E' da qualche anno che seguo il polistrumentista Matt Stober ed il suo progetto In-Dreamview, con il quale ha intrapreso un approccio strumentale verso il post rock davvero unico e peculiare. In particolare i due album antecedenti a questo Triptych (l'omonimo e Reverie) hanno perfezionato e consolidato un sound che fonde new age, jazz, psichedelia, minimalismo e math rock in un mix suggestivo e molto atmosferico. La strumentazione di cui si serve Stober è ampia - chitarre, piano, percussioni, glockenspiel, kalimba, flauto, vibrafono, sitar, violoncello, ecc - e utilizzata in modo da produrre un umore rilassato, ma con espedienti tecnici che comunque necessitano della giusta attenzione per essere apprezzati al meglio.
Di recente Stober, oltre ad aprire una parentesi musicale a proprio nome nella quale amplifica certi aspetti degli In-Dreamview, si è cimentato anche in differenti progetti in collaborazione con altri musicisti, come Pilot Waves e Made of Water, altrettanto validi e degni di nota. Se finora nei lavori degli In-Dreamview si era impegnato a fare tutto da solo a livello esecutivo, con Triptych ha costituito intorno alla sua figura una vera e propria band, chiamando in formazione i Sun Colored Chair al completo: Ben Coniguliaro (batteria), Quinn Coniguliaro (basso) e Alex Verbickas (chitarra). Il titolo del nuovo album Triptych si riferisce alla sua struttura che comprende tre brani ognuno costituito a sua volta da tre parti strettamente collegate ai pannelli raffigurati nella cover.
Da quel poco che ho letto in giro, anche tra i più appassionati sostenitori dei The Dear Hunter, regna una gran confusione di notizie riguardo al nuovo progetto appena iniziato da Casey Crescenzo e soci. Va comunque detto che una parte di ciò va imputata alla band, decidendo di mantenere un discreto riserbo sul progetto, prima della sua realizzazione. Quindi, prima di tutto, vediamo di mettere ordine al caos che da oggi, forse, con l'uscita di questo EP verrà chiarificato. The Indigo Child è l'introduzione al nuovo universo creato dalla mente di Crescenzo, un racconto fantascientifico che proseguirà per molti album a venire, sulla scia di quanto fatto dai Coheed and Cambria con la saga The Amory Wars e dagli stessi The Dear Hunter con gli Acts.
Le ambizioni di Casey Crescenzo, dopo l'accantonamento del progetto per Act VI, hanno trovato una via multimediale al fine di introdurci nella storia in modo multimediale, attraverso il cortometraggio The Indigo Child: Prologue: Cycle 8 e la sua relativa colonna sonora. Proprio così, il presente EP rappresenta solo un "prologo" a ciò che dovrà arrivare (il primo album della serie dal titolo Antimai è previsto per la prossima primavera) ed è infatti costituito per lo più da tracce strumentali che fanno da commento sonoro al cortometraggio e sono presenti solo due canzoni nel classico senso del termine (una delle quali cantata addirittura dalla compagna di Crescenzo).
Come già accennato in passato The Indigo Child rappresenta anche una nuova veste musicale per il gruppo, che sarà indirizzato su funk, RnB e sonorità anni '80 ed in questa piccola finestra che si è aperta ne appare solo un aspetto ancora in embrione. Gli strumentali sono pesantemente virati verso un sound design futuristico con ampio uso di synth e devono essere considerati in stretta relazione al materiale visivo che vanno a commentare, piuttosto che come strumentali la cui estetica si lega in modo imprescindibile al repertorio dei The Dear Hunter. Anche se rimangono un esperimento interessante, naturalmente l'attenzione è rivolta alle due title-track, anch'esse ammantate da suoni sintetici e che, per questo ed altro, riprendono la visione prog rock dei The Dear Hunter da un nuovo punto di vista.
Dato che The Indigo Child è stato presentato come un progetto musicale al quale collaborano tutti i membri attivamente (la storia comunque rimane del solo Crescenzo), è legittimo pensare che la prima delle due tracce sia influenzata dallo stile electro-funk-prog di Gavin Castleton, che inoltre è anche l'ultimo/unico brano che lo vede coinvolto in quanto il tastierista purtroppo ha lasciato il gruppo lo scorso giugno. La seconda è in sostanza una lenta ballad che richiama le vecchie canzoni swing anni '60 in bilico tra pop hollywoodiano e sonorità armoniche West Coast. Quindi in pratica chi si aspettava un intero album di nuove canzoni rimarrà deluso...oppure no. Per avere un giudizio vero e proprio sull'aspetto stilistico che vestiranno i The Dear Hunter dovremo aspettare ancora qualche mese e intanto goderci il primo assaggio.
