lunedì 28 ottobre 2019

Great Grandpa - Four of Arrows (2019)


Se si pensa alle circostanze dalle quali è nato Four of Arrows c'è di che stupirsi del risultato. Dopo l'esordio con Plastic Cough (2017), infatti, il quintetto di Seattle si è praticamente disperso, a causa di trasferimenti, lavoro e matrimoni che li hanno messi in pausa forzata. Ma nonostante la vita reale abbia preso il sopravvento, i coniugi Carrie (basso, voce) e Pat Goodwin (chitarra) hanno continuato a scrivere, principalmente con chitarra acustica, collezionando i brani che poi sono finiti su Four of Arrows. Raccontata in questo modo ci si aspetterebbe un lavoro ruvido, minimale e diretto, magari uno stretto discendente del pop grunge di Plastic Cough, invece quell'urgenza creativa rimane solo un ricordo per la crescita e la maturità con cui la band si ripresenta con la seconda fatica, a partire dall'iconica prova vocale di Alex Menne e dalla produzione Mike Vernon Davis che valorizza ogni scelta estetica in funzione della nuova direzione.

Dalla genesi acustica con la quale sono state concepite le tracce, la resa finale è un miracolo di arrangiamenti e intuizioni inusuali per un album del genere, tanto che l'indie rock caricato di emo pop si inerpica nei reami dell'art pop più sognante e melodico. Il bello delle undici composizioni di Four of Arrows è che nessuna rimane nel tempo come appare inizialmente e, mentre il gruppo ci accompagna in un viaggio musicale che cambia come il panorama visto attraverso un finestrino di un treno, si viene sopraffatti dalla variabilità delle emozioni, dall'improvviso sprigionarsi di sferragliate code elettriche, interludi acustici e grandiosi spazi di folk barocco. La struttura stessa dei brani non sempre è convenzionale, ma ai Great Grandpa non interessa collezionare deviazioni tematiche, ma piuttosto farci vedere la canzone da varie angolazioni differenti. Se quest'anno doveste scegliere di ascoltare un solo album di indie rock, Four of Arrows sarebbe la scelta più saggia e appagante.


domenica 27 ottobre 2019

Thieves' Kitchen - Genius Loci (2019)


I Thieves' Kitchen hanno da poco festeggiato i venti anni di attività con una riunione informale con tutti i membri presenti e passati della band, anche se il chitarrista Phil Mercy è l'unico superstite della formazione originale. A supportarlo in quelli che sono i Thieves' Kitchen del presente da qualche anno al suo fianco ci sono i componenti ufficiali Amy Darby (voce) e l'ex Änglagård Thomas Johnson (tastiere). Con loro tornano in veste di ospiti, a distanza di quattro anni da The Clockwork Universe, l'ex Sanguine Hum Paul Mallyon (batteria) iniseme a Johan Brand (basso) e Anna Holmgren (flauto) entrambi degli Änglagård. 

Il nuovo Genius Loci baratta volentieri i passaggi più fusion degli album precedenti con impressioni di progressive sinfonico fuse in modo indolore con i delicati acquerelli pop jazz canterburiani. In particolare le tastiere di Johnson si equilibrano e stabilizzano in una via di mezzo tra i suoni barocchi di Tony Banks (particolarmente nella ouverture strumentale che apre i venti minuti di The Voice of the Lar) e quelli caldi del piano elettrico di Dave Stewart (il solo su Elmer, l'intro di Uffington). Due mondi differenti che però i Thieves' Kitchen sembrano aver unito con scrupolosa dovizia in un unico frame che trasmette la stessa delicatezza e quiete del Canterbury Sound.


sabato 26 ottobre 2019

Strawberry Girls - Tasmanian Glow (2019)


