domenica 28 maggio 2023

Sea in the Sky - Fall in Place (2023)


Dopo l'album di debutto del 2017 Everything All at Once, i Sea in the Sky si sono presi una bella pausa, a parte l'EP Dreamer (2020) che ne rivisitava strumentalmente tre tracce. Il gruppo infatti in origine era partito come una delle tante realtà della scena prog fusion/djent esclusivamente strumentale, distinguendosi piuttosto bene con l'EP Serenity (2014) per poi aggiungere alla propria formula il vocalist Sam Kohl.

Con il nuovo EP Fall in Place, anticipato dal singolo Wait, Patiently lo scorso anno, i Sea in the Sky si sono presi il tempo per far maturare la scrittura dei pezzi e, rispetto a Everything All at Once, ad ognuna delle tracce viene impressa una personalità che in quell'album latitava. Certo, parliamo sempre di djent e della sua evoluzione nella sfera strumentale fusion, ma qui non c'è nulla di generico, la band riprende anzi quello spirito stimolante che la aveva caratterizzata all'esordio e mantiene il dipanarsi dei pezzi fluido e multiforme. Le melodie sono più incisive, i groove conservano un tiro costante ad ogni cambio ritmico, gli umori sanno attraversare vari sbalzi senza mai risultare esagerati, ma quel tanto che basta per essere funzionali alle dinamiche. Ne esce spesso un'atmosfera sognante e caleidoscopica, anche nei momenti maggiormente aggressivi determinando così la riuscita di questo nuovo EP.

venerdì 26 maggio 2023

The Intersphere - Wanderer (2023)


In ambito alternative rock esistono band che tecnicamente si elevano sopra la media, pur non dedicandosi apertamente a composizioni articolate e complesse. La loro capacità si continua a percepire nel modo in cui arrangiano un pezzo e nel modo in cui lo eseguono, inserendo durante il suo percorso trucchi e abbellimenti strumentali che lo valorizzano e lo fanno risaltare ancora di più. Talvolta succede che alcuni di questi gruppi si pieghino troppo a regole commerciali e finiscano poi per soffocare tali espedienti in favore di una scrittura piatta e prevedibile. Gli Intersphere appartengono invece a uno di quei rari casi in cui la freschezza riesce a perdurare, anche nei brani che all'apparenza possono risultare meno interessanti.

Questo per dire che nel loro ultimo album Wanderer si possono trovare episodi che non reggono il confronto con la scrittura ispirata e ad alto tasso emozionale dei singoli micidiali che lo hanno preceduto, come la title-track o Down, ma gli Intersphere mantengono costantemente interessante e divertente il livello dell'attitudine con la quale affrontano l'esecuzione. Preservando l'energia che gli è propria, il quartetto tedesco si cimenta nella nuova prova con una parabola simile a quella dei Biffy Clyro, aprendosi a traiettorie più semplici, dirette e commerciali, sia che si tratti di riff contaminati di groove elettronici con Bulletproof o più ballabili come Who Likes to Deal with Death?, sia che si arrivi all'impostazione quasi hip hop/nu metal nella spiazzante e rabbiosa Heads Will Roll, atmosfera che poi si replica come un macigno nella industriale A La Carte.

Il loro stile rimane qui più che mai ancorato a pezzi dalla struttura formale convenzionale e una propensione ad annettere elementi pop e metal maggiormente spiccata, ma in passato più di una volta sono stati accostati al progressive rock. Un motivo ci sarà e su Wanderer lo si può ancora rintracciare, per come vengono organizzate le scelte dinamiche, mai scontate, e come sono architettati i suoni all'interno di una produzione al solito di gran respiro. Treasure Chest, per il suo equilibrio nell'edificare un'atmosfera allo stesso tempo rock ed eterea, è uno degli esempi migliori per cogliere la grande abilità del gruppo nel dosare i giusti elementi ed ingredienti strumentali.