Continuando a scavare nell'infinita cornucopia di progetti messi in piedi dal polistrumentista Ben Coniguliaro (che ha appena pubblicato il sorprendente Wippy Bonstack's Dataland, oltre che essere attivo con i Sun Colored Chair) sono arrivato a quello che si può definire la declinazione più estrema del suo approccio estetico al progressive rock. Se nel recente album a nome Wippy Bonstack questo ragazzo di soli 21 anni ha suonato in completa solitudine una moltitudine di strumenti, realizzando un lavoro di elevata complessità, in quest'ultima opera a nome Wyxz viene aiutato dal fratello Quinn (basso) e da Alex Verbickas (chitarra), ovvero gli altri due Sun Colored Chair, oltre che da Matt Hollenberg (Cleric, Simulacrum, Shardik, iNFiNiEN) e ha nientemeno John Zorn come produttore esecutivo.
Odyx infatti è stato pubblicato dalla Tzadik Records, etichetta dello stesso Zorn, ed è addirittura il quinto sforzo discografico dei Wyxz. Il progetto nasce come una variante "brutal prog" sperimentale ed estrema del math rock portato avanti dai Sun Colored Chair, sfociando anche nel noise e nella dissonanza. Questo almeno fino al procedente YiY, non cheOdyx faccia a meno di tali premesse ma ne attenua, per quanto possibile, la componente più astratta e primordiale al fine di privilegiare un caos frenetico e ragionato, utilizzando una maturità eclettica ed esecutiva che negli altri lavori sembrava più dettata dall'anarchia strumentale come valvola di sfogo.
Con Odyx viene smussata la spigolosità di certi passasggi e il gruppo si concentra nel proporre un'innumerevole collezione di spunti tematici schizofrenici a getto di variazioni continue. Per questo l'album impressiona nella sua corsa a sperimentare le ritmiche più strane e i passaggi armonici più assurdi e funambolici. L'incredibile assalto sonico offerto dalle varie tracce non offusca la spaventosa perizia tecnica riversata in ogni passaggio, per dire che qui siamo al cospetto del math rock nella sua forma o essenza più evoluta e complessa data la straordinaria inventiva strumentale e l'incessante susseguirsi di imprevedibili mutamenti dinamici, sonori e stilistici che il gruppo attraversa. Senza alcun dubbio Coniguliaro è un precoce talento che va valorizzato e ciò che sta facendo deve essere conosciuto da ogni amante del prog che si rispetti.
Due anni fa il polistrumentista Jan Kersche aveva dato alle stampe il suo album d'esordio Everything All The Time Forevercon il nome di Like Lovers. Il suo oculato mix di electro pop, art rock e post rock che riusciva ad imprimere un carattere originale ad ogni brano, lo fece entrare di diritto nei primi dieci album preferiti da altprogcore del 2019. Di recente Kersche ha recuperato un pugno di canzoni che, per un motivo o per un altro, sono rimaste fuori da Everything All The Time Forever e le ha raccolte in un altrettanto meritevole EP. La direzione musicale infatti rimane la stessa e, come se non bastasse, ha da poco lanciato il nuovo affascinante singolo dal titolo Antifragility in collaborazione con la cantautrice Elena Steri.
Abituati alla cadenza quasi annuale di pubblicazioni a nome The Dear Hunter è strano pensare che ormai sono passati quattro anni dall'ultimo sussulto dicografico della band di Casey Crescenzo. Ma oggi, alla luce del trailer che presenta il nuovo progetto del gruppo, possiamo intuire perché sia passato così tanto tempo.
Per chi segue in modo attento i progressi dei lavori di Crescenzo e soci, il titolo The Indigo Child è ormai un elemento noto. In pratica si tratta del nuovo ciclo di concept album che si aprirà nella narrazione a grande respiro a cui ci ha abituato il musicista. Quindi si è chiuso il capitolo degli Acts con un punto interrogativo sulla possibile realizzazione della sesta parte, accantonata per il momento a causa di mancanza di fondi (Crescenzo non ha mai svelato precisamente il progetto multimediale a cui ambisce), e ora si apre una nuova epopea che cambia completamente scenario e contesto di racconto. La storia infatti si svolge in un'ambientazione fantascientifica e ovviamente proseguirà su più album, come è stato per gli Acts e avvicinandosi così facendo ai territori sci-fi dei Coheed and Cambria.