A quattro anni di distanza dall'ultimo album American Graffiti, gli Strawberry Girls tornano sul luogo del delitto con Tasmanian Glow però regolando il proprio math rock su nuovi parametri formali. Questa volta il trio formato da Zac Garren, Ben Rosett e Ian Jennings opta per dei brani più brevi e taglienti rispetto al passato, suonati con il solito approccio vivace ed energetico, seguendo la scia prog core dei Night Verses, ma come se fossero la parte solare e ottimista di questi ultimi. In più, se l'ultimo lavoro si divideva abbastanza equamente tra tracce strumentali e vocali, questa volta Tasmanian Glow presenta una tracklist interamente senza ospiti alla voce ad eccezione di Angel Dust che contiene l'unico episodio cantato da Haley Nicole Woodward, la quale aggiunge un'atmosfera RnB al pezzo, e la conclusiva Party Nights che il contributo di Andrés rende molto incline al Prince più festaiolo. A tal proposito in Tasmanian Glow si possono cogliere alcune incursioni atmosferiche in tale genere mutuate dal progetto di Ben Rosett, Eternity Forever. Comunque tale scelta porta gli Strawberry Girls a tuffarsi in un crossover di generi, citando funky, disco, synthwave, dream pop e psichedelia, anche se forse la veste più propriamente post hardcore di American Graffiti gli calzava meglio.


venerdì 25 ottobre 2019

VIS - Light Lost (2019)


Nei tags di Bandcamp il quartetto di Los Angeles VIS definisce il proprio stile con appellativi del tipo burrito punk, chicano punk, latin rock, progressive rock, jazz-core. E non c'è niente di più esatto per descrivere il loro approccio che cavalca le ritmiche frenetiche del latin hardcore dei The Mars Volta sposandole con lo swan core di ultima generazione di Sianvar, Hail the Sun (Donovan Melero fa una comparsa come ospite nell'ultimo brano) e Stolas. Partiti nel 2014, i VIS dopo due EP riescono a pubblicare il primo album Light Lost, un condensato di prog-core-math-rock molto accessibile che nei suoi momenti migliori appare come un riassunto di tutto ciò che è passato attraverso questo genere, fino ad arrivare al presente con le ultime cose prodotte da Strawberry Girls e Royal Coda, però riuscendo a fotografare e a comprendere il momento di gran fermento che ha ultimamente smosso questa scena ultra alternativa e ultra underground.

domenica 20 ottobre 2019

South Harbour - A Withered World In Colour (2019)


Interessante esordio questo dei South Harbour, nato nel 2018 come progetto solista, esclusivamente di studio, del chitarrista danese Alexander Varslev-Pedersen, durante il processo di registrazione e produzione si è espanso ad un vero e proprio gruppo che include Kristian Hejlskov Larsen alla chitarra e Andreas Dahl-Blumenberg al basso, già nella formazione dei Feather Mountain dei quali compare come ospite anche il cantante Mikkel Lohmann. Pure la direzione dell'album ha subìto una mutazione in corso dato che inizialmente doveva essere interamente strumentale, ha cambiato poi aspetto e con l'aiuto di vari cantanti è diventato una raccolta eterogenea, non solo per questa motivazione, di progressive metal e blackgaze. Innegabile che la scelta di coinvolgere sei voci diverse per timbro, interpretazione e impostazione, abbia inevitabilmente trasmesso un'identità differente ad ogni pezzo di A Withered World In Colour.

Proprio questa sua natura eclettica, che si apre ad accogliere svariate sfumature di prog metal, fa ritornare alla mente il bilanciamento tra estremi dei leggendari maudlin of the Well. In particolare ci si riferisce al contrastante approccio di generi che caratterizza A Withered World In Colour, impostato su atmosfere agli antipodi combattute tra le spietate lacerazioni growl di A Dying Breed, Naysayer Begone e M Å N E B A R N che trovano il controcanto nelle lunghe tirate psichedeliche di Delusion, Exactly Where We're Supposed to Be e Svalbard. Naturalmente per relazionarsi alla varietà di cui sopra i South Harbour condiscono gli arrangiamenti spaziando tra djent, math rock, gothic metal e post rock, nel tentativo di creare un'opera epica comprensiva di molti linguaggi metal, non risparmiando sensazioni alla Tool su As I Gaze into an Uncertain Future e addirittura tentando un salto mortale per l'ibrido R&B-gaze su Flowers Need Water.