All'interno di Wanderer ci sono brani che non aggiungono molto alla carriera degli Intersphere, come Always on the Run e Corrupter, mentre la ballad Under Water non ha la stessa potenza memorabile che la band sa infondere abitualmente alla traccia di chiusura di ogni loro album. Nonostante questa virata verso parametri più concisi e meno elaborati (in direzione opposta rispetto al precedente The Grand Delusion), Wanderer non manca di valorizzare la scrittura che rende riconoscibile il sound degli Intersphere e diventa per questo un ascolto che, si spera, abbia le potenzialità di portare la band ad avere un riscontro di pubblico più ampio.

mercoledì 17 maggio 2023

Sleep Token - Take Me Back to Eden (2023)



Avendo già parlato diffusamente in passato della mitologia creata dagli Sleep Token (ricordo che altprogcore è stato tra i primissimi a presentare il gruppo, quando ancora era sconosciuto ai più), salterei direttamente i convenevoli e andrei subito ad occuparmi di Take Me Back to Eden, terzo album a quanto pare attesissimo. Sì, perché dal precedente This Place Will Become Your Tomb il culto Sleep Token si è allargato a dismisura fino a sfociare di recente ad un vero e proprio hype. Con una indovinatissima e fortunata campagna promozionale iniziata i primi giorni di gennaio con l'uscita in contemporanea dei singoli Chokehold e The Summoning, nel giro di dodici giorni la band inglese ha triplicato i suoi ascoltatori su Spotify e da quel momento la sua marcia non si è più fermata, incassando pure l'endorsement di Demi Lovato attraverso il suo profilo Instagram.

E' ovvio che, se si parla di Sleep Token, si parla di alt metal, djent e prog, generi non proprio per tutti i gusti, ma la natura peculiare del gruppo, improntata su uno stile trasversale e ibrido che spesso e volentieri filtra il suo messaggio servendosi di canoni appartenenti alla sfera pop, lo ha reso appetibile ad un pubblico più vasto. Take Me Back to Eden sembra l'album perfetto per mantenere questo status crescente di nuove superstar del metal alternativo. Se la prima opera Sundowning era la perfetta sintesi di questa estetica incastonata tra potenti groove djent e languidi passaggi da ballad r&b, la seconda This Place Will Become Your Tomb andava ad evidenziare i limiti di certi aspetti della loro proposta, perdendosi nell'inseguire una maggiore accessibilità pop poco convincente.

Con questo terzo capitolo gli Sleep Token si impegnano su un duplice fronte: consolidare con equilibrio i due aspetti di cui sopra e portarli entrambi allo stadio successivo dell'evoluzione accentuandone i connotati. Per conseguire tale compito la band si appoggia come sempre sui ricercatissimi arrangiamenti per caricare la parte emozionale e sulla produzione per aumentarne i dettagli, con sonorità che vogliono annullare sempre di più i confini tra metal e pop. Diciamo che questi aspetti erano presenti anche in passato, ma mai spinti al limite come adesso. Chokehold - con le sue bordate djent e quella inflessione hip hop nella cadenza ritmica che irrompono all'avvicinarsi del breakdown - rimane sostanzialmente una ballad soul trasfigurata da sonorità oppressive, sinistre e metalliche. The Summoning è allo stesso tempo un pezzo accattivante (per il suo chorus crescente) sia audace nella sua ardita multitematicità che non si risparmia nulla: intermezzi di feroce blackgaze, spaziosità ambient e repentina coda finale in odore di gospel.

Granite e Aqua Regia sono due episodi più contenuti che si prendono l'incarico di approfondire i legami con la black music, in particolare con il nu soul, l'r&b e l'hip hop. Naturalmente calati nelle dinamiche degli Sleep Token di questi stili ne vengono a galla solo le stigmate riconoscibili, come l'uso dei beat elettronici, le progressioni di accordi (specie su Aqua Regia) e l'inflessione nel cantato di Vessel. Già con queste prime quattro tracce Take Me Back to Eden si mostra come un album conflittuale nell'alternare velleità inclusive e sperimentali e aspirazioni neanche tanto velatamente mainstream. Il paradosso lo si raggiunge quando queste due strade vengono portate all'estremo, prima nel caos devastante di Vore, il pezzo più violento scritto dal gruppo nonostante smorzato da qualche guizzo melodico, ed in seguito con il pop minimale di DYWTYLM. Qui non si capisce bene cosa gli Sleep Token vogliano dimostrare se non spiazzare o provare a spingersi all'eccesso per testare le proprie capacità di scrivere possibili hit da classifica. Il problema è che DYWTYLM è un pezzo debole anche se giudicato nel suo ambito, sembra una canzone brutta dei The 1975 e calata in questo contesto, oltre che apparire fuori luogo, ottiene l'effetto di aumentare il cringe per una band di tizi mascherati che cantano di storie d'amore per adolescenti.