Innanzitutto Crescenzo sembra aver riversato le sue ambizioni, messe da parte per Act VI, su questa nuova opera, che sarà anticipata dal cortometraggio The Indigo Child: Prologue: Cycle 8, il quale verrà trasmesso in streaming il 22 ottobre sulla piattaforma DUST. Già dal trailer si può rimanere stupiti per la cura nei dettagli che è stata investita in tale progetto, ma si dovrà attendere il 22 per sapere se, oltre a questo, verrà svelato il primo singolo o qualche dettaglio in più riguardo all'album. Dal punto di vista musicale l'unica cosa data per certa è il cambio di direzione stilistica che, a quanto pare, virerà verso un pop funk psichedelico o, come qualcuno ha già detto, "space funk".
Probabilmente Wippy Bonstack's Dataland è l'album più complesso e ambizioso realizzato da un singolo musicista pubblicato quest'anno. Dietro al nome Wippy Bonstack in realtà infatti si cela il solo polistrumentista Ben Coniguliaro, originariamente chitarrista e batterista dei Sun Colored Chair, qui al suo esordio come solista e suonando ogni singolo strumento in prima persona, senza alcun musicista aggiunto. Giusto per dare un'idea, oltre a quelli già citati, Coniguliaro si cimenta con tastiere, glockenspiel, melodica, marimba, vibrafono, basso, piano, synth e percussioni. Il che diventa tutto molto più impressionante una volta ascoltato ciò che Coniguliaro è riuscito a comporre e suonare per conto proprio. Al di là dei gusti soggettivi infatti è innegabile la natura di alto livello ed estremanete complessa e brillante di cui si fa carico Wippy Bonstack's Dataland.
Come fa notare lo stesso Coniguliaro l'album si muove su un progressive rock elaborato, orchestrale, pop e math rock, citando come esempi di ispirazione Mike Keneally, Gentle Giant, Frank Zappa, Cheer-Accident e Cardiacs. Proprio come questi asrtisti le tredici tracce incluse nei quasi settanta minuti dell'album sono eclettiche, varie, omnicomprensive di innumerevoli cambi tematici e acrobazie strumentali, formando un calderone che si estende dal prog rock più tradizionale a quello più sperimentale, senza tralasciare ampi spiragli pop e passaggi melodici. Per un musicsta così giovane è un risultato notevolissimo, che lascia ammirati per il talento profuso e messo in gioco, non risparmiando nulla. Ascoltare per credere.
I The World Is A Beautiful Place & I Am No Longer Afraid To Die (abbreviato per comodità in TWIABP) sono una tra quelle band che, a partire dal primo album Whenever, If Ever (2013), nella prima metà degli anni '10 hanno contribuito in modo considerevole al consolidamento ed espansione del cosiddetto "emo revival", movimento culminato nel 2014. Adesso che tutta quell'ondata è stata metabolizzata, oltre che maturata e progredita ulteriormente, sembra arrivato il momento per il genere di fare un salto ulteriore ed interrogarsi sulle proprie possibilità e sviluppi.
Illusory Walls, quarto album in studio del gruppo di Philadelphia, è un nuovo tassello per comprendere come all'emo non bastino più gli schemi ai quali è abitualmente confinato, ed è interessante notare come la riduzione della line-up dei TWIABP - dai nove membri originari passata adesso a cinque - sia inversamente proporzionale alle ambizioni messe sul piatto da queste undici tracce. Restando nei confini limitrofi del sottogenere, proprio come di recente hanno provato a spingersi oltre anche gli Adjy, i TWIABP evidentemente si sono sentiti investire dallo stesso bisogno di espandere i propri limiti, scrivendo in maniera più elaborata, flirtando con il prog, il post rock e decidendo di mettere in coda all'album due lunghissime ponderazioni sonore che da sole vanno ad occupare la metà del disco.
