mercoledì 31 luglio 2013
I migliori album che non avete mai ascoltato: FINNEUS GAUGE- More Once More (1997)
Alla fine del 1995 gli echolyn, il miglior gruppo di progressive rock degli anni '90, si sciolsero. Mentre i 3/5 del gruppo (Kull, Ramsey, Weston) andarono a formare gli Always Almost, il tastierista Chris Buzby formò i Finneus Gauge (storpiatura del nome Phineas Gage). Il quintetto era formato, oltre che da Buzby, dal fratello John (batteria), dal chitarrista virtuoso Scott McGill, Laura Martin (voce) e Chris Eike (basso). Per chi aveva amato gli echolyn i Finneus Gauge, più che gli Always Almost, rappresentavano un'ottima alternativa, anche se la musica era maggiormente complessa, dato che aderivano ad un'estetica progressive molto più marcata.
Il disco d'esordio More Once More è un gigantesco tour de force jazz rock di oltre 70 minuti dove si sfoga tutta l'ambizione virtuosa di Buzby. Le complicate partiture fusion si uniscono ad assalti di prog sinfonico, mutuato dalle tastiere di Buzby, con la chitarra dal suono aspro di McGill in grande spolvero che aggiunge un tocco tra il free jazz e l'hard rock. Proprio McGill avvicina la musica dei Finneus Gauge alle ricerche armoniche di Allan Holdsworth e ai primi album di Bill Bruford, mentre le polifonie vocali abbinate a tempi dispari e a fughe sinfoniche possono ricordare i Gentle Giant. I Finneus Gauge durarono lo spazio di un altro album (One Inch of the Fall del 1999), altrettanto affascinante, dai toni più dark e forse ancor più complesso dal punto di vista della ricerca armonica. L'anno dopo gli echolyn tornarono insieme e questa breve, ma intensa, avventura "solista" di Buzby fu archiviata, ma consiglio vivamente di recuperare almeno questo fantastico album.
Come per i Kite non ho trovato nulla su YouTube e mi sono permesso di caricare questi due brani per dare un'idea dell'album:
lunedì 29 luglio 2013
Roger Waters: The Wall 2013 - Il concerto definitivo
Si dice che nell'antichità, in India, i migliori produttori di tappeti che ne intrecciavano con abilità i molteplici fili, dando vita a fantastiche decorazioni, lasciassero l'ultimo filo libero, non intrecciato. Altrimenti il tappeto sarebbe stato troppo perfetto. Qualche volta vale la stessa regola nella vita di tutti i giorni. Quanto sarebbe stato bello poter vedere accanto a Roger Waters nel tour di The Wall David Gilmour e Nick Mason ora che le vecchie ruggini sembrano sparite? E' vero, sarebbe stato bello, una perfezione assoluta, ma anche così è già stato straordinario.
Per quel che mi riguarda è stato il concerto della vita. Credo che difficilmente riuscirò a vedere uno spettacolo anche minimamente paragonabile a questo. Come si fa a raccontare un concerto come The Wall? Semplicemente, non si può. E' un'esperienza che va vissuta in prima persona, perché The Wall non è un concerto come tutti gli altri. Assistervi vuol dire partecipare in diretta all'esecuzione di un'opera d'arte multimediale. Musica, poesia, video, scenografie, coreografie tutto sincronizzato in un unico capolavoro di due ore. Non si può raccontare ed infatti non lo racconterò. Perché mi rendo conto che anche guardare il filmato che segue - oltretutto ufficiale - tratto dal concerto di Londra (e con Gilmour ospite alla chitarra) non rende comunque l'idea. Anche un'eventuale realizzazione in DVD credo sarebbe limitata, a meno di non suddividere lo schermo TV in diverse angolazioni di ripresa che danno la possibilità di potersi godere simultaneamente tutto ciò che succede nel palco e oltre.
Volevo solo far notare come ancora il progressive rock sia vittima di ostracismo e viaggi su un binario diverso rispetto al rock, diciamo, "tradizionale", pur parlando di una band multimilionaria come i Pink Floyd. Infatti sembra che l'evento musicale dell'anno non fosse abbastanza trendy per i giornalisti in generale e soprattutto per quelli di Repubblica che, nelle scorse settimane, nel loro sito web, avevano pompato fino alla noia i concerti italiani di Bruce Springsteen e Depeche Mode, con tanto di live tweets e cronaca minuto per minuto raccontata anche attraverso i partecipanti. E poi, ritornando nel nostro piccolo, ci chiediamo perché di certi artisti più meritevoli di altri non si parla mai. Si vede che ognuno ha i suoi cocchi.
