stati Trevor Dahl dei Cheat Codes e Sarah McTaggart dei Transviolet.
Tangled Hair - We Do What We Can (2018)
Nella scena math rock inglese di inizio secolo c'era molto fermento, tanto che le band nascevano e si dissolvevano nello spazio di pochissimo tempo. Il fatto è che ognuna di esse ha lasciato qualche traccia nell'underground anglosassone e tra queste c'erano i Colour, sciolti nel 2009 e titolari di alcuni EP poi raccolti in un unico disco appropriatamente nominato Anthology. Dal 2010 i due ex membri Alan Welsh (voce e chitarra) e James Trood (batteria) hanno formato i Tangled Hair insieme al bassista Alex Lloyd, pubblicando da allora due EP (Apples e First) rimasti un culto tra gli appassionati. Da allora non si è saputo quasi più niente del trio a parte qualche apparizione dal vivo e sessioni in studio che presentava nuovo materiale ancora inedito. I Tangled Hair quindi, nonostante il lungo silenzio, non hanno mai smesso di lavorare e oggi esce finalmente il primo album dal tirolo We Do What We Can che di sicuro potrà essere apprezzato dai fan dei TTNG o dei defunti Tubelord.
domenica 11 marzo 2018
Instrumental (adj.) - Reductio ad Absurdum (2018)
Pare proprio che agli Instrumental (adj.) piaccia la brevità e siano titubanti a regalarci l'ebrezza di un full length. Infatti, a tre anni di distanza dal fulminante EP A Series Of Disagreements, il trio australiano composto da Simon Dawes, Simon Grove e Chris Allison replica quella formula e con Reductio ad Absurdum aggiunge altri tre brani inediti al proprio repertorio. Quello degli Instrumental (adj.) rappresenta un ottimo esempio per capire come si è evoluto il progressive rock strumentale influenzato dal math rock e dal jazz. Per descriverlo si parte come sempre dal pilastro centrale King Crimson, dai quali i riff di Yours traggono i loro tratti principali, per poi arrivare ad Animals As Leaders, Herd of Instinct, passando per i Gordian Knot. In questo particolare momento storico dove i confini musicali sono considerati tali solo da chi ha dei pregiudizi, una band come gli Instrumental (adj.) deve essere necessariamente considerata fusion, anche se al suo interno presenta retaggi metal o djent.
Ormai le poliritmie, l'improvvisazione e il modo di organizzare le composizioni, accostano l'estetica del trio più ad un ensemble jazz che non a puro prog metal. In particolare questa volta gli Instrumental (adj.) mettono in pratica un metodo di svolgimento suddiviso in due parti che lo si potrebbe spiegare con un parallelismo tratto dalla filosofia di Francis Bacon: nei principi della pars construens (dove viene esposto il tema principale) e della pars destruens (la sua "riduzione all'assurdo") risiede la chiave per addentrarsi meglio nella comprensione strutturale di Reductio ad Absurdum. La title-track e Panopticon, dall'andamento più funk, si schiudono nella prima parte a dissonanze, ad improvvisi intermezzi che stravolgono le prospettive ritmiche e a power chords utilizzati come tessere di un mosaico. Nella seconda il gruppo si dedica paradossalmente a incrementare il livello di difficoltà esecutiva tra caos e virtuosismo ragionato. Se cercate musica avventurosa che sfida ad ogni battito le geometrie perfette del prog più convenzionale gli Instrumental (adj.) sono gli unici che possono tener testa a chiunque cerchi di emulare le attuali elucubrazioni strumentali dei King Crimson...e senza il bisogno di scomodare quattro batterie.
mercoledì 7 marzo 2018
Jean Jean - FROIDEPIERRE (2018)
La fredda pietra del titolo FROIDEPIERRE del nuovo album dei Jean Jean si riferisce alle fredde rocce alpine dove il trio ha lavorato intensamente a questi pezzi chiusi in una angusta baita. Ma il risultato non è l'indie folk depresso di Bon Iver, bensì un concentrato di post rock imbevuto di elettronica e spazi psichedelici. Durante la loro storia segnata dall'esordio di tutto rispetto Symmetry i Jean Jean hanno avuto molti cambi di line-up da duo sono diventati quartetto e poi trio, ma sembra che le mutazioni non abbiano influito a livello creativo.