Per l'altra metà Illusory Walls si divide idealmente tra tradizione e sperimentazione, dando la possibilità ai TWIABP di operare liberamente su entrambi i livelli. Se su Queen Sophie for President il gruppo mantiene la spigliata leggerezza dell'art pop, in seguito diventa inesorabile alfiere di math metal nel sound saturo e oppressivo di Invading the World of the Guilty as a Spirit of Vengeance. Prendiamo l'apertura di Afraid to Die ad esempio, la quale sintetizza metaforicamente questa transizione dal passato al presente utilizzando una netta spaccatura che prende le mosse da una placida ninnananna indie rock e deflagra improvvisamente in un'imponente ed epica ouverture prog.
La natura multipartita di Died in the Prison of the Holy Office, frenetica cavalcata post rock e finale in sontuoso crescendo orchestrale, fa sembrare la successiva (e collegata) Your Brain is a Rubbermaid quasi un suo prolungamento speculare e apocalittico, una parentesi costituita di suoni astratti e "cinematici", fino a che non irrompe in un poema post metal. Quello che sembrerebbe già un lavoro compiuto con l'arrivo di Trouble, che è un ritorno alle origini della loro ispirazione, pagando tributo tanto
all'emocore dei Sunny Day Real Estate quanto allo space hardcore degli
Hum, come anticipato nella seconda parte si permette un lungo finale dilatato e di grande ambizione grazie alle ultime due tracce.
I quindici minuti di Infinite Josh e i quasi venti di Fewer Afraid si assomigliano nella forma, ma non nella sostanza. La forma cioè, invece che giocare su sezioni che cambiano e si accavallano come ci si potrebbe aspettare da brani così estesi, preferisce concentrarsi sul costruire reiterazioni tematiche che edificano tensioni e crescendo come nel post rock. Quest'ultimo aspetto è particolarmente sottolineato su Fewer Afraid che utilizza archi e tapping chitarristici per aumentare il pathos. Infinite Josh invece è maggiormente epica ed efficace nel creare, oltre che un solido crescendo, anche una reale atmosfera onirica e sognante da principio, per poi proseguire in un trip electro-orchestral-emo suggestivo e corale. Entrambe forse eccedono in autoindulgenza, però nel contesto generale appaiono come un'appendice verbosa, ma necessaria e non fuori luogo, che serve nel completare l'essenza finale dell'album, non nascondendo così la sua brama di grandiosità.
Talvolta i balzi di stile coincidono con quelli di qualità. E' un po' ciò che è accaduto con il secondo album del quartetto inglese blanket. Dopo un EP e il debutto nel 2018 con How to Let Go, i blanket si erano inseriti e immersi con ogni declinazione del caso nel filone più classico del post rock, tanto che i due lavori appena citati si perdevano tra le tante altre proposte che affollano il genere. Il motivo principale era da imputare al fatto che questo veniva affrontato con pochi elementi veramente originali e si accodava, in modo uniforme e senza rilevanti distinzioni, all'interno del post rock.
Modern Escapism ribalta in modo inaspettato la direzione della band. In pratica i blanket abbandonano quei lidi mantenendosi però leggermente aggrappati ad una cornice sonica propria del genere. Ma il quadro generale si sposta tra i confini dello shoegaze, del metal e del prog, facendone uscire un album visionario e suggestivo. L'atmosfera paradossalmente contraddittoria, che dipinge paesaggi oppressivi ed vasti al tempo stesso, si lega in sintonia con il tema portante dell'opera, ovvero la nostra disconnessione dalla realtà quotidiana causata dai social media, i quali, di contro, ci collegano ad un mondo virtuale vuoto e voyeuristico.
I riff minacciosi e aspri di White Noise che si dipanano verso un un ampio spazio cosmico fatto di chitarre elettriche e ritmiche prominenti ci introducono a quella che sarà la summa sonora dell'album, molto compatto e omogeneo nel suo procedere, ma non per questo soggetto a cadute di interesse. L'arte dei blanket si dedica più alla variazione sul tema, riuscendo ad essere poderosi e spietati nelle cupe astrazione di pezzi come Romance e In Awe (con ospite alla voce Kadeem France dei Loathe) o atmosferici e malinconici nelle progressioni metallico-psichedeliche di Firmament, Where the Light Takes Us e The Last Days of the Blue Blood Harvest.