sabato 19 ottobre 2019

From Indian Lakes - Dimly Lit (2019)


E' bello vedere come si sono evoluti i From Indian Lakes dal 2009 ad oggi. Nei primi tre album avevano dato prova di un delicato ed introspettivo emo indie rock che si sposava con atmosfere eteree da dream pop. Dopodiché l'ultimo album uscito per la Triple Crown Records, Everything Feels Better Now (2016), provava a distanziarsi dallo stile iniziale attraverso un lavoro più composto e minimale dal punto di vista compositivo.  

Il nuovo Dimly Lit è una messa a fuoco di quella direzione, tanto che ne è venuta fuori una più convinta e convincente escursione nel dream pop. Con questo album è come se il principale responsabile della sigla Joey Vannucchi lanciasse un messaggio di indipendenza artistica, lasciandosi definitivamente alle spalle i vecchi From Indian Lakes: registra e produce in solitudine tutti i sedici pezzi nel suo appartamento di Harlem, li realizza senza il supporto di una casa discografica ed è in grado comunque di chiamare al suo cospetto un notevole numero di ospiti femminili alla voce. Le cantanti Soren Bryce (Tummyache), Nandi Rose Plunkett (Halfwaif), Miriam Devora (Queen of Jeans), Lynn Gunn (PVRIS) e Meagan Grandall (Lemolo) completano e aiutano il tono sognante della voce di Vannucchi che per Dimly Lit opta per dare ampio spazio a elettronica, tastiere e synth andando a relagare nelle retrovie la sua chitarra. In questo modo l'opera assume una connotazione ben specifica che rifugge anche il tanto abusato ritorno di oggi alla retrowave.

Probabilmente Vannucchi aveva anche molto da dire sull'argomento, dato che ha deciso di realizzare un album molto ampio e corposo che mette in fila un concetrato di ethereal wave e ambient pop pressoché perfetto, infuso delle stesse sonorità dei Cocteau Twins e della malinconia che Vannucchi ha trasportato come eredità dai From Indian Lakes del passato. La ricchezza di Dimly Lit può soddisfare anche chi cerca un pizzico di sperimentazione electro-rock, la quale si nasconde tra le pieghe degli arrangiamenti dentro l'essenza di suoni inaspettati che sembrano apparire fuori dal contesto della canzone, ma si sposano perfettamente con l'insieme. Operazione leggermente speculare a quanto fatto, in modo più estremo, da Justin Vernon con i Bon Iver, Vannucchi ha dato nuova linfa al suo progetto musicale con una sintesi esemplare di dream pop.






venerdì 18 ottobre 2019

Sentient Moss - Las Vegas Girth (2019)


Se conoscete i Thank You Scientist il nome Joe Fadem vi suonerà familiare in quanto è il loro batterista. Nel 2016 Fadem ha formato un suo gruppo parallelo chiamato Sentient Moss insieme a Connor McArthur (chitarra, voce), Matt Balkovic (chitarra) e Nigel Whitley (basso). La direzione stilistica della band, come già testimoniato dal primo lavoro Somebody, Somehow uscito nel 2017, si distacca considerevolmente dai Thank You Scientist e ora viene consolidata dal secondo EP Las Vegas Girth. La base di fondo avventurosa della musica rimane, in quanto i Sentient Moss si dedicano ad un alternative con evidenti risvolti math rock e pop punk attraversati da qualche inflessione europea mutuata dai Delta Sleep, come appare nel singolo Greener, ma anche calibrato con malinconici accordi di provenienza midwest emo su Crawl Space e Much Easier Said Than Done (dove alla tromba fa una comparsata l'altro Thank You Scientist Joe Gullace).