mercoledì 24 luglio 2013
THE REIGN OF KINDO - Play with Fire (2013)
Ricordo bene quando scoprii i The Reign of Kindo. Fu grazie ad un link di Amazon che, tramite i miei passati acquisti, mi consigliava Rhythm, Chord & Melody. Incuriosito da quella copertina che si ispirava al live album At Carnegie Hall del Dave Brubeck Quartet cercai la loro pagina MySpace (all'epoca - giusto 5 anni fa - andava di moda questo social network) e ascoltai qualcosa. Rimasi letteralmente a bocca aperta per quel geniale connubio di jazz-rock, ritmiche sud americane e alternative rock, realizzato con produzione cristallina e tecnica invidiabile.
Arrivati al terzo album i The Reign of Kindo non hanno perso la voglia di stupire, ma hanno dovuto rinunciare al notevole piano di Kelly Sciandra, rimpiazzato più che egregiamente da Danny Pizarro e, forse proprio per questo, si sono spinti ad esplorare un lato inedito del loro rock, immergendolo ancora di più in atmosfere derivate dalla musica black (jazz, funk e soul). Ciò che risalta in primo luogo è l'uso molto più massiccio del solito dei fiati, utilizzati sia per punteggiare l'accompagnamento, sia negli assoli, come appare sin dalla traccia di apertura The Hero, the Saint, the Tyrant and the Terrorist. Le modulazioni armoniche che portano a cambi tematici inaspettati sono l'altro cardine sul quale poggiano quasi tutte le canzoni.
Oltre a questo, per certi versi, il quintetto di Buffalo ha addolcito ancor di più le sue orecchiabili melodie e ne ha tirate fuori alcune memorabili da far invidia agli insulsi crooner creati a tavolino per scimmiottare i gloriosi cantanti swing di una volta (a proposito perché qualcuno non propone i The Reign of Kindo per la prossima edizione di Umbria Jazz? Farebbero un figurone). Le ritmiche bossa nova di Impossible World sono probabilmente un omaggio al Brasile, Paese dove il gruppo è abbastanza popolare, essendosi esibiti in tour più di una volta. Feeling the Night ha quel tocco pop fusion che riprende la professionalità dei Toto, mentre il funk rock di I Hate Music trasuda una classe infinita.
In mezzo a tanta grazia ci sono anche degli episodi in tono minore come Don't Haze Me e Dust (con tracce del Pat Metheny Group) che sembrano dei brani in cerca di definizione, non proprio messi a fuoco. Ma, comunque sia, rimangono sempre su buoni livelli. Qualche volta si tocca la leziosità compiaciuta con la samba di Romancing a Stranger ed anche Sunshine si lascia andare a smancerie smaccatamente pop. Ciò non toglie che i The Reign of Kindo suonano e compongono musica d'alta scuola come pochi altri, dimostrando ancora una volta di essere tra i migliori interpreti del jazz pop contemporaneo.
www.thereignofkindo.com
lunedì 22 luglio 2013
I migliori album che non avete mai ascoltato: KITE - Gravity (1997)
Gravity uscì oltretutto anche in una confezione particolare: un box set formato vinile che conteneva il CD, un diario delle registrazioni scritto dal batterista Michael Koepp, un booklet con i testi e relativo artwork ispirato ad ogni canzone e un adesivo con il logo della band. Sforzo non indifferente se si pensa che era un'opera d'esordio ed in più autoprodotta. Oltre a questo assaggio vi consiglio caldamente l'ascolto completo dell'album che è un mix di grunge, progressive rock e folk psichedelico. I Kite sono tutt'ora in attività, pur avendo perso per strada la dotatissima voce di Monte Thompson, hanno prodotto anche altri CD, validi, anche se non all'altezza di Gravity.
http://kitetheband.com/now/
venerdì 19 luglio 2013
KARNIVOOL - Asymmetry (2013)
Dopo anni di predominio "occidentale" sembra che, negli ultimi anni, la scena musicale dell'emisfero australe stia vivendo un periodo d'oro. Non sono bastati i riconoscimenti ad artisti come Gotye e Kimbra per sottolineare quanto abbiano da dire dall'altra parte del mondo in materia di musica pop e rock. Sono ormai lontani i tempi in cui gli Shihad tenevano alta, in solitaria, la bandiera dell'alternative rock neozelandese. Ma ciò che è cresciuto con maggior convinzione in queste terre (Australia e Nuova Zelanda) è un manipolo di gruppi che si possono catalogare come progressive o alternative metal, dei quali i Karnivool sono divenuti, grazie al monumentale Sound Awake, i principali e più autorevoli portavoce.