Dopo il paradosso il punto di rottura lo raggiunge Ascensionism, per il quale, nel momento in cui parte la sezione "rappata", avrei spaccato volentieri le cuffie in due. Con questo dettaglio penso di essere già stato abbastanza esplicito sul mio pensiero e un po' dispiace, perché nei suoi sette minuti la canzone offre anche qualche sprazzo di gusto, ma la versione gangsta di Vessel mi pare un passo troppo azzardato, anche per gli standard degli Sleep Token e qui viene sfiorato l'imbarazzante. Se la band vuole uscire per un momento dai propri modelli, in questo caso è più convincente nel pathos in crescendo che sa infondere a delle ballad canoniche come Are You Really Okay? e soprattutto Euclid, avvolta da luminosi accordi di piano, melodie solari ed emozionanti power chords da arena rock che irrompono nella idillica atmosfera per aggiungere solennità ad un pezzo giustamente posto in chiusura.

The Apparition è un compitino in sottrazione costruito sulla falsariga della formula collaudata degli Sleep Token - build up iniziale e breakdown a seguire - ma caratterizzata da una orrenda drum machine per rap di serie B e da una scrittura ed esecuzione svogliate. E' il momento dell'album in cui capisci che gli Sleep Token non sono immuni dallo scrivere un brano anonimo. Ad esempio anche Rain, seppur molto superiore a The Apparition, non possiede quella forza necessaria per essere abbastanza memorabile e rischia di cadere nella stessa categoria. La title-track si dipana per otto minuti ed è quella che nel disco assomiglia più alla forma di rituale molto cara agli Sleep Token, tanto melodrammatica nella costruzione dei suoi molteplici climax quanto vacua a livello strutturale e melodico.

In totale Take Me Back to Eden contiene alcune tra le cose migliori realizzate negli anni dagli Sleep Token, però in qualche misura anche le cose più deboli ed inconsistenti. Per queste falle non è quel capolavoro impeccabile di potenziale consacrazione che molti si aspettavano (anche se ormai credo la raggiungeranno), ma è di sicuro un deciso passo in ascesa rispetto a This Place Will Become Your Tomb pur non raggiungendo, per questa sua precarietà tra due fronti, la perfezione di Sundowning.

venerdì 12 maggio 2023

Karmanjakah - Ancient Skills EP (2023)


Nel nuovo EP Ancient Skills (il secondo della loro carriera), gli svedesi Karmanjakah non fanno che evolvere rispetto al già ricco sound presentato con l'esordio A Book About Itself. Senza separarsi dal trademark chitarristico del genere djent, il gruppo affonda nella sua estetica trasversale amplificandone suggestioni psichedeliche, ambient ma anche pop. I quattro brani inclusi (che insieme costituiscono un cortometraggio visuale realizzato su Youtube), utilizzando i riff elettrici come specie di breakdown aggressivi per enfatizzare un'atmosfera altrimenti caratterizzata da tastiere anni '80 impostate come tappeto etereo e dreamgaze, tira fuori un prog metal sia maestoso sia malinconico, dalle forti connotazioni emotive impresse dalla equilibrata dicotomia del sound che spinge sui due fronti del sognante e del metallico.

mercoledì 10 maggio 2023

Death Dance - Blue Light Mass (2023)


Pur essendo giunti ad un momento storico in cui il prog hardcore con il suo sottogenere swancore sono riusciti a sviscerare una serie di band e album stilisticamente molto riconoscibili tra di loro, il quintetto di Detroit Death Dance, formato da Aaron Edward (voce), Max Herzog (basso), Michael Morgan (chitarra), Tristan Brunst (batteria) e Tyler Conway (chitarra), fa il suo ingresso in questo ambiente con l'EP Blue Light Mass schivando il rischio di assomigliare all'ennesimo esercizio di stile.

Le coordinate che possono ricondurre ad alcuni capofila come Circa Survive, HRVRD e Sianvar, si arricchiscono di un'ulteriore visione psichedelica e math rock che si insinua trasversalmente in ogni pezzo. Il funk di Wind che ribolle delle ultime deviazioni intraprese dal genere nei reami r&b e math pop (si veda Eternity Forever e Gold Necklace) si sposa tranquillamente con le evoluzioni più complesse degli interplay prog e le ruvidità hardcore. Proseguendo con Cemeteries e Season of Growth l'EP mantiene comunque, in modo costante, un alto tasso melodico senza mai sfociare su variazioni pesanti, ma anzi cercando di far convivere accessibilità con percorsi strumentali sempre in movimento, che intessono alternativamente fraseggi math rock, talvolta progressioni jazz e altre volte riverberi psichedelici. Una bella aggiunta alla scuderia dello swancore.

sabato 6 maggio 2023

Introducing Lune Asea


Pur debuttando con un singolo soltanto adesso il gruppo, o se vogliamo possiamo chiamarlo supergruppo, Lune Asea si è costituito nell'ormai lontano 2016 e la cui line-up comprende i due Karnivool John Stockman (tastiere) e Steve Judd (batteria), Leigh Davies (chitarra e voce) dei purtroppo disciolti e sottovalutati Sleep Parade, e che in passato fece parte per un breve periodo dei The Occupants, il progetto musicale messo insieme dai fratelli Gower quando i Cog erano in pausa. Completano il gruppo Adam Perry (basso) e Ben Elphick (chitarra).

Il primo brano con cui si presentano i Lune Asea è Outlier, che si avvale della produzione e masterizzazione del mitico Forester Savell, un viaggio di quasi sei minuti di robusto prog rock che dosa con con grande sensibilità elementi metal e atmosferici in un calderone propulsivo e melodico. Le liriche, ad opera di Davies, riguardano il ricordo del padre del cantante e la sua lotta con la schizofrenia e le conseguenti visioni apocalittiche causate dalla malattia.

 

martedì 2 maggio 2023

Overgrow - This All Will End (2023)

Per almeno quattro anni gli Overgrow sono stati il mezzo di espressione musicale del chitarrista e cantante Jake Ciccotelli e solamente l'anno scorso, dopo tre EP, è arrivato a pubblicare il primo bellissimo album Walls of Mirrors. Fino ad allora tutto il materiale degli Overgrow era uscito esclusivamente dalla penna di Ciccotelli, ma sul finire delle sessioni di registrazione per Walls of Mirrors gli Overgrow sono diventati una vera e propria band con l'ingresso di Alex Miller (chitarra), Pat Smith (basso) e Trevor Hancock (batteria).

This All Will End segna per gli Overgrow la prima raccolta di canzoni frutto della collaborazione collettiva di tutti i membri che, in un certo senso, hanno spinto Ciccotelli ad osare e uscire dalla propria comfort zone sonora, indirizzandolo su territori più concreti, diretti e rabbiosi. In solitaria il frontman era stato attento nell'esprimere la propria poetica emo in modo costantemente malinconico, ma ammantato da un rigore post rock proteso verso grandi spazi austeramente maestosi e gotici. Ciò si manifestava non nei classici crescendo, ma nel lirismo dell'inquietudine che Ciccotelli aveva sempre utilizzato come catalizzatore melodrammatico.

In questi quattro nuovi appassionanti brani la sostanza di quelle esperienze ha configurato il terreno ideale come trampolino di lancio per aggiungere sentimenti più accesi e concitati, che la neonata line-up ha contribuito a tirare fuori, tipo nell'introduttiva I'll Ruin Everything That I See, la quale nel suo assalto emozionale sfiora quasi il post hardcore e si candida a brano più aggressivo del gruppo. Gli Overgrow mai come adesso si muovono in contrasti tra timbri evocativi e slanci energicamente passionali, sottolineati dalla strumentazione che riverbera sotto una coltre di impasti avvolgenti, punteggiati dalla stessa intensità con la quale vengono allestiti i brani. 

Nowhere Without You è un altro struggente capolavoro generato da questi equilibri, che entrano ancor più in contrapposizione su When You're Not Around, prima in forma di nostalgica ballata poi nella sicura fierezza manifestata nel chorus. Il senso di placido abbandono generato dalla title-track, che chiude l'EP in modo acustico e sommesso, sembra qui quasi fuori dal contesto, ma non fa altro che suggellare il trasporto emotivo della tempesta appena passata. In breve, un EP magnifico, dettato da una sensibilità lirica e musicale che oggi non molti possiedono e che gli Overgrow infondono con sincerità e passione.


lunedì 1 maggio 2023

Altprogcore May discoveries



Un singolare ottetto questo dei Big Fat Meanies, con tanto di sezione fiati (clarinetto basso, tromba e trombone) abbinata alla classica line-up rock più la voce della cantante Brenna Diehl, si propone di unire il pop punk dei Paramore al prog hardcore di ultima generazione seguendo le orme, come sound allargato, dei Thank You Scientist. Il primo album The Time Has Come... (2017) era più lontano da questa descrizione, deviando anche su binari ska punk e AOR, ma è con l'ultimo EP Big Hands che si sono spostati più propriamente su dinamiche prog.



Il trio Black Orchid Empire ha da sempre abbracciato uno stile metal-djent con qualche inflessione prog, ma sempre molto asciutto e diretto nelle sue strutture. Con il terzo album Tempus Veritas tale formula arriva a compimento in una cristallizzazione di rock aggressivo ma melodico, con riff pesanti che riprendono tanto da Meshuggah quanto da Tool e Karnivool.
 



Scoperti con una decina di anni di ritardo, gli Emma Ate the Lion sono un quartetto di Boston che ha all'attivo solo questo album e un EP e ormai dal 2013 non hanno fatto più uscire nulla. Il mix che mettono sul tavolo in Songs Two Count Too è di base art pop, ma impreziosito da una scoppiettante verve di stili che lo rendono dinamico e peculiare, come math rock, jazz, prog rock e emocore.
 



L'EP Toothache dei BINGE segna il ritorno sulle scene dell'ex batterista degli Oceansize Mark Heron in coppia con il chitarrista Rob Sewell. Al di là di essere stato parte in causa dello scioglimento di una delle band più clamorose degli ultimi trent'anni, se consideriamo solo l'aspetto artistico e di performer, in questo EP strumentale di heavy math rock Heron ci ricorda quale incredibile e talentuoso strumentista sia. Il batterista più dotato della sua generazione.
 



A quanto pare nella comunità prog il nome Good NightOwl è noto già da tempo. In pratica si tratta di un progetto semi casalingo del musicista Daniel Lewis Cupps nel quale si occupa di tutto (produzione, mix, programmazione e composizione) e che ha all'attivo una discreta ed eclettica quantità di album (Capital appena uscito è il suo diciassettesimo). Se vi incuriosisce vale la pena andarseli ad ascoltare, dato che in ognuno vi si trova una differente prospettiva espansa tra generi art pop, math rock, elettronica.
 
 


Gruppo finlandese che con Chrysalis arrivano alla seconda prova, i POLYMOON suonano uno psych prog condito da suggestioni space e garage, ma la loro particolarità è di creare impasti saturi di distorsioni e di eterei riverberi per dare vita ad un'aura da dreamgaze.
 
 


Una ragazza che suona un suggestivo shoegaze psichedelico, questo è tutto ciò che so dei BOSSES.



Un power duo formato dal chitarrista Ben Sharp (aka Cloudkicker) e dal batterista dei Gospel Vinnie Roseboom ha partorito un breve EP d'esordio con solo tre tracce sotto il nome di The Supervoid Choral Ensemble. Il risultato dell'incontro è un ruvido math metal che privilegia tessiture di groove space-doom invece che assoli fusion.



Si sa che l'Oriente ha un debole per il math rock e il quartetto indonesiano eleventwelfth offre il suo punto di vista con una formula molto accessibile che non disdegna pop e Midwest emo. Similar è il loro album d'esordio dopo sei anni di attività insieme.



I chitarristi Joshua De La Victoria e Joseph Anidjar hanno dato vita a questo progetto math fusion chiamato Portraits che per il momento ha pubblicato i due singoli, Drip e Buy High, ma tanto bastano per capire la caratura del sodalizio. A quanto pare un album è in arrivo. 



Con I Need a Reason to Stay i Semaphore si stagliano trasversalmente nella scena alternative a cavallo tra shoegaze, emocore e post hardcore con una notevole dichiarazione d'intenti. Le canzoni dell'album sono passionali e sincere nel trasmettere un'ispirazione solida e nel convogliare l'amore del gruppo per questi generi, mischiati in modo convincente.



Flora Eallin è l'esordio del duo jazz norvegese Leagus sotto l'etichetta Is It Jazz? Records. La pianista Herborg Rundberg e il chitarrista Kristian Svalestad Olstad si conoscono e suonano insieme sin dal 2013, nel 2021 sono nati i pezzi per orchestra da dieci elementi che compongono questo album, su commissione del North Norwegian Jazz Ensemble.