lunedì 14 ottobre 2019

Introducing: Another Sky


I londinesi Another Sky hanno esordito lo scorso anno con l'EP Forget Yourself facendosi notare nell'ambiente alternativo inglese e guadagnandosi un'ospitata allo show Later with Jools Holland con una intensa interpretazione del singolo Chillers. Ora che i Biffy Clyro li hanno scelti per aprire due concerti inglesi questa settimana, pare che gli Another Sky siano pronti per essere conosciuti anche al di fuori dai confini inglesi. Freschi di un secondo EP dal titolo Life Was Coming in Through the Blinds pubblicato a giugno, Catrin Vincent (voce, chitarra e piano), Naomi Le Dune (basso), Jack Gilbert (chitarra) e Max Doohan (batteria) si dichiarano apertamente influenzati dai tardi Talk Talk, tanto che il gruppo, a quanto dicono loro stessi, si sarebbe generato proprio dopo l'ascolto comune di Laughing Stock.

Anche se la musica degli Another Sky non ha l'ambizione di ricreare delle atmosfere così rarefatte e intellettuali, i quattro si sono ritagliati un personale art pop intriso di suggestioni progressive, post rock e dream pop, talvolta crepuscolare e altre volte violentemente melodrammatico, per sottolineare i testi con una spiccata impronta di stampo politico e sociale. Già forti di un solido tessuto sonoro, è nella voce della Vincent che gli Another Sky trovano una caratterizzazione, la quale personalmente in qualche inflessione mi ricorda il timbro passionale di Rose Kemp. La produzione completa della band per ora comprende i due EP e il singolo Chillers già menzionati con in più gli altri due singoli Avalanche e Capable of Love, in attesa di un annunciato debutto che forse vedrà la luce nel 2020.









venerdì 11 ottobre 2019

Thumpermonkey - Live At The Victoria (2019)


Ottobre 2017: esce l'EP Electricity. Ottobre 2018: esce l'album Make Me Young, etc. Ottobre 2019: è il momento per i Thumpermonkey di pubblicare il loro primo album dal vivo registrato quest'anno (a maggio) durante la promozione di queste ultime fatiche discografiche. Naturalmente Live At The Victoria contiene anche brani che risalgono a qualche anno fa, stranamente solo uno tratto da Sleep Furiously (Wheezyboy) e addirittura tre dal mini album We Bake Our Bread Beneath Her Holy Fire (Abyssopelagic, Whateley, Proktor Cylex). Inutile aggiungere che i Thumpermonkey sanno preservare e ricreare il complesso equilibrio dinamico che permea le composizioni, le quali suonano potenti e grandiose anche live.


mercoledì 9 ottobre 2019

JYOCHO - A Perfect Triangle, Rising Sun Human (2019)


Dopo A Parallel Universe i JYOCHO del chitarrista Daijiro Nakagawa pubblicano un altro EP di quattro tracce 綺麗な三角、朝日にんげん (A Perfect Triangle, Rising Sun Human). A parte l'introduttiva title-track che fa sfoggio di tecnicismi math rock e jazz, si contrappongono le rimanenti tre tracce, le quali danno totalmente spazio al lato più introspettivo e semi acustico del gruppo, ultimamente in parte sperimentato anche nel full length The Beautiful Cycle of Terminal. Questo indirizzo verso l'impianto a ballata può essere interpretato anche come un'estensione della recente prova solista di Nakagawa In My Opinion, pubblicata la scorsa primavera, che collezionava una serie di composizioni riflessive math rock per chitarra acustica.




lunedì 7 ottobre 2019

Like Lovers - Everything All The Time Forever (2019)