E così, dopo quattro anni di lavoro, ecco arrivare l'attesissimo successore di Sound Awake per capire come si è evoluto il suono del gruppo di Perth. La prima cosa da dire è che, proprio come quest'ultimo, anche Asymmetry terrà occupate parecchio le nostre orecchie prima di penetrarvi completamente e con chiarezza. I Karnivool hanno mantenuto quella scrittura imprevedibile che lascia i brani dispiegarsi in un crescendo di pathos e drammaticità. Le tensioni metal dei Tool ci sono ancora e costituiscono da sempre il seme che si muove sotto traccia nella musica del quintetto, ma il suo influsso non ha mai messo in discussione il valore autonomo delle loro composizioni.
Penso che il primo pezzo presentato in anteprima, The Refusal, abbia spiazzato un po' tutti per la sua carica aggressiva: una cruda esplosione di rabbia molto più selvaggia del solito, dettata da riff oscuri e urla belluine. Per fortuna è solo un'eccezione. In realtà il disco rispetta abbastanza ciò che ci si può aspettare dai Karnivool, anche se le sorprese non mancano. Detto ciò è bene chiarire subito che con Asymmetry il gruppo non ha voluto ripetersi e ha cercato di battere nuove direzioni. Il disco appare proprio in questo il più glaciale (musicalmente) ed oscuro (tematicamente) prodotto sinora dalla band.
Ad onor del vero, comunque, quella che considero la prima parte (che viene separata idealmente dalla seconda attraverso la title-track) mi ha lasciato piuttosto indifferente. In pratica si ha un pugno di brani potenti che fanno il loro dovere - a partire dalla molto "oceansizeiana" Nachash, passando alla caotica A.M. War fino ad arrivare dall'atmosferica tensione di We Are -, ma che non lasciano una traccia profonda. La calibrazione del mixaggio è attentissima a dare risalto ad ogni singolo strumento: chitarre mai così affilate e aggressive e la sezione ritmica, tra un basso dai contorni imponenti e una batteria martellante, appare quasi devastante.
A suo modo Sound Awake presentava delle linee melodiche significative e più incisive. Asymmetry è sì un passo in avanti, ma verso qualcosa di ignoto: i pezzi ruotano attorno a delle strutture che esplorano dei temi a mo' di spirale, ma non li sviscerano mai appieno, non si arriva ad un climax per poi ripartire, come potevano fare, ad esempio, dei pezzi come New Day o Umbra. Qui c'è un percorso in crescendo che può toccare vette eccelse come in Aeons, non a caso uno dei pezzi più ambiziosi e suggestivi del lotto, oppure implodere nella dichiarazione d'intenti, lodevole, ma non del tutto riuscita di Sky Machine.
La seconda parte è quella dove i Karnivool osano di più, rimettendo in discussione ciò che abbiamo sentito finora. Le atmosfere si fanno più rarefatte e meditabonde sin da Eidolon che promette più di quanto non mantenga veramente. Unica eccezione ad interrompere la calma, dopo la succitata Sky Machine, è The Last Few che ritorna per un attimo ad un metal psichedelico lontano parente dei migliori Soundgarden. Il dittico Float e Alpha Omega è il più disorientante e sperimentale. Una ninnananna con chitarra microtonale la prima, mentre la seconda, sempre sulla linea impostata da Float, si apre con arie vagamente jazzy per poi esplodere in un mantra elettrico. L'impressionismo aleatorio di Om - un calmo strumentale composto da poche note di piano - è forse il modo migliore per chiudere un'opera che si vuol presentare spiazzante e al tempo stesso conservatrice.
Asymmetry è talmente singolare ed eterogeneo da far pensare ad un lavoro di transizione. Non tanto per l'indecisione nei confronti di quale strada intraprendere, ma piuttosto perché sono presenti degli elementi con alto potenziale di miglioramento. Asymmetry quindi non è quel capolavoro che forse molti si aspettavano dai Karnivool, ma è un album che presenta una band in continua ricerca e crescita. Il che, tutto sommato, è un bene.
www.karnivool.com.au
martedì 9 luglio 2013
Discipline - Chaos Out of Order (2013)
I Discipline hanno da poco pubblicato per la prima volta in CD la riedizione di Chaos Out of Order, primo album ufficiale della band di Detroit, stampato nel 1988 solo in cassetta. Di alcuni brani sono trapelate negli anni delle registrazioni live come Mickey Mouse Man (che potete ascoltare qui sotto), ma finalmente l'anniversario dei 25 anni ha colto l'occasione per rendere accessibile questa rarità. Naturalmente si tratta di una produzione molto spartana composta da una registrazione "cruda" e, per chi ancora non conoscesse il gruppo, è meglio iniziare da qualcos'altro come il classico Unfolded Like Staircase.
