Dopo un'ottima presentazione con l'omonimo EP risalente a fine 2016, gli svedesi Karmanjakah ci hanno fatto attendere quasi cinque anni per arrivare all'album d'esordio. Il motivo del lungo tempo trascorso è adesso tutto racchiuso nel risultato ottenuto con A Book About Itself. Se volessimo fare una presentazione molto lapidaria potremmo dire che i Karmanjakah affondano le proprie radici nel djent, ma è chiaro che la loro musica oltrepassa le facili e prevedibili impostazioni del tradizionale prog metal. I Karmanjakah, in sintesi, fanno tesoro di ciò che in passato hanno lasciato per strada altre imprescindibili band scandinave come VOLA, Agent Fresco e 22, ognuna a proprio modo all'avanguardia nell'intendere la progressione del djent verso un elaborato ma accessibile connubio tra pesantezza e melodia.
Le bordate di chitarra con le quali viene aperta Nautilus sono quasi immediatamente mitigate da tappeti di suoni eterei che si insinuano nel sottostrato sonoro, mentre Vårdkasar e Paper Boats sono ancora più esplicite nel combinare orecchiabilità e aggressività, caratteristiche sublimate nell'elettricità sedimentata della chitarra di Viggo Örsan e la voce accattivate di Jonas Lundquist, capace di destreggiarsi senza timore tra pop rock e vocalizzi thrash. Wild Horse è poi una vera e propria giostra di umori contrastanti, partendo come un assalto grindcore fino a raggiungere momenti di contrasto distensivi che strizzano l'occhio addirittura all'R&B. Di Unseen cattura subito l'attenzione il suono e l'arpeggio di chitarra in apertura che rimanda vagamente a Dance on a Volcano dei Genesis, ma è solo un flash poiché la canzone prosegue verso tutt'altri lidi, partendo molto eterea per poi svilupparsi come una ballad in crescendo, comprensiva di una sontuosa coda djent.
First Sun, che ha avuto il compito di essere scelto come primo singolo, è forse il brano più indicato per tratteggiare la transizione dall'EP al full length, inclusivo degli elementi caratteristici di entrambi, tra sottili spore di elettronica, improvvisi squarci mathcore e celestiali passaggi atmosferici compressi in abissi di metal ascetico. Julia e Naustá rappresentano infine le "epic tracks" dell'album, che sublimano il modo di intendere il prog djent da parte dei Karmanjakah: esprimere complessità senza eccedere, mantenendo sempre un filo contiguo con la melodia portante. In conclusione è valsa la pena attendere che il quartetto svedese mettesse a punto i dettagli di A Book About Itself, dato che siamo di fronte ad un esordio più che riuscito.