Il progetto Like Lovers esiste omai da diversi anni, tanto che il primo EP Former Selves risale al 2013. Solo ora comunque il polistrumentista Jan Kersche, titolare della sigla, è riuscito a dare alle stampe il suo primo lavoro full length con il titolo di Everything All The Time Forever. L'album scritto e prodotto in solitaria da Kersche prende le sembianze di un laboratorio personale proiettato nel mettere alla prova la propria creatività, affidandosi alla tecnologia moderna per scrivere perfette canzoni art pop. Nel suo studio individuale sulla materia Kersche utilizza tastiere, synth e chitarra contaminandole con atmosfere elettroniche nella stessa vena sperimentale di un Thom Yorke o nella visione di confine di pop prog postulata da Steven Wilson, ma senza far pesare ingerenze da intellettualismo ed egocentricità.

Al centro di Everything All The Time Forever c'è la canzone, non la firma di chi l'ha scritta, ed in questo Like Lovers trova un'affinità con un altro progetto a carattere individuale di nome Quiet Child. Kersche dimostra infatti un'ottima padronanza della versatilità necessaria a donare la giusta impronta ad ogni pezzo, in modo che il sound possa respirare in un limbo senza tempo e scollegato da impostazioni stilistiche eccessivamente rigide. Cioè, Kersche non si preoccupa di far suonare un pezzo troppo minimale, troppo elettronico o troppo artificiosamente avant-garde, senza il peso di dimostrare di essere il primo della classe è libero di mantenere una certa distanza dalla trappola del manierismo art pop. Everything All The Time Forever si colloca in una zona di confine di intenti: è quello a cui dovrebbero ambire molti gruppi indie rock disimpegnati per apparire più interessanti e allo stesso tempo una lezione per chi pensa che per produrre pop colto si debba per forza spingere al massimo la sperimentazione. 



https://wearelikelovers.com/

sabato 5 ottobre 2019

Issues - Beautiful Oblivion (2019)


Arrivati al terzo album con Beautiful Oblivion è giunto il momento di parlare anche tra queste pagine degli Issues. Partiti nel 2014 con l'omonimo album come band metalcore con influssi R&B e nu metal, con il secondo Headspace hanno progredito (a seconda dei punti di vista) e si sono cimentati in un piacevole e divertente mix di post hardcore, hip hop, djent e pop, incrementando la tecnica e accentuando ancora di più le caratteristiche singole del mix di generi del primo lavoro, in una specie di versione in caps lock dei Dance Gavin Dance.

Con l'addio lo scorso anno del cantante Michael Bohn, che si occupava delle unclean vocals, gli Issues hanno operato un doppio cambiamento. Oltre alla decisione di non sostituire Bohn e quindi dedicarsi quasi completamente alle clean vocals, con Beautiful Oblivion gli Issues si impongono come consumati strumentisti con le idee chiare e che sanno quello che fanno, mettendo del criterio razionale nella loro formula eterogenea. Questo non vuole dire sacrificare il divertimento ma, se Headspace poteva apparire solo come un giro sulle montagne russe, adesso la band mette lo stile al servizio della tecnica e non viceversa, compilando una collezione di gran gusto.

Gli Issues sembrano chiarirlo fin da subito con l'apertura di Here's to You, il brano più solido e potenzialmente meno "contaminato" che abbiano mai scritto. In più i piccoli tecnicismi disseminati e nascosti nelle pieghe delle architetture sonore trasformano le tredici tracce in qualcosa di più che semplici surrogati di nu metal-core. Questo significa che il peso di ingombranti ingerenze di generi abbastanza disprezzati come hip hop e R&B viene molto mitigato da espedienti progressive rock e da agili arrangiamenti dal sapore soul funk. Beautiful Oblivion è anche fortunatamente un album che non si ripete dove ogni brano possiede un propria impronta sonora.

venerdì 4 ottobre 2019

Jakub Zytecki - Nothing Lasts, Nothing's Lost (2019)