Discipline’s first full length release, “Chaos Out of Order” (1988) was the only concept album recorded by the Detroit area band. This twenty-five year anniversary reissue includes the original songs and an extra track recorded by the same lineup in 1987.
Track Listing:
- Man & the Locust, parts 1 and 2
- Still Night
- Trying to Catch my Senses
- Uphill Climb
- Man in Transition
- Conscious Slumber, The
- Mickey Mouse Man
- Interlude
- Wrists
- Peacemaker (1987)
sabato 6 luglio 2013
Sharks Took the Rest - Too Late for Logic (2013)
http://www.sharkstooktherest.com/
giovedì 4 luglio 2013
Dead Letter Circus - Nuovo album e singolo
The Catalyst Fire, il nuovo album degli australiani Dead Letter Circus, uscirà il 9 agosto e proprio oggi la radio australiana Triple J ha trasmesso in anteprima il singolo Lodestar (domani credo uscirà anche il video). Qualcuno deve aver fatto un audiorip e lo ha postato su Soundcloud cosicché anche noi ce lo possiamo ascoltare. Come prima impressione non mi sembra che il gruppo si sia discostato molto dai propri canoni, anzi su questo brano vi si riconoscono molti passaggi simili ad altri vecchi pezzi.
Track listing -
1. The Cure
2. Alone Awake
3. Burning Man
4. Lodestar
5. I Am
6. Say Your Prayers
7. The Veil
8. Insider
9. Lost Without Leaders
10. Stand Apart
11. Kachina
http://deadlettercircus.com/
mercoledì 3 luglio 2013
Classifica di metà anno - un bilancio provvisorio
Dato che in molti stanno già tirando le somme di metà anno in musica, mi è venuta voglia di buttare giù una classifica provvisoria anche a me. Sarò conciso e, al contrario della classifica di fine anno, ne approfitto per aggiungere anche le delusioni arrivate sinora. E aggiungo che mai come in questo momento tale classifica è precaria, dato che in poco più di un mese vedranno la luce importanti uscite come Karnivool, The Reign of Kindo e Dead Letter Circus, destinate a raggiungere posti considerevoli, a meno che non vi siano clamorosi scivoloni s'intende. Per chi volesse tenere d'occhio la mia personale classifica (con relativi commenti agli album) anche nei prossimi mesi ricordo di visitare il Best of 2013 sempre disponibile su RYM.
Infine, anche se credo non ce ne sia bisogno, ricordo inoltre che tale classifica, nonostante il blog si occupi principalmente di progressive rock, non è relegata esclusivamente a tale genere, ma comprende e abbraccia anche gli altri generi come è giusto che sia.
I migliori album del 2013 ascoltati finora:
1. Disperse - Living Mirrors
2. Stellar Young - Everything at Once
3. The Dear Hunter - Migrant
4. Owen - L'ami du Peuple
5. HRVRD - From the Bird's Cage
6. Big Big Train - English Electric - Part 2
7. Coheed and Cambria - The Afterman: Descension
8. Steven Wilson - The Raven That Refused to Sing
9. Paramore - Paramore
10. Sound of Contact - Dimensionaut
Gli album che anche se non sono tra i primi dieci meritano comunque di essere menzionati (in ordine sparso):
Everything Everything - Arc
Sharks Took the Rest - Too Late for Logic
The Trophy Fire - Directions for Daylight
Jaga Jazzist - Live with Britten Sinfonia
Owel - Owel
Not a Good Sign - Not a Good Sign
Le delusioni (in ordine sparso):
Amplifier - Echo Street
TesseracT - Altered State
Bosnian Rainbows - Bosnian Rainbows
Leprous - Coal
Arcane Roots - Blood & Chemistry
Riverside - Shrine of New Generation Slaves
Tera Melos - X'ed Out
Motorpsycho - Still Life with Eggplant
Spock's Beard - Brief Nocturnes and Dreamless Sleep
Infine, anche se credo non ce ne sia bisogno, ricordo inoltre che tale classifica, nonostante il blog si occupi principalmente di progressive rock, non è relegata esclusivamente a tale genere, ma comprende e abbraccia anche gli altri generi come è giusto che sia.
