giovedì 9 giugno 2016

Anderson/Stolt - Invention Of Knowledge (2016)


Invention Of Knowledge non è per me un album facile da recensire e dovrei necessariamente porlo in una prospettiva personale, che equivale metaforicamente ad un nervo scoperto, dato che rappresenta la materializzazione di un incontro tra due mondi del progressive rock che reputo artisticamente agli antipodi. Da una parte troviamo il veterano Jon Anderson, il cantante della mia personale progressive rock band preferita degli anni '70 e cioè gli Yes; dall'altra Roine Stolt, leader dei The Flower Kings, il gruppo che negli anni '90 è stato l'esempio e l'epitome di tutto ciò che il progressive rock non avrebbe dovuto essere. Partendo dalla citazione sonora e dal gusto di essere derivativo fine a se stesso, i The Flower Kings hanno incarnato tutte le caratteristiche dei luoghi comuni che si sono accumulate nel rendere famigerato il genere: l'esagerazione, i barocchismi, le suite infinite. In sintesi, sono stato tanto fan di Anderson quanto, nella stesa misura, non lo sono mai stato di Stolt.

Eppure, proprio perché gli album di Stolt e dei The Flower Kings sono un campionario di progressive rock ricostruito in laboratorio e trionfo dell'artefatto prodotto per fare la felicità dei nostalgici di Yes, Genesis, Emerson, Lake and Palmer, ecc., non ci sarebbe stato nessun'altro più adatto di lui nel realizzare la collaborazione che ha portato a Invention Of Knowledge: in un colpo solo abbiamo la "copia" e l'"originale" che lavorano insieme. Il lancio a sorpresa dell'album, avvenuto qualche mese fa e in uscita il 24 giugno, nasconde una storia nata nel 2014 al Progressive Nation At Sea Cruise, dove, dopo un'esibizione live che vedeva sul palco Anderson e Stolt, il patron della InsideOut Music, Thomas Waber suggerì ai due musicisti una collaborazione che in seguito ha preso il via nel marzo 2015. Per capire il livello della produzione merita soffermarsi a leggere i nomi coinvolti:

- Jon Anderson / voce, tastiere addizionali
- Roine Stolt / chitarre elettriche e acustiche, dobro, chitarra portoghese, lap steel, tastiere, percussioni, backing vocals
Con:
- Tom Brislin (Spiraling) / Yamaha Grand C 7 Piano, Fender Rhodes Piano, organo Hammond B 3 e synth
- Lalle Larsson (Karmakanic, Agents of Mercy) / grand piano e synth
- Jonas Reingold (The Flower Kings, Karmakanic) / basso
- Michael Stolt (Eggs & Dogs) / basso; Taurus pedals
- Felix Lehrmann (The Flower Kings) / batteria
- Daniel Gildenlöw (Pain of Salvation), Nad Sylvan (Unifaun, Agents of Mercy), Anja Obermayer, Maria Rerych, Kristina Westas / backing vocals

Con Anderson c'era quindi partita facile nel lasciare libero sfogo alla "fantasia" in questi ambiti, relegando Stolt nel ruolo di architetto e arrangiatore di lusso dato che, di fatto, il chitarrista svedese ha da sempre plasmato la propria personalità artistica sulle identità sonore altrui. Non importa quindi con quale percentuale i due si siano divisi i compiti di scrittura (andati avanti per un anno e mezzo con molti rimaneggiamenti sul materiale), da qualunque parte lo si guardi, Invention Of Knowledge appartiene alla sensibilità artistica di Jon Anderson e ai suoi mondi immaginifici che egli ha contribuito a ideare con gli Yes. Nelle quattro suite che compongono l'album è come ritrovarsi di colpo dalle parti delle gigantografie sonore di Tales From Topographic Oceans e tra gli spazi fantasy di Olias Of Sunhillow. E, anche mettendo da parte gli scritti del guru indiano Paramahansa Yogananda, Invention Of Knowledge recupera in modo molto efficace quell'anelito mistico-mitologico tanto caro ad Anderson.

Sin dall'inizio con la title-track sembra di essere catapultati nel miglior album degli Yes dai tempi di Magnification. I movimenti Invention e Knowledge, intervallati dalla ballad solenne We Are Truth, azzeccano dei temi molto orecchiabili, privi delle complessità progressive ma piuttosto, come fossero una canzone molto lunga, composti da molteplici filastrocche filosofiche per ascoltatori adulti. Fin dalle prime note il marchio di fabbrica del "Yes style" si impone come un misto tra musica etnica futurista e arazzi new age, dove i vari strumenti, oltre a ricalcare i timbri peculiari di Howe, Squire, White e Wakeman, aggiungono quel tocco tipico dell'Anderson solista nell'utilizzo di strumenti inusuali per il rock tipo arpa, sitar elettrico, chitarra portoghese e percussioni esotiche, al fine di plasmare un ipotetico sound per mondi fantastici e immaginari.

In particolare l'opera si circonda di quell'aura di sacralità da visione spirituale e naturalistica che da sempre permea la sensibilità andersoninana della musica, ma inevitabilmente in modo meno coinvolgente di come avveniva in passato, sopratutto quando i musicisti cercano di mantenere un aspetto del sound più distaccato dal prog dei '70, come nel canto di adorazione Knowing che si collega al gospel pagano Chase and Harmony. Le tre parti di Everybody Heals vibrano tra le divergenti dimensioni della grande opera sinfonica e la moderazione acustica di Wonderous Stories, con intermezzi orchestrali e anche fusion da camera, rappresentando, a livello di concezione e verietà, il brano più riuscito. Con un leggero sapore tra il soul e il sudamericano abbastanza singolare, Know... si ritrasforma, durante il suo sviluppo, in un carteggio sonoro debitore tanto di Topographic Oceans quanto di Relayer e Awaken, ma con armonie molto più leziose.

Tutto sommato, però, Invention of Knowledge è un lavoro che in più punti funziona, possedendo anche aspetti degni di nota, poiché ad ogni modo non cede al ricatto della nostalgia e cerca effettivamente di rileggere il progressive rock classico in una maniera che non sia totalmente devozionale. Il fatto però è un altro, ovvero che quella che sulla carta poteva essere un'operazione dagli aspetti curiosi e stimolanti, arrivata dopo overdosi di Transatlantici, Martelli di Vetro, Barbe di Spock, Re di Fiori, Tangenti, Colori Volanti e Agenti della Misericordia, diviene quasi un'occasione realizzata fuori tempo massimo, con il rischio di perdersi nella moltitudine, invece di rappresentare un evento. Nel senso che, negli ultimi venti anni, si sono accumulati album i quali non hanno fatto altro che incarnare potenziali proseguimenti di gruppi scomparsi molto tempo prima, ricalcati su determinate direttive come fossero dei sequel apocrifi. C'è chi, in tale ambito, ha prodotto cose qualitativamente egregie, chi ne ha prodotte di meno, ma ecco perché Invention of Knowledge perde un po' di spessore messo in tale prospettiva, nonostante la metà del progetto sia a nome di chi quella musica ha contribuito ad inventarla. Quindi, siamo davvero sicuri che tutto quel progressive derivativo, più che essere di aiuto, non rappresenti invece un ingombro per un album come questo?

Tracklist:
I. Invention of Knowledge
1. Invention (9:41)
2. We Are Truth (6:41)
3. Knowledge (6:30)
II. Knowing
4. Knowing (10:31)
5. Chase and Harmony (7:17)
III. Everybody Heals
6. Everybody Heals (7:36)
7. Better by Far (2:03)
8. Golden Light (3:30)
IV. Final
9. Know... (11:13)

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