mercoledì 24 marzo 2021

Genghis Tron - Dream Weapon (2021)


Quando ormai, più di dieci anni fa, i Genghis Tron decisero di prendersi una pausa, lasciarono ai posteri come ultima testimonianza l'album Board Up the House (2008), una summa del loro metal estremo e sperimentale, unito a droni elettronici algidi e imponenti ibridati in un cyber-core industriale che lasciava un solco profondo in quel sottogenere catalogato come Nintendocore, definendone la prospettiva e le peculiarità come fosse un'istantanea di quella convergenza sonora. Nonostante il gran consenso della critica e dei colleghi riscosso dal lavoro, il gruppo decise nel 2010 di fare un break indefinito con la promessa di tornare sulle scene.

Senza nessuna prospettiva concreta su quanto sarebbe durato lo stop, i Genghis Tron sono risorti per caso quando i due membri del trio originale, Hamilton Jordan (chitarra) e Michael Sochynsky (tastiere), hanno incrociato di nuovo le loro strade nel 2018 e dall'incontro, anche se non era previsto, sono scaturite le prime nuove composizioni per il terzo album Dream Weapon. Ai due si sono poi aggiunti il nuovo cantante Tony Wolski, che ha rimpiazzato Mookie Singerman, e il batterista Nick Yacyshyn. Il destino ha poi voluto che il materiale assemblato per Dream Weapon fosse registrato nel 2020, durante una globale pandemia. La produzione è andata quindi avanti da remoto ma, a detta di Jordan e Sochynsky, questo inaspettato imprevisto ha fatto in modo di spendere più tempo per ridefinire e curare il sound, il mix e l'arrangiamento, coadiuvati dal loro produttore di fiducia Kurt Ballou (Converge) quando hanno iniziato a lavorare nel suo studio.

E' da queste premesse che si capisce perché la band abbia cambiato totalmente approccio, mettendo da parte il Nintendocore e le sonorità più aggressive, optando per un'aggregazione di architetture electro-psichedeliche che, nelle parole di Sochynsky, compongono una direzione più meditativa e ipnotica. Lo stesso modo in cui è stato composto il disco rispecchia una collaborazione tra le parti molto più tesa a sperimentare su loop, frammenti sonori che si espandono e minimalismo d'accumulazione, invece che puntare nuovamente su bombardamenti apocalittici e scream vocali. 
 
Per chi ha conosciuto i Genghis Tron e si aspetta anche una minima ripresa degli eccessi di Board Up the House è bene chiarire che qui non ne troverà traccia. Il gruppo è ora una bestia totalmente differente che pare una sua versione matura e composta, speculare al selvaggio passato, dove pure le raffiche techno-esplosive della title-track, scelta come singolo apripista quasi a far presagire qualche spiraglio devastante, hanno più cose in comune con il math rock che non con il metal, che è un po' come potrebbero suonare i Night Verses se avessero un cantante. Anche la strumentale Single Black Point e la conclusiva Great Mother sono maggiormente in sintonia con l'estetica IDM dei Three Trapped Tigers che non con quella grindcore dei The Dillinger Escape Plan. Si sarà capito quindi che con Dream Weapon i Genghis Tron hanno scelto di viaggiare su latitudini contrarie al passato. Ma forse non poteva essere altrimenti, visto il tanto tempo intercorso tra i due lavori e gli orizzonti, come gli interessi, mutano inevitabilmente anche il linguaggio musicale.
 
A parte gli edifici di synth, fondamenta sulle quali si regge tutto l'impianto, gli altri protagonisti del nuovo sound dei Genghis Tron sono i beat ultra tecnici di Yacyshyn e la voce androide di Wolski, quasi spersonalizzata e sepolta sotto una selva di droni sintetici. Ma tale aspetto è coerente con la direzione dell'album. L'intento del gruppo praticamente sembra quello di portarci in una dimensione ultraterrena, che ciò avvenga attraverso la trance ipnotica di Pyrocene o quella estraniante di Alone in the Heart of the Light, il viaggio non si esaurisce solo con qualche brano ma pervade tutto il percorso. Il mastodonte Ritual Circle, con uno sguardo al passato e uno al presente, apre uno spiraglio temporale su cosa oggi avrebbero potuto realizzare i NEU! utilizzando le jam concentriche psych-rock che erano già prerogativa dei Secret Machines. Anche gli accostamenti stilistici sono quasi paradossali: tra le pieghe dei cluster tastieristici di Sochynsky, abbinati alla chitarra robotica di Jordan, pare di sentire gli Alan Parsons Project degli anni '80 reinterpretati dalle irregolarità tonali dei Battles. In effetti il modo giusto per affrontare l'ascolto di Dream Weapon è quello di immergersi totalmente tra le sue onde di synthrock futurista, non tanto per la complessità della musica che necessita di attenzione, ma piuttosto affinché l'ascolto divenga un'esperienza lisergica dove poter sprofondare.
 

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