Con FROIDEPIERRE i Jean Jean si collocano accanto alla nuova angolazione di approcciare il post rock declinata con differenti risultati da Vessels, Three Trapped Tigers, Gallops e Strobes. Utilizzando una buona dose di elettronica e minimalismo i tre riescono a dare corpo a pezzi densamente stratificati e di gran spessore come Tensor Field. Non tutto l'album ha la stessa presa, ma il lato del costruire pazientemente grandi architetture tensive rimane pressoché invariato su Anada e Limerence, mentre nella title-track si percepisce un tocco di avanguardia sperimentale. Uno degli elementi più interessanti che caratterizza FROIDEPIERRE è come la synthwave tanto in voga adesso venga applicata ai canoni del post rock: una selva di grandi affreschi per tastiere, piuttosto che le chitarre, riempie il paesaggio sonoro di Event Horizon e Konichiwa. Più che roccia fredda, roccia ibrida.
venerdì 2 marzo 2018
Mile Marker Zero - The Fifth Row (2018)
Non è sempre detto che una band di progressive rock sia da rigettare quando decide di rifarsi ai vecchi canoni estetici di una volta. La storia ci ha insegnato (almeno personalmente) a guardare con un certo sospetto chi cerca inutilmente di riproporre il passato senza un tocco di personalità, ma ogni tanto si palesa l'eccezione alla regola come hanno dimostrato di recente i Perfect Beings con il loro osannato Vier. Adesso, a breve distanza, è il turno della band americana Mile Marker Zero, anche se in realtà il quintetto formato dai fratelli Alley - Dave (voce) e Doug (batteria) - durante gli anni passati a studiare musica presso la Western Connecticut University, è in attività da più di dieci anni ed è titolare di un album omonimo e un EP (Young Rust), ma credo che con The Fifth Row, grazie ad una produzione più sicura e delle idee più chiare a livello stilistico, potranno raggiungere un pubblico più vasto.
Tanto per cominciare The Fifth Row ha tutto ciò che può attirare un appassionato di progressive rock che ama tra le altre cose i concept album distopici, i Rush, gli Spock's Beard e i Dream Theater. Ma, un po' nel segno dei Dream the Electric Sleep, ha anche una grande carica AOR dettata da piacevoli melodie radiofoniche sprigionate dai riff di The Architect e 2001. L'intreccio di tastiere e riff hard rock è una costante, dove le prime tra fuzz, ouverture e fughe aggiungono pathos e passaggi virtuosi alla Jordan Rudess (si ascolti Victory e The Architect), mentre i secondi assicurano un retaggio da classic rock che si rafforza negli accordi provenienti direttamente dal dizionario di Alex Lifeson (Digital Warrior, 2020). Nelle ragnatele di synth di Building a Machine si possono ritrovare le moderne derivazioni electro prog dei Frost*, anche se nel ripetersi strofico il metodo di arrangiare le variazioni è simile a quello utilizzato dagli Spock's Beard dell'era Neal Morse. The Fifth Row è così un grande affresco prog metal di stampo melodico che rinvigorisce certe scelte estetiche che il genere intraprese negli anni '90, ma naturalmente con piglio moderno.
http://milemarkerzero.com/
Hidden Hospitals - Liars (2018)
Sono passati tre anni da Surface Tension, l'esordio con il quale gli Hidden Hospitals si certificavano come eredi math prog dei magnifici ma effimeri Damiera. In questo lasso di tempo sono successe altre cose: il leader e frontman del gruppo David Raymond si è impegnato con la compagna Rachel nel progetto di indie elettronica Stil + Storm e un altro alquanto similare di dark ambient chiamato Given Names formato insieme a Jeremy Perez-Cruz (che cura anche la grafica degli Hidden Hospitals). Dall'altro lato gli Hidden Hospitals hanno perso il secondo chitarrista Steve Downs (che Raymond si era portato dietro dai Damiera), riducendo la band a trio e allo stesso tempo costringendola a ridisegnare il proprio sound al fine di adattarsi alle nuove necessità sonore dato che Downs non è stato rimpiazzato.