I migliori album del 2013 ascoltati finora:
1. Disperse - Living Mirrors
2. Stellar Young - Everything at Once
3. The Dear Hunter - Migrant
4. Owen - L'ami du Peuple
5. HRVRD - From the Bird's Cage
6. Big Big Train - English Electric - Part 2
7. Coheed and Cambria - The Afterman: Descension
8. Steven Wilson - The Raven That Refused to Sing
9. Paramore - Paramore
10. Sound of Contact - Dimensionaut
Gli album che anche se non sono tra i primi dieci meritano comunque di essere menzionati (in ordine sparso):
Everything Everything - Arc
Sharks Took the Rest - Too Late for Logic
The Trophy Fire - Directions for Daylight
Jaga Jazzist - Live with Britten Sinfonia
Owel - Owel
Not a Good Sign - Not a Good Sign
Le delusioni (in ordine sparso):
Amplifier - Echo Street
TesseracT - Altered State
Bosnian Rainbows - Bosnian Rainbows
Leprous - Coal
Arcane Roots - Blood & Chemistry
Riverside - Shrine of New Generation Slaves
Tera Melos - X'ed Out
Motorpsycho - Still Life with Eggplant
Spock's Beard - Brief Nocturnes and Dreamless Sleep
lunedì 1 luglio 2013
Owen - L'Ami du Peuple (2013)
Nella corposa discografia solista di Mike Kinsella (alias Owen, ex American Football e già nei recenti Their / They're / There, oltre che in altre numerose band), L’Ami du Peuple (titolo ripreso dal giornale politico fondato da Marat durante la Rivoluzione francese) credo rappresenti una delle migliori opere uscite dalla sua penna. La grande novità di questo album è la decisione di Kinsella di aggiungere alle sue ballate per chitarra acustica un impianto da rock band con tanto di batteria, basso e chitarra elettrica.
La riccamente arrangiata Blues to Black, ad esempio, è distante anni luce dai pezzi del passato. Vi trasuda ancora la malinconia di un tempo, ma tutta la canzone si sviluppa in maniera epica, a partire dal coro iniziale, il giocoso glockenspiel, la perfetta progressione di accordi, sino al poderoso finale (Tonight I'll sleep in the gutter / Tomorrow I won't remember / By the time I'm home / This nightmare will be only a dream). Gli altri strumenti fanno riscoprire a Kinsella pure il proprio retaggio proveniente dagli American Football, che si palesa nelle sbilenche bordate di math rock di Bad Blood, una struggente dichiarazione di resa (Bad blood / Hereditary mob you can't run away from / Trust me I've tried / You're better off holding your freak flag high) che contiene un fulminante solo di chitarra elettrica.
Kinsella è un poeta che racconta storie ordinarie e comuni, talvolta con disincanto, altre con delicata e sentita partecipazione, ma anche altrettanto realismo corrosivo. Il cinismo di Love is Not Enough viene suggerito in due semplici versi (Love is not enough / We need some money) e la rassegnazione di Coffin Companions passa tra una citazione degli Smiths e la consapevolezza di essere intrappolati in una routine da classe proletaria americana. Anche l'amore viene tratto in maniera non convenzionale, visto quasi come malattia da cui liberarsi in A Fever. Il disco si chiude con due canzoni collegate, con arrangiamenti scarni (chitarra fingerpicking e piano), riprendendo l'indie folk acustico degli album precedenti. Where Do I Begin è quasi un seguito di Coffin Companions per le tematiche trattate, mentre Vivid Dreams conclude con un gusto dolceamaro.
Con la sua vocalità idiosincratica, tutt’altro che virtuosa e quasi svogliata, Kinsella si pone in antitesi all’immacolata soavità del folk magico di Justin Vernon, senza paura di sporcarla con spietati racconti di quotidiane tribolazioni terrene. Se per gli altri lavori di Kinsella era consigliabile un ascolto in determinati stati d’animo (possibilmente malinconici), questo lo si può (anzi lo si deve) ascoltare in qualsiasi occasione. Io ad esempio sono giorni che non ascolto altro, davvero uno dei migliori album del 2013.
Tracklist:
01. I Got High
02. Blues to Black
03. Love Is Not Enough
04. Coffin Companions
05. The Burial
06. Bad Blood
07. Who Cares?
08. A Fever
09. Where Do I Begin?
10. Vivid Dreams
http://owenmusic.com/
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