Il chitarrista Jakub Zytecki continua a far proseguire la propria carriera solista sull'impronta di quello che è stato il suo gruppo di riferimento Disperse. Anche la progressione e lo sviluppo della sua visione musicale sembra procedere in modo contiguo tra le due incarnazioni artistiche che da djent progressivo è passato ad inglobare elementi ambient pop ed electro rock, dando al metal un tocco futurista ed etereo. Come nei due EP precedenti, nel suo secondo album Nothing Lasts, Nothing's Lost Zytecki ritorna ai propri virtuosismi fusion con un sound jazz metal molto rilassato che sposa atmosfere world music e new age, portando a casa l'ospitata eccellente di Fredrik Thordendal (Meshuggah) nel brano Creature Comfort. Il connubio tra sonorità moderne attuate con eleborazioni elettroniche, manipolazioni ritmiche, campionamenti e la tradizione di chitarra strumentale, fa confluire la produzione in una sorta di limbo spirituale/musicale alla Bon Iver. Diciamo che proprio per questa particolare direzione, Zytecki si conferma il più riconoscibile e originale tra i suoi colleghi della sette corde.



giovedì 3 ottobre 2019

The Niro featuring Gary Lucas - The Complete Jeff Buckley & Gary Lucas Songbook (2019)


Dopo 25 anni ecco la notizia che non ti aspetti riguardante l'universo di Jeff Buckley e forse l'unica meritevole di una segnalazione nella selva di raccolte postume e posticce che hanno costellato la discografia post mortem di Buckley. Infatti Gary Lucas, il chitarrista che diede l'avvio alla carriera di Buckley, nonché co-autore delle immortali Mojo Pin e Grace, si è deciso a registrare ufficialmente anche tutti i restanti brani inediti scritti insieme a Buckley. I due si conobbero durante il concerto tributo a Tim Buckley e Lucas, ammaliato dal ragazzo, lo convinse a lavorare insieme a lui presentandogli alcuni pezzi che stava elaborando.

Nacque così la band Gods And Monsters durata lo spazio di pochissimo tempo e con un repertorio di dodici canzoni mai incise in modo professionale e suonate solo dal vivo, divenendo una delle più grandi occasioni mancate della storia del rock. Qualcosa di questo periodo trapelò sotto forma di demo casalingo in quel raschiamento del fondo di barile che fu Songs to No One 1991–1992, ma l'album The Complete Jeff Buckley & Gary Lucas Songbook raccoglie finalmente tutti questi brani, aggiungendo i già noti Mojo Pin e Grace, in una veste definitiva a quell'esperienza purtroppo incompiuta. L'album è stato presentato in anteprima mondiale il 21 luglio dal vivo a Roma.

Per portare a termine il gravoso compito vocale Lucas ha scelto il cantautore italiano Davide Combusti in arte The Niro e nel primo singolo che apre anche l'album No One Must Find You Here la resa è degna di uno dei brani più potenti e suggestivi tra quelli rimasti purtroppo sino ad oggi nel cassetto e registrato in studio per la prima volta con altri titoli come Story Without Words, In the Cantina, Distorsion e Bluebird Blues. Da parte mia speravo in una versione definitiva in studio di No One Must Find You Here, soprattutto dopo averla ascoltata anche nell'interpretazione di Ninet Tayeb (visibile più sotto) quando ancora era una cantante conosciuta solo in Israele e lontano dalla visibilità ricevuta grazie alla collaborazione con Steven Wilson. Per la versione di Buckley e Lucas, invece, ci dovremo accontentare solo di quella bootleg per l'eternità.


martedì 1 ottobre 2019

Altprogcore October discoveries


Chasing a Phantom è il primo album dei Changing Scene, pubblicato nel 2016 ma che attualmente è in fase di remixaggio per una prossima riedizione. Come debutto promette molto bene dato che il quartetto si dimostra agile nel cambiare spesso prospettiva stilistica con un approccio eterogeneo che va dal post hardcore progressivo al roots rock, dalla rock opera al cantautorato americano. Un eclettismo che richiama in alcuni momenti i The Dear Hunter.