Si è creata quindi una situazione che per forza di cose ha imposto a Raymond di proseguire rinnovando il modo di comporre, togliendo alcune cose e aggiungendone altre. Il risultato nato da tutti questi fattori è Liars, in uscita il 18 maggio per la Spartan Records e ancora una volta prodotto dalle sapienti mani di J. Hall, il quale sposta la direzione sonora degli Hidden Hospitals accanto alle esperienze che ha avuto Raymond, riducendo quindi l'apporto della chitarra in favore di synth, suoni e beat elettronici derivati quasi dalla glitch music come la title-track fa intuire o dalla retrowave propagata dai bordoni sintetici di Better Off, anche se il rock però resta sempre ben saldo e presente nella traiettoria del gruppo a giudicare dall'altro singolo Smile and Wave.
www.hiddenhospitals.com
giovedì 1 marzo 2018
Altprogcore March discoveries
Con le composizioni jazz del tastierista Evan Waaramaa e la voce soul di Songyi Jeon i bostoniani Crosswalk Anarchy pubblicano il secondo album dopo molto tempo (il primo lo trovate in streaming qui) e c'è spazio sia per la fusion americana sia per quella di matrice prog europea che guarda in particolare alla scuola di Canterbury.
Lord of Worms, quartetto inglese dedito ad un heavy prog che cita tra le proprie influenze Tool e Soundgarden. In effetti la natura dark e pesante dei riff rimanda a quei modelli con in più alcuni accenni a psichedelia, arie mediorientali e una voce femminile che si inserisce bene nel quadro completo. Questo è solo un EP di esordio, però se riusciranno ad essere incisivi come su Loyal to the Mass potrebbero avere un buon futuro.
Cat Mask è l'esordio del duo canadese Ki The Tree formato da Keegan Rohovich (chitarra) e Brett Lindsay (batteria). Quello dei Ki The Tree è un math rock molto soft con qualche inclinazione atonale e sperimentale che lo rende più atipico: qualche volta si presentano dei collage sonori (Whisper Face, Prospero), math glitch (Never Left), ma più in generale l'aspetto scarno e idiosincratico delle composizioni si avvicina spesso al concetto di minimalismo.
Ancora una volta la fanpage dei The Dear Hunter si rivela ottima fonte di scoperte. In questo caso parliamo dei Dirt Poor Robins, una band che è attiva da dieci anni ma che incredibilmente non ha avuto finora nessuna copertura mediatica. Il gruppo è la creatura dei coniugi Kate e Neil DeGraide che condividono anche le notevoli parti vocali. Su Bandcamp potete trovare i loro ultimi tre album che costituiscono una storia suddivisa in atti (vi ricorda qualcuno?) ispirata alla letteratura di Charles Dickens, C.S.Lewis, Lewis Carroll e Edgar Allan Poe con qualche riferimento al musical e al cabaret, ma per fortuna rielaborati in una forma moderna e orchestrale con melodie molto accattivanti. Gli altri due album The Last Days of Leviathan (2010) e Tha Cage (2007) non sono da meno, ma in generale per i fan dei The Dear Hunter credo possano rappresentare una segnalazione da prendere in considerazione.
Titolari di un buon EP, i Decades tornano con quello che si può definire un doppio singolo, continuando nel segno del rock alternativo atmosferico e sognante presentato nell'EP Similar Lights.
Il carattere del post rock spaziale, rallentato e fluttuante dei russi Antethic rende Ghost Shirt Society un album non scontato e che è bene segnalare tra la marea di proposte all'interno del genere.
Il chitarrista Nick Fondse e il cantante Nick Gammon della band Sit Calm si sono uniti al batterista Jesse Hardie per formare il side project Louser. Intermediate State appare come un EP dalle velleità ambiziose che mischia math rock e post hardcore in quello che pare un experimental punk come una versione più ruvida dei The Mars Volta, soprattutto anche per la qualità acerba della registrazione.