Modern Escapism è uno di quegli album in cui la massiccia distorsione delle chitarre, associata a tappeti elettrici e soundscapes eterei che si stagliano sullo sfondo in modo continuo, attivano quel paradosso, già prerogativa del djent più intellettuale ed evoluto, di non stare ascoltando pesante post metal, ma una sua variante ambient e psichedelica, che indirizza i sensi verso una direzione estatica e meditativa. Per quanto mi riguarda Modern Escapism è il vero esordio dei blanket. Qui siamo al cospetto di una band totalmente diversa e rinnovata, non solo dal punto di vista stilistico, ma anche da quello qualitativo, espressivo e strumentale.
I Monstereo sono un quartetto di Bergen che non pubblicava un album da sette anni. In the Hollow of a Wave è un ritorno in grande spolvero tra hard rock psichedelico, arie retro pop e prog rock anni '70 che ricalcano leggermente la formula dei vecchi Motorpsycho più diretti e meno ambiziosi, messe in atto con lo stesso entusiasmo e lo stesso amore per il passato.
Ricordate gli Eternity Forever? Una band a suo modo seminale che fondeva math rock e R&B, formata da Kurt Travis, Brandon Ewing (CHON) e Ben Rosett (Strawberry Girls). Ecco, ora i primi due presentano il nuovo progetto Gold Necklace dove prendono ciò che si erano prefissati con gli EF e lo portano ad un livello molto più alto, come prova il singolo Vibe With Me, in attesa dell'omonimo album in uscita a dicembre.
Exodus to Infinity
è il nome utilizzato dal polistrumentista Danny Mulligan, il quale, che lo crediate o meno, ha realizzato completamente in solitaria il suo esordio Archetype Asylum nell'arco di cinque faticosi anni.
I musicisti che compongono gli Android Trio, Max Kutner, Eric Klerks e Andrew Niven, si sono messi insieme nel 2014 dopo aver fatto parte delle band Magic Band (ex Captain Beefheart & the Magic Band) e
Grandmothers of Invention (ex Frank Zappa’s Mothers of Invention), suonando un ibrido moderno di prog, jazz e math rock nell'album di esordio del 2017 Road Songs. Il secondo lavoro Other Worlds è in uscita il 22 ottobre per la Cuneiform Records ed è stato co-prodotto da Mike Keneally, il quale ha preso parte come ospite suonando chitarra e tastiere.
Idea EP è l'esordio del trio dal nome piuttosto anonimo di goods che suona un post rock progressivo spaziale e psichedelico.
Il duo canadese Crown Lands formato da Cody Bowles (voce, batteria) e Kevin Comeau (chitarra, tastiere) si è formato nel 2016 suonando un hard rock con tinte blues nei loro primi EP. Da quest'anno le cose però sono un po' cambiate: a partire dal singolo Context: Fearless Pt.1, i Crown Lands hanno optato per una sterzata verso territori prog che mantengono il lagame hard con i Led Zeppelin, ma che richiamano palesemente elementi di Rush, Kansas e sonorità di prog americano, culminati nell'ultimo EP White Buffalo prodotto da David Bottrill (Peter Gabriel, Tool, Muse).
Come i Monstereo gli Himmellegeme arrivano da Bergen e la filosofia estetico-sonora è più o meno la stessa. Nel secondo album Variola Vera esplorano psichedelia e prog rock nelle possibilità offerte dal passato e dal presente.
La prima traccia dell'esistenza dei Foxera è stato il singolo Memories del 2018 che ospitava alla voce Tilian Pearson (Dance Gavin Dance) e presentava un gruppo dedito ad un post hardcore melodico e, comunque sia, più articolato della media. Da quel momento i Foxera, formati dai fratelli Erick Cuellar (chitarra) e Michael Cuellar (batteria) e da Julian Witt (chitarra), si sono messi in cerca di un cantante stabile fino a che nel 2019 hanno reclutato Michael Swank della metalcore band Myka Relocate. Fino ad ora comunque i Foxera si sono limitati a pubblicare dei singoli, anche a causa della pandemia che ha rallentato la loro attività di scrittura.
A visitare la loro pagina Bandcamp si scopre che il trio di Portland degli Shelter Red è attivo sin dal 2003. Beast of the Field è infatti il quarto album della band, anche se fino ad ora non ne avevo mai sentito parlare. Ad ogni modo Beast of the Field è un ottimo biglietto introduttivo ad un sound che fonde post rock e math metal per un album potente che non ha un attimo di tregua durante tutte le sue sette tracce.