Chi lo avrebbe mai detto che l'emo americano avrebbe fatto proseliti in Svizzera. I Cold Reading sono infatti un quintetto di Lucerna attivo dal 2014. Dal maggio scorso hanno inaugurato con Part 1: Past Perfect una trilogia di EP la cui seconda parte Present Tense è uscita da poco e la terza è prevista per i primi mesi del 2020.




La nuova scoperta lanciata dall'etichetta Kscope sono i francesi Klone, attivi in realtà da un bel po' di anni e che riscossero già un certo consenso con l'album del 2015 Here Comes the Sun. Il nuovo Le Grand Voyage prosegue su quella strada presentando un post prog tanto metal quanto atmosferico sulla stessa lunghezza d'onda di Anathema, Katatonia, Riverside e A Liquid Landscape.



L'EP Binary Farm dei Shwesmo è il prodotto del sodalizio del chitarrista Yoel Genin e del batterista Yogev Gabay entrambi nella band prog fusion HAGO. Ad ogni modo Shwesmo è lo pseudonimo dietro il quale opera principalmente il solo Genin, ma l'indirizzo del progetto è il medesimo: spingere la fusion metal verso territori futuristici con l'ausilio di abbondante elettronica nella stessa moderna visione prog dei Frost*.



Dopo aver riascoltato questo album datato 2012, prima e unica opera dei russi Follow The White Rabbit, mi sono accorto di non averlo mai segnalato tra queste pagine. Forse perché ci ho messo molto per farmi piacere Endorphinia, un lavoro assolutamente unico che penso non accetti mezze misure, lo si ama o lo si odia, e che comunque ha bisogno di molto tempo per essere digerito. Questo è progressive-core al massimo delle sue potenzialità: sperimentale, caotico e avant-garde, come una versione fuori di testa degli Agent Fresco. Ancora oggi è un bel calcio sullo stomaco e proiettato molto più avanti di tanta roba che è in circolazione in questo momento. Del gruppo non si è avuto più traccia e nel tempo Endorphinia non ha raggiunto lo status di culto che meriterebbe, forse a causa della sua natura troppo estrema e complessa. I Follow The White Rabbit continuano ad essere un'oscura parentesi conosciuta da pochissimi fedeli.



Rise Twain è il progetto musicale nato dall'unione di Brett Kull degli Echolyn e J.D. Beck, autore attivo a teatro e con gli The Scenic Route per i quali Kull ha prodotto un album. Il primo album del duo edito dalla InsideOut è una specie di cantautorato prog con venature sonore molto americane che attingono da alternative, blues, folk e roots rock.



Parte djent, parte fusion, i Chronologist suonano un prog strumentale che ha caratteristiche ben collaudate se non fosse che i due chitarristi, Julian Gargiulo e Nick Broomhall, qualche volta fanno ricorso alle acustiche per dare un tocco più solare ed esotico alla musica. Formato nel 2013 al Berklee College of Music di Boston insieme al batterista Zach Sacco e ora residente ad Austin, il trio ha pubblicato Cartographer nel 2016. Al momento si stanno dedicando al progetto in fase di completamento Solstice & Equinox, inizialmente inteso come un album intero, è stato poi deciso di suddividerlo in quattro EP pubblicati in occasione dei cambi di stagione del 2019, come il titolo lascia intendere. In questo terzo EP autunnale, Equinox II, sono presenti come ospiti Davesh Dayal (Skyharbor) e Robby Baca (The Contortionist).



Era solo una questione di tempo che quei pazzi dei giapponesi dopo aver inventato le idol metal passassero all'idol progressive rock. Il collettivo al femminile delle xoxo EXTREME fa proprio questo: vestite come icone pop giapponesi cantano e ballano prog rock scritto per loro e senza timore di coverizzare Magma o Anekdoten, due band molto popolari